CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 aprile 2017, n. 10550
Tributi – ICI – Diritto di superficie – Convenzioni di riqualificazione area – Decorrenza immediata – Soggezione a imposta – Rideterminazione base imponibile
Fatti di causa
La Commissione tributaria regionale della Liguria respingeva l’appello proposto da F.A. s.r.l. – subentrata a F.C.F. s.p.a. – avverso la declaratoria di legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di F.C.F. per l’imposta comunale sugli immobili relativa al G.H.A., annualità 2004.
In linea con la decisione di primo grado, il giudice del gravame riteneva che il diritto di superficie e il pertinente carico tributario decorressero fin dalla stipula delle convenzioni del 26 marzo 2001 e 20 gennaio 2003 con le quali il Comune di Alassio aveva affidato a C. s.p.a. (poi rilevata da F.C.F.) la riqualificazione della struttura alberghiera, concedendole di realizzarvi e gestirvi un parcheggio interrato e un centro talassoterapico.
Sempre in conformità al primo giudice, il giudice d’appello aggiungeva che il debito tributario non era stato oggetto di una valida specifica esenzione convenzionale e che corretta era stata la rideterminazione della base imponibile con abbattimento del 20% per incidenza dei lavori sul valore dell’area.
F.A. ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria.
Il Comune resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1370 cod. civ., per aver il giudice d’appello interpretato le convenzioni inter partes nel senso che il diritto di superficie si sia costituito già alla stipula dei negozi, anziché solo al collaudo dell’opera.
1.1. Il motivo è infondato.
Il diritto di superficie è il «diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà» (art. 952 cod. civ.); analogo, per natura e regime, il «diritto di fare e mantenere costruzioni al disotto del suolo altrui» (art. 955 cod. civ.).
Per come trascritte in ricorso, le predette convenzioni, all’art. 2, istituiscono tale «diritto di fare e mantenere» con effetto immediato, ciò che emerge dall’uso del verbo al modo indicativo («concede e costituisce»); il collaudo dell’opera è indicato a fini differenti, quale dies a quo del termine di ottantacinque anni fissato per la gestione dell’opera.
L’interpretazione letterale non è punto incompatibile con le altre clausole negoziali: in particolare, con l’art. 20 delle convenzioni, che, riferendosi al «diritto di mantenere l’opera … per la durata di ottantacinque anni», si limita a ribadire l’esistenza di un termine finale ex art. 953 cod. civ., senza nulla dire sul termine iniziale, quest’ultimo da riferire viceversa alla fattispecie complessiva («fare», prima di «mantenere»).
Posto al centro della decisione il canone testuale, quindi, il giudice d’appello non ha violato alcun altro criterio ermeneutico.
Si rammenta che il sindacato di legittimità sull’interpretazione del contratto non può investire il risultato interpretativo in sé, appartenente all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma può riguardare solo l’osservanza dei canoni ermeneutici legali e la coerenza della motivazione (Cass. 13 febbraio 2002, n. 2074, Rv. 552238; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465, Rv. 634161).
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 52 d.lgs. 446/1997, per aver il giudice d’appello negato l’esistenza di una specifica valida esenzione convenzionale dal debito ICI.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La ricorrente si sofferma sull’astratta legittimità dell’esonero pattizio dal debito tributario alla luce dell’art. 52 d.lgs. 446/1997, ma omette di riprodurre le clausole che tale esonero avrebbero concesso nella fattispecie concreta.
In tal modo, la ricorrente ha violato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, impedendo alla Corte di valutare la decisività del mezzo.
Riguardo alla quale, tuttavia, non può sottacersi che l’art. 52 d.lgs. 446/1997 concerne la potestà regolamentare degli enti locali e non le mere fattispecie negoziali (per la nullità di deroghe convenzionali in materia tributaria, Cass. 30 maggio 2002, n. 7945, Rv. 554773; Cass. 9 novembre 2004, n. 21311, Rv. 578242).
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 504/1992 e omesso esame di fatto decisivo, per non aver il giudice d’appello riconosciuto l’azzeramento della base imponibile derivante dagli oneri di adattamento del terreno e dai prezzi medi di aree analoghe.
3.1. Il motivo è inammissibile.
In aperta violazione del principio di autosufficienza, il ricorso non riproduce l’avviso di accertamento, sicché resta impedito alla Corte di verificare lo sviluppo del calcolo d’imposta in rapporto ai parametri stabiliti dall’art. 5 d.lgs. 504/1992.
Quindi, non è possibile valutare la decisività del mezzo.
4. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.200,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Dichiara che la ricorrente ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. 115/2002.
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