CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 aprile 2013, n. 9793
Procedimento disciplinare – Tariffe – Abrogazione dei minimi – Sanzione disciplinare – Esclusione – Fondamento.
Svolgimento del processo
1) Con sentenza 10 febbraio 2012 la corte di appello di Palermo ha accolto il reclamo proposto dal notaio M. C. avverso la decisione resa il 28 luglio 2011 dalla CoReDi Sicilia, che in sede disciplinare lo aveva condannato per due addebiti.
Il primo addebito era relativo a violazione non occasionale dell’art. 31 c. 1 e 3 lett c) codice deontologico in relazione all’art. 147 c. 1 lett. b) della legge notarile, perché aveva rogato un numero elevatissimo di atti con l’intervento quale ente mutuante della Banca 24/7 spa, applicando onorari in misura eccessivamente ridotta e in considerazione della ubicazione degli immobili e dei clienti, privi di collegamento territoriale con la sede del notaio in Catania.
Il secondo era relativo all’art. 147 c 1 lett. e), in quanto gli stessi fatti costituivano, nei confronti degli altri notai, attività di concorrenza illecita posta in essere con mezzi non confacenti al decoro della classe notarile.
Il Consiglio Notarile di Catania ha proposto ricorso per cassazione con unico complesso motivo.
Il notaio C. ha resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo, che non era costituito in grado dì appello, è rimasto intimato.
Le parti costituite hanno depositato memorie.
La causa è stata discussa secondo l’ordine di udienza scandito dall’art. 379 c.p.c, disattendendo l’istanza di parte ricorrente che avrebbe voluto interloquire dopo il sostituto Procuratore Generale, essendo questi intervenuto non a sostegno dell’iniziativa disciplinare, ma in forza del compito commessogli dall’art. 70 e secondo c.p.c.
Motivi della decisione
2) La sentenza impugnata ha ritenuto che sia stata ormai abrogata ogni disposizione sull’inderogabilità dei minimi tariffari e che pertanto la sistematica riduzione degli onorari fissati nella tariffa elaborata dal consiglio notarile per le prestazioni pubbliche non costituisce un’ipotesi di illecita concorrenza sanzionabile ai sensi dell’articolo 147 legge notarile.
Ne ha tratto inoltre la conseguenza che, una volta escluso l’obbligo dì sottostare ai compensi minimi della tariffa, restava irrilevante la circostanza che il notaio incolpato avesse rogato con la banca 24-7 un numero di mutui assai maggiore rispetto ad altri notai del distretto di Catania.
La corte d’appello ha rilevato che non era neppure stato contestato al notaio di aver posto in essere illecite attività per accaparrarsi i clienti; pertanto era da ritenere che ad indurre la banca citata e l’agenzia By Y. a sceglierlo, a preferenza dì altri professionisti, per la stipula dei mutui, erano verosimilmente i prezzi bassi praticati legittimamente, nonché “la diligenza e l’estrema efficienza impiegate dal notaio nell’organizzazione del suo studio professionale”.
Il Consiglio notarile di Catania censura la sentenza impugnata per vizi di motivazione e per violazione e falsa applicazione degli artt. 2233 e.2 c.c. – 147 ci lett e L.N. – 101-102-106 TFUE (già 81, 82 e 86 TCE; art. 54 c. 2 Cost. – art. 31 c. 1 e 3 dei principi di deontologia professionale del notariato, approvati dal consiglio nazionale del notariato con delibera n. 2/56 del 5 aprile 2008.
3) Parte controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perché le censure di cui all’art. 360 n. 3 e 5 sarebbero state indebitamente cumulate.
Il rilievo, che fa leva sulla citazione di Cass. 19443/11, è infondato.
L’inammissibilità di cui si discute non può sussistere allorquando il ricorso per cassazione, pur presentando congiuntamente in rubrica i due profili di censura, esibisca sufficiente specificità, cioè la caratteristica che principalmente contraddistingue l’impugnazione in sede di legittimità.
Pertanto allorquando il motivo di ricorso evidenzi nitidamente nel proprio seno i profili attinenti la ricostruzione del fatto e passi successivamente alla trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o alla applicazione della o delle norme appropriate alla fattispecie, non v’è luogo per rilevare vii del ricorso stesso.
