CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 gennaio 2014, n. 88
Tributi – IVA – Ricorso del fisco contro il contribuente – Mancanza dei passi testuali dell’avviso di accertamento nel ricorso – Inammissibilità – Sussiste
La CTR di Palermo ha accolto l’appello di (…) – appello proposto contro la sentenza n. 13/01/2007 della CTP di Enna che aveva già parzialmente accolto il ricorso della predetta contribuente – ed ha cosi integralmente annullato l’avviso di accertamento relativo ad IVA-IRPEF-IRAP per l’anno 2000 a mezzo del quale era stato recuperato a tassazione un maggior reddito di impresa per conseguenza di tre distinti PVC elevati nei confronti di terze ditte donde erano state desunte forniture di merci a favore della (…) che poi non avevano trovato riscontro nella contabilità di quest’ultima. Il reddito della contribuente era stato perciò ricostruito con riferimento al rapporto tra rimanenze dichiarate e percentuale di ricarico applicata, sì che ne era risultato un’omessa dichiarazione di ricavi per L. 131.523.000.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che doveva ritenersi erroneamente convalidata dal giudice di prime cure la rettifica operata sulla scorta della media ponderata estratta dai cartellini segnaprezzo dei mobili oggetto dell’attività di commercio, questi ultimi scelti sulla scorta di un indagine a campione da ritenersi insufficiente. Ed infatti emergeva evidente contraddizione tra il concetto di media ponderata e l’analisi a campione, giacché la “media ponderata” suppone un calcolo effettuato “su ogni singolo tipo di merce” e non su una scelta a campione. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La parte contribuente non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..
infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli artt. 36 e 53 del D.Lgs. 546/1992) la ricorrente si duole della modalità apodittica con la quale il giudice di appello aveva esaminato e rigettato la censura relativa all’inammissibilità dell’atto di appello, siccome difettoso di motivi specifici di censura contro la sentenza di primo grado.
Il motivo di impugnazione è inammissibilmente formulato, per violazione del canone di autosufficienza del ricorso per Cassazione.
Ed invero la parte qui ricorrente nulla di analitico ha specificato in ordine alla modalità con le quali avanti al giudice di appello sono state formulate le censure che oggi vengono tacciate di difetto di specificità, sicché non è possibile per la Corte effettuare quel controllo di rilevanza che è preliminare alla verifica della fondatezza del merito. Peraltro, il giudizio del giudicante di merito che è qui oggetto di critica è giudizio di fatto (attenendo alla valutazione della idoneità dell’atto introduttivo del processo), sicché vi è anche da evidenziare che il vizio valorizzato dalla parte qui ricorrente non è coerente con la tipologia di vizio astrattamente prospettarle.
Con il secondo motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973; dell’art. 54 del D.P.R. n. 633/1972; degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito si sia limitato a caducare l’atto impositivo, senza entrare nel merito dell’accertamento effettuato il quale, fondato com’era su presunzioni idonee, aveva effetto di spostare in capo al contribuente l’onere probatorio. In specie, la percentuale di ricarico era stata “puntualmente e correttamente calcolata, in quanto fondata su cartellini segnaprezzo rilevati in contraddittorio con la ditta, e risultante dalla media ponderata di una campionatura sufficientemente rappresentativa dei vari tipi di mobili trattati dalla odierna resistente”.
Il motivo di impugnazione è inammissibilmente formulato.
La doglianza rivolta nei confronti della sentenza impugnata si appunta – infatti – contro la ritenuta incongruità ed inidoneità della motivazione del provvedimento impositivo con riguardo al contenuto delle contestazioni formulate dall’Amministrazione a supporto della pretesa di maggior ammontare dell’imposta dovuta. A tal proposito è però dirimente la circostanza che la censura di parte ricorrente si presenti del tutto in contrasto con l’onere di autosufficienza di ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c..
Sul punto è sufficiente osservare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso (anche sotto il profilo della corrispondenza ai requisiti minimi di legge) in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (per tutte, Cass. n. 15867 del 2004).
La parte ricorrente non si è attenuta a siffatto onere, limitandosi a ribadire in termini apodittici l’assunto di adeguatezza e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato (con specifico riferimento alla sufficiente rappresentatività della campionatura della merce da cui sarebbe stata estratta la media ponderata dei ricarichi), sicché l’esame del merito della questione resta inevitabilmente assorbito dal rilievo dell’inammissibilità del ricorso.
Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di motivazione della sentenza), la ricorrente si duole che il giudicante abbia omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, cosi rendendo impossibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio.
Anche questo motivo appare inammissibilmente formulato, non avendo la parte ricorrente identificato il fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe carente del requisito di idoneità ed essendosi limitata ad una vacua critica in ordine alla adeguatezza della e diffusione delle argomentazioni valorizzate dal giudicante a sostegno della decisione.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.
Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti.
Che la sola parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, il cui contenuto non induce questa Corte a rimeditare le ragioni poste dal relatore a sostegno della proposta di decisione.
Che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato.
Che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
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