CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 gennaio 2014, n. 457
Tributi – Accertamento induttivo – Società immobiliare – Prezzi inferiori al valore di mercato – Rilevanza
Svolgimento del processo
1. La società I. srl. Unipersonale, il socio A.T. e A.T. propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 91/30/10, depositata il 28 giugno 2010, con la quale, rigettato l’appello principale dei medesimi e l’altro incidentale dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione inerente a tre distinti avvisi di accertamento, relativi all’Irpef, Irap ed Iva per il 2005, veniva accolta solo in parte, dopo che i tre procedimenti erano stati riuniti. In particolare il giudice di secondo grado osservava che gli atti impositivi si basavano sulla verifica svolta dai funzionari erariali, i quali si erano avvalsi anche degli elementi ricavati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare, integrandoli con i dati afferenti alla zona centrale del Comune di Cantù, in cui a suo tempo il cantiere era stato aperto, e indi il complesso immobiliare costruito. Inoltre era emerso, attraverso i dati contabili, che diverse unità immobiliari risultavano cedute ad un prezzo, riscontrato inferiore alla sommatoria della caparra, acconti vari e importo finale del relativo mutuo contratto dagli acquirenti, tenendo anche conto del fatto che il ricarico effettuato sui costi appariva talmente esiguo da fare ritenere l’operazione complessiva quasi antieconomica, anche sulla base dei costì e prezzi di altre unità immobiliari, commercializzate nella zona. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2. Col motivo addotto a sostegno del ricorso i ricorrenti deducono vari vizi di motivazione, in quanto la CTR non considerava che la determinazione del maggior reddito si basava sui dati forniti dall’agenzia, e che erano stati puntualmente contestati dalla società contribuente in sede di accertamento con adesione non andato a buon fine, anche perché le unità immobiliari, per le quali il mutuo era risultato superiore al prezzo, se sommato agli acconti, erano un’esigua entità numerica rispetto alla gran parte del commercializzato, e nulla escludeva che gli acquirenti avessero richiesto alle banche delle somme maggiori, o per “rientrare” di spese sostenute in precedenza, oppure per fare fronte ad altri costi inerenti ad arredo, trasloco e prestiti vari.
Il motivo è infondato. Invero, com’è noto, in tema di accertamento induttivo dei redditi, l’Amministrazione finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili <<dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta>>, come nella specie, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Peraltro l’art. 54 Dpr. n. 633/72 autorizza l’ufficio finanziario, allorché esso ravvisi “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi ivi previste e, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità. Ciò costituisce un’ulteriore deroga, in materia di accertamento, ai limiti fissati dal medesimo, con la conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, e cioè anche in presenza di contabilità formalmente regolare. Infatti i cd. studi di settore introdotti dagli artt. 62-bis e 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993, direttamente derivanti dai “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989, n. 154, idonei a fondare semplici presunzioni, ovvero le valutazioni cd. normali di mercato sono da ritenere supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. Pertanto i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente (V. pure Cass. Sentenze n. 5977 del 14/03/2007, n. 26919 del 2006).
Fra l’altro si tratta di valutazione degli elementi istruttori da parte dei giudici di merito, senza che sia possibile prospettarne un vaglio alternativo, come acquisiti dai medesimi, in sede di legittimità. Al riguardo la giurisprudenza insegna che la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento né poi sarebbe configurabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione, che si concretizza solamente allorquando non è dato desumere l'<iter> logico-argomentativo condotto alla stregua dei canoni ermeneutici seguiti per addivenire alla formazione del giudizio (Cfr. anche Sentenze n. 25372 del 05/12/2007, n. 00322 del 13/01/2003).
Dunque sul punto la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, oltre che logicamente corretto.
3. Ne discende che il ricorso va rigettato.
4. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in €7.000, 00 (settemila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
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