E’ anzi insegnamento dottrinale ed esperienziale che, in alcuni casi (sia pur non costituenti regola generale), la trattazione congiunta dei profili di fatto e di diritto, per il loro intrecciarsi nella vicenda processuale, consigli l’unitaria trattazione, al fine di far meglio cogliere al collegio giudicante l’impianto della censura.
Val bene ricordare che anche nella vigenza dell’art. 366 bis c.p.c, il quale, imponendo la formulazione del quesito di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso, esigeva maggior precisione nell’individuazione della critica, si è ritenuto ammissibile un unico articolato motivo d’impugnazione relativo a vizi diversi, qualora lo stesso si concludesse con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali riferito al singolo profilo dedotto e idoneamente formulato (SU 5624/09; Cass. 15242/12). 4) Il primo profilo del motivo di ricorso, che attiene al vizio di motivazione, lamenta che la Corte di appello non abbia tenuto conto del fatto che i compensi percepiti dall’ incolpato fossero stati addirittura inferiori ai compensi base “previsti per le prestazioni di scritturato, registrazione e trascrizione dell’atto”, al di là dei compensi aggiuntivi di cui all’art. 30 della tariffa (dm 27/9/2001).
La censura è inammissibile perché viziata da genericità. Essa non indica infatti da quale risultanza si sarebbe dovuto desumere quanto affermato e non ne riporta né il contenuto esatto, né gli estremi di produzione del documento relativo. In tal modo impedisce alla Corte di verificare se sia vero quanto affermato. La rilevanza del fatto controverso sopraindicato è peraltro esigua, giacché esso mirava a meglio lumeggiare la ed. “questione di fondo” posta con il motivo di ricorso, questione che attiene alla liceità dei minimi tariffari.
4.0) Il ricorso viene poi alla c.d. “questione di fondo” attinente la violazione dei minimi tariffari.
Secondo l’orientamento tradizionale, di recente riassunto da Cass. 26961/07, “La riduzione degli onorari e dei diritti notarili, effettuata dal notaio in modo ripetuto e continuato, costituisce di per sé una forma di illecita concorrenza, a norma del comma secondo dell’art. 147 legge notarile n. 89 del 1913, rappresentando un mezzo di pubblicità e di richiamo idoneo a porre in essere un comportamento disdicevole, con la conseguenza che per integrare l’illecito non è necessario uno specifico comportamento doloso, ma è sufficiente la volontarietà del fatto in sé, ossia una volontà, considerata in rapporto alla condotta, in contrasto con la legge, mentre è irrilevante che da tale comportamento non derivi un danno per il prestigio della classe notarile o dei colleghi o la circostanza che i clienti del notaio non si siano resi conto del trattamento di favore usato nei loro confronti.”
Con riferimento a fatti compiuti anteriormente all’entrata in vigore del citato art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, si è ritenuto (Cass., 15 aprile 2008, n. 9878) che sia “da escludere che, in relazione all’attività notarile – concretantesi nello svolgimento di una pubblica funzione, per l’esercizio della quale l’ordinamento prevede l’istituzione di pubblici ufficiali, in possesso di particolari requisiti soggettivi, nominati a seguito di un esame d’idoneità, soggetti a vigilanza e periodici controlli ispettivi, sottoposti a rigorose regole disciplinari – sia ipotizzabile la possibilità di una libera prestazione di servizi, in regime di concorrenza, da parte di altri professionisti dello stesso paese o di altri paesi della Comunità, la quale renda incompatibile l’inderogabilità delle tariffe con le menzionate disposizioni CE.”
4.1) Questo orientamento è considerato non più attuale dal Collegio, alla luce della sopravvenuta evoluzione normativa costituita dall’art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, nella cui vigenza è stata posta in essere la condotta addebitata all’odierna ricorrente.
Conviene riprendere testualmente la sentenza resa sul ricorso 5998/12, trattato e deciso nella odierna camera di consiglio.
