CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 aprile 2013, n. 18833
Bancarotta – Reati fallimentari – Bancarotta impropria per dissipazione – Limiti
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 16 gennaio 2012 la Corte d’Appello di Milano, in ciò confermando la decisione assunta dal locale Tribunale (invece riformata In ordine ad altro reato), ha riconosciuto E. F. responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta impropria per dissipazione di cui alla lettera B) del capo d’Imputazione, in relazione al fallimento della società E. Finanziaria S.p.A., della quale era stato direttore generale.
1.1. Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, il F. aveva stipulato l’atto di acquisto della società I. e pagato a favore di questa delle fatture per operazioni inesistenti, il cui corrispettivo era poi affluito – a titolo non chiaro e anzi sospetto – nella disponibilità di tale C., dipendente del gruppo D’A.. In tale complesso di operazioni si è ravvisata la dissipazione del patrimonio della società poi fallita, attesa la totale eccentricità della I. e dell’attività da questa esercitata rispetto all’oggetto sociale della E. Finanziaria s.p.a.,
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a cinque motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione di norme processuali, con riferimento all’incompletezza del materiale posto dal pubblico ministero a disposizione della difesa, malgrado l’istanza espressamente rivoltagli in data 17 maggio 2001 e il successivo sollecito del giugno 2001.
2.2. Col secondo motivo, articolato in più censure, il ricorrente denuncia errata applicazione della norma penale sotto il duplice profilo dell’elemento oggettivo e di quello psicologico, di cui deduce l’insussistenza; invoca l’applicazione dei principi riguardanti le operazioni infragruppo; lamenta la mancata applicazione dell’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 219 legge fall..
2.3. Col terzo motivo deduce carenza e/o illogicità della motivazione sotto svariati profili, riguardanti: la contraddittorietà rispetto al ruolo dell’Imputato nella società e alla consapevolezza dello squilibrio finanziarlo; l’errata comprensione da parte del giudice dell’operazione I.; l’attualità e concretezza dell’interesse della società all’interporto; la dedotta infondatezza del giudizio di irrazionalità dell’investimento e della previsione di una rapida obsolescenza del know-how, la – contestata – natura dissipativa dell’operazione di intermediazione mobiliare.
2.4. Col quarto motivo deduce vizio di motivazione per mancata confutazione delle prove addotte a difesa, avuto riguardo all’Interesse del gruppo D’A. nei confronti dell’interporto e alla non conoscibilità, da parte del F., di eventuali altri scopi perseguiti dal D’A..
2.5. Col quinto motivo, infine, il ricorrente impugna il rigetto della tesi volta a ricondurre il fatto nell’area di applicabilità dell’art. 217 legge fall..
Considerato in diritto
1. L’eccezione che informa il primo motivo dì ricorso è inammissibile, in quanto priva del requisito di specificità. Affinché possa dirsi rispettato il precetto di cui all’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., che fa obbligo alla parte impugnante di indicare specificamente le ragioni di fatto e di diritto che sorreggono ogni sua richiesta, il motivo di ricorso diretto a far valere la nullità derivante dal mancato accoglimento di una legittima richiesta della difesa deve innanzi tutto contenere l’indicazione, precisa e circostanziata, dell’oggetto di essa.
1.1. Nel caso di cui ci si occupa II ricorrente lamenta che il pubblico ministero non abbia dato seguito all’Istanza difensiva rivoltagli il 17 maggio 2001 e reiterata il 18 giugno 2001, riferendosi ad essa per relationem, ma omettendo di specificare quale fosse il provvedimento richiesto. Dal contesto delle affermazioni che illustrano la doglianza si evince essersi trattato di un’istanza di autorizzazione all’esame di atti del procedimento; ma l’incertezza che deriva dalla mancata precisazione della natura di tali atti è aggravata dall’ancipite riferimento, quale supporto normativo, agli artt. 366, comma 1, e all’art. 233, comma 1-bis del codice di rito. La prima di tali disposizioni riconosce incondizionatamente al difensore la facoltà di prendere visione degli atti depositati e delle cose sequestrate, senza necessità di autorizzazione del pubblico ministero, onde non è comprensibile la sua correlazione alla denuncia di mancata emissione del provvedimento autorizzativo; la seconda disposizione si riferisce alla consulenza tecnica, fuori dei casi di perizia, e prevede la possibilità per il difensore di chiedere che il consulente di parte sia autorizzato a prendere visione delle cose sequestrate nel luogo in cui si trovano; manca tuttavia nel ricorso, anche sotto tale profilo, una precisa indicazione circa la pertinenza del dettato normativo alla richiesta di cui si lamenta il mancato accoglimento.
1.2. Interpretando un passaggio argomentativo svolto dal ricorrente nel richiamarsi alle memorie difensive del 26 giugno 2004 e dell’11 settembre 2004 (anch’esse, peraltro, indebitamente richiamate soltanto per relationem), si può Intendere che oggetto della doglianza sia la mancata possibilità di visionare il verbale di perquisizione e sequestro del 18 ottobre 2000 e della documentazione sequestrata. Ma, se così è, si ricade nell’ipotesi di cui al citato art. 366, comma 1, cod. proc. pen., con la conseguenza che il difensore aveva la possibilità di prendere visione dei relativi atti, senza necessità di autorizzazione.
1.3. Conclusivamente, al di là di ogni sforzo interpretativo, va ribadito il giudizio di genericità del primo motivo di ricorso, attesa la mancanza di elementi utili a far comprendere l’oggetto dell’eccezione e le ragioni giuridiche su cui essa si fonda.
2. Il