Si è ivi osservato che la norma citata, “nel testo risultante dalle modifiche apportata dalla legge di conversione, prevede:
– l’abrogazione, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, delle «disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime» (comma 1, lettera a);
– l’adeguamento, entro il 1° gennaio 2007, delle «disposizioni deontologiche» e dei «codici di disciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1», «anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali», e, «in caso di mancato adeguamento», la nullità, a decorrere dalla medesima data, delle «norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1» (comma 3).
Il legislatore del 2006 disvela anche la finalità del superamento del previgente assetto regolamentare della materia tariffaria.
L’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse, con la conseguente conformazione delle norme deontologiche e dei codici di autodisciplina, mira a «rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell’ economia e dell’ occupazione» (art- 1) , rendendo possibile la «libera concorrenza» nel settore dei servizi professionali e garantendo agli utenti «un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato» (art. 2, comma 1).
4.2) Ad avviso del Collegio, l’abrogazione della obbligatorietà di tariffe fisse o minime riguarda la generalità delle professioni, senza eccezione alcuna; né la portata riformatrice del precedente assetto – orientata alla tutela della concorrenza e ad offrire all’utente “una più ampia possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi” (Corte cost., sentenza n. 443 del 2007) -può essere ridimensionata dall’interprete in ragione delle specificità dell’attività notarile.
In particolare, non può convenirsi con il giudice a quo quando afferma che, per l’attività notarile, la riduzione tariffaria costituirebbe un vulnus dell’ordine pubblico economico in quanto riguarderebbe prestazioni effettuate nell’ esercizio di una funzione pubblica, in relazione alla quale non sarebbe ipotizzabile il regime di libera concorrenza.
Invero, l’attività del notaio si inquadra a pieno titolo nel genus del lavoro autonomo e, precisamente, nell’esercizio delle professioni intellettuali (Cass., Sez. II, 10 novembre 1998, n. 11284; Cass., Sez. II, 11 maggio 2012, n. 7404; Cass., Sez. Ili, 28 settembre 2012, n. 16549).
4.3) Come ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia (con sentenze della Grande Sezione in data 24 maggio 2011, emesse nella causa C-50/08 ed in altre cause, le quali hanno dichiarato che il requisito di cittadinanza previsto dalla normativa francese e da altre normative nazionali per l’accesso alla professione di notaio costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza vietata dall’art. 43 CE), i notai, “nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali”, esercitano la loro professione “in condizioni di concorrenza”; e la circostanza che le attività notarili perseguano obiettivi di interesse generale, miranti in particolare a garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, non è sufficiente a far considerare quelle attività come una forma di “partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri”.
Del resto, l’inserimento dell’attività notarile nel quadro dei servizi professionali ai quali si applica la disciplina della concorrenza è confermato dalla successiva evoluzione normativa, in particolare dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Esso, nel completare il quadro avviato con il decreto-legge n. 223 del 2006, non solo non eccettua, ancora una volta, i notai dalla prevista abrogazione delle tariffe «delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico» e delle «disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano» a dette tariffe (art. 9); ma anche introduce, accanto all’incremento del numero dei notai, ulteriori forme di concorrenza nei distretti, modificando la norma sull’ assistenza personale allo studio e stabilendo, a modifica delle originarie disposizioni contenute nella legge notarile del 1913, che «Il notaio può recarsi, per ragione delle sue funzioni, in tutto il territorio del distretto della Corte d’appello in cui trovasi la sua sede notarile, ed aprire un ufficio secondario nel territorio del distretto notarile in cui trovasi la sede stessa» (art. 12).
4.4) D’altra parte, la sopravvivenza della inderogabilità della tariffa notarile neppure potrebbe desumersi dal fatto che gli onorari dovuti al notaio secondo la tariffa per gli atti originali (e non genericamente i “compensi” spettanti al notaio) costituiscono, in virtù di specifiche disposizioni di legge, il parametro sulla cui base sono calcolati, oltre a tributi, contribuzioni relative anche al funzionamento dei consigli notarili distrettuali e del consiglio nazionale del notariato (v., ad esempio, l’art. 39 della legge 22 novembre 1954, n. 1158, concernente la tassa d’archivio, che le parti devono corrispondere all’amministrazione degli archivi notarili tramite il notaio sulla base dell’onorario della tariffa notarile per l’originale di ogni atto tra vivi soggetto a registrazione e di ogni atto di ultima volontà). Un conto, infatti, è il compenso spettante al notaio, in relazione al quale, essendo venuta meno l’obbligatorietà della tariffa fissa, le parti possono legittimamente, secondo la disciplina liberalizzatrice a tutela della concorrenza, stabilirne di comune accordo una misura inferiore a quella derivante dalla tariffa ministeriale; altro è che, ad altri fini, la tariffa costituisca ancora una base di riferimento per l’esatto versamento della tassa d’archivio e dei contributi agli organi istituzionali di categoria.
4.5) Infine, non è condivisibile l’assunto secondo cui l’inderogabilità della tariffa dei notai sarebbe stata ripristinata ad opera dell’art. 30 del d.lgs. n. 249 del 2006, il quale, nel riformulare l’art. 147 della legge notarile con l’espressa previsione della punibilità del notaio che «fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi», è contenuto in un atto avente forza di legge entrato in vigore successivamente tanto al decreto-legge n. 223 del 2006, quanto alla legge di conversione n. 248 del 2006.
Deve infatti escludersi che l’art. 30 del d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 184 della Gazzetta Ufficialo dell’11 agosto 2006 e destinato ad entrare in vigore il quindicesimo giorno successivo alla predetta data di pubblicazione) sia posteriore alla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248 (le cui modificazioni al decreto-legge n. 223 sono entrate in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiala, avvenuta nel supplemento ordinario n. 183 dell’11 agosto 2006). E’ infatti in base alla promulgazione che va stabilita l’anteriorità o posteriorità di una legge rispetto alle altre ai fini dell’abrogazione attiva o passiva, mentre la pubblicazione ed il decorso del termine di vacatio valgono a segnare l’entrata in vigore, e quindi l’applicabilità della legge.
In questo senso è la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui “per stabilire l’anteriorità o la posteriorità di una legge rispetto ad un’altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicché la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo” (sentenza n. 321 del 1983).
Ne consegue che l’art. 30 del d.lgs. n. 249 del 2006, essendo stato emanato il 1° agosto 2006, è anteriore alla legge n. 248 del 2006, promulgata il 4 agosto 2006; e quest’ultima, avendo una valenza di sistema e di riforma economico-sociale, con l’esplicito obiettivo di assoggettare tutte le professioni ai principi di tutela della concorrenza, prevale sulle anteriori discipline professionali di settore.
Il venir meno, dopo l’abrogazione della obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, della rilevanza disciplinare della percezione, da parte del notaio, di compensi più contenuti rispetto a quelli stabiliti dalla tariffa, è del resto confermata dall’adeguamento alla nuova disciplina legislativa, da parte del Consiglio nazionale del notariato, dei principi di deontologia professionale dei notai,
Mentre, infatti, il testo di quei principi approvato del 26 gennaio 2007 faceva ancora rientrare tra le fattispecie di illecita concorrenza “l’annotazione a repertorio di onorari minori o ridotti rispetto a quelli che devono essere indicati in base alla natura dell’atto” (art. 17, lettera a, terzo alinea); il nuovo testo, approvato con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008, per un verso ha eliminato detta previsione e, per l’altro verso, ha omesso il richiamo deontologico alla disposizione dell’art. 147 della legge notarile nel nuovo art. 24, secondo comma, lettera e), relativo ai rapporti del notaio con il Consiglio nazionale del notariato e con la Cassa nazionale del notariato.
4.6) Conclusivamente, per effetto della disciplina introdotta dalla legge di conversione n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006, il notaio che, quand’anche sistematicamente, offra la propria prestazione ad onorari e compensi più contenuti rispetto a quelli derivanti dall’applicazione della tariffa notarile, non pone in essere, per ciò solo, un comportamento di illecita concorrenza, essendone venuta meno la rilevanza sul piano disciplinare della relativa condotta.
– Detta rilevanza neppure potrebbe fondarsi assegnando alla tariffa o ai criteri di massima determinati dai consigli notarili distrettuali il ruolo di parametro di valutazione della congruità del compenso stesso sul versante del rapporto tra il notaio e la categoria di appartenenza ai fini della tutela del decoro e del prestigio della professione notarile.
Tale ragionamento sostituisce all’ apprezzamento del singolo notaio circa l’importanza dell’opera ed il suo coefficiente di difficoltà una valutazione ex ante di natura generalizzata affidata alla tariffa, con la sostanziale reviviscenza dell’obbligatorietà della stessa; e, con un non consentito rovesciamento di prospettiva, finisce con il collidere con la ratio dell’intervento legislativo del 2006, la quale, al fine di rendere effettiva la libertà del cliente di orientarsi consapevolmente, di preferire e di decidere, ha inteso perseguire la tutela dell’ interesse generale proprio mediante l’introduzione della concorrenza su uno degli elementi più qualificanti, il prezzo, dell’attività economica del professionista.
Si consideri, d’altra parte, che l’art. 2233, secondo comma, cod. civ., nel prevedere che «In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione», è norma destinata ad assumere rilievo solo in mancanza di un’ intesa fra gli interessati circa la misura del corrispettivo dovuto per la prestazione professionale {Cass., Sez. Il, 22 gennaio 2000, n. 694; Cass., Sez. Lav., 20 luglio 2007, n. 16134), sicché qualora il compenso del professionista sia stato liberamente pattuito con il cliente, il giudice non ha il potere di modificarlo al fine di adeguarlo all’importanza dell’opera prestata e al decoro della professione (Cass., Sez. II, 22 novembre 1995, n. 12095). La citata disposizione, inoltre, esplicando la propria rilevanza esclusivamente nell’ambito dei rapporti tra il professionista ed il cliente, non si rivolge (agli ordini professionali né) ai consigli notarili, i quali non hanno il potere di pretendere, sul piano deontologico, che il compenso della prestazione professionale, liberamente pattuito, sia in ogni caso adeguato a parametri che, di fatto, reintrodurrebbero l’obbligatorietà della tariffa notarile.
Diversamente ragionando, e lasciandosi ai consigli notarili il compito di attivare i propri poteri di monitoraggio, di vigilanza e di indagine sul notaio che richieda compensi più bassi rispetto a quelli medi della categoria, si giungerebbe ad un condizionamento del comportamento economico del professionista sul mercato, incentivandolo, al fine di sottrarsi ad un procedimento disciplinare dall’ esito incerto, a continuare ad applicare tariffe imposte, in aperto contrasto, ancora un volta, con la ratio logia.
4.7) Ferma l’irrilevanza disciplinare della mera adozione, da parte del notaio, di comportamenti di prezzo indipendenti sul mercato, l’estensione dell’autonomia privata, con la conseguente possibilità di pattuire compensi inferiori rispetto a quelli discendenti dalla applicazione della tariffa, non deve in ogni caso tradursi in un pregiudizio per il cliente in termini di qualità della prestazione (come è reso palese dalla norma che affida alle disposizioni deontologiche delle diverse categorie professionali ed ai codici di autodisciplina il compito di prevedere «misure a garanzia delle qualità delle prestazioni professionali»: art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 223 del 2006), né può realizzarsi attraverso pratiche professionali scorrette e con strumenti di acquisizione della clientela non conformi all’ etica della comunità professionale alla quale il notaio appartiene e del più vasto gruppo sociale entro il quale svolge la sua professione e anche la sua vita di relazione (cfr. , con riferimento agli avvocati, Cass. , Sez. Un., 18 novembre 2010, n. 23287; Cass., Sez. Un., 10 agosto 2012, n. 14368).
Di qui l’importanza, per un verso, della previsione di regole deontologiche che quella qualità consentano sempre di assicurare, in conformità delle speciali e peculiari caratteristiche tecniche della professione notarile. Il notaio, infatti, giurista di alta qualificazione che accede alla professione a seguito di una rigorosa selezione e sottoposto a vigilanza e controlli ispettivi anche a fini disciplinari, è un pubblico ufficiale con il compito di attribuire agli atti di cui è autore il carattere di autenticità, assicurandone al contempo la conservazione, l’efficacia probatoria e la forza esecutiva; ed il suo intervento, tanto per la consulenza che fornisce in modo imparziale ma attivo alle parti, come per la redazione del documento autentico che ne è il risultato, conferisce all’utente del diritto la sicurezza giuridica e, prevenendo possibili liti, costituisce un elemento indispensabile per la stessa amministrazione della giustizia. Ma come la tariffa non è di per sé garanzia della qualità della prestazione, cosi la deroga alla tariffa con la pattuizione di un compenso più basso rispetto alla stessa non equivale in alcun modo a prestazione scadente.
Di qui, ancora, la sanzionabilità, sotto il profilo disciplinare, dell’illecita concorrenza realizzata attraverso comportamenti del notaio contrari ai doveri di correttezza professionale o servendosi di altri mezzi non confacenti al decoro ed al prestigio della classe notarile, come il citato art. 147, comma 1, lettera e, continua a prevedere, una volta venuto meno, per abrogazione, il riferimento alla condotta di riduzioni di onorari, diritti o compensi. Il che avviene, a titolo esemplificativo, quando il notaio esegua la propria prestazione in modo sistematicamente frettoloso o compiacente o violi il principio di personalità della prestazione, ovvero provveda a documentare irregolarmente, anche dal punto di vista fiscale, la prestazione resa, o ponga in essere comportamenti di impronta prettamente commerciale non confacenti all’etica professionale (si pensi all’ acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza o al decoro, o, ancora, all’offerta di servizi, come finanziamenti e anticipazioni di somme, che non rientrano nell’esercizio dell’ attività notarile) o non adeguati alla diligenza del professionista avveduto e scrupoloso, o che possano comunque nuocere alla sua indipendenza, alla sua imparzialità e alla sua qualità di pubblico ufficiale.”
5) Al Collegio non sfugge la delicatezza delle questioni poste con il ricorso, abilmente illustrate in udienza, con riguardo al “decoro professionale” e al rischio che una indiscriminata politica di ribassi tariffari possa pregiudicare il ruolo stesso del notaio.
Va però ribattuto che la difesa della figura del professionista notaio e della deontologia che connota questa peculiare attività non può essere più affidata alla rigida osservanza dello strumento tariffario, ormai, come si è visto, inadeguato rispetto alle esigenze emerse a livello legislativo.
Si possono però individuare, sul piano disciplinare che qui rileva, almeno due versanti di “tenuta” dell’equilibrio tra professionalità e regime dei compensi.
Il primo attiene a condotte concorrenzialmente scorrette o anche soltanto predatorie, che si caratterizzino cioè per politiche di mercato, conosciute nel diritto industriale e descritte in dottrina e giurisprudenza, che mirano a ostacolare una concorrenza effettiva nel mercato e non a realizzarne i benefici effetti. 5.1) Il secondo versante di sviluppo dell’azione disciplinare attiene alla verifica, ben più incisiva di quanto indirettamente sin qui ottenuto mediante il controllo sull’osservanza delle tariffe, del rispetto dei criteri di personalità, territorialità e qualità della prestazione, di adeguatezza di essa, di congruità tra quanto attestato e la tempistica necessaria alla preparazione, spiegazione e formalizzazione dell’atto.
Le argomentazioni spese in ricorso a tutela del decoro professionale sottendono, senza dirlo, questo timore: che l’attività serialmente prestata, previo disinvolto accaparramento dei clienti, sì riveli carente sotto il livello qualitativo, fidando sulla incapacità della clientela di rendersi conto dell’insufficiente rigore e della (in)completezza della prestazione ricevuta.
Ciò però impegna gli organismi di controllo a verifiche adeguate a questa prospettiva, senza poter fidare sulla scorciatoia ~ non più praticabile – di prevenire o interdire questi comportamenti con una sostanziale equiparazione dei compensi (tramite le tariffe), che rendeva inutile per il cliente la ricerca del minor costo e costituiva filtro indiretto della caduta di professionalità causata da un’attività sviluppata quantitativamente grazie ai ribassi.
6) Dalle argomentazioni svolte discende il rigetto del ricorso. Le spese di lite vanno compensate, in ragione della eccezionale novità dell’orientamento giurisprudenziale che è prevalso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Spese compensate.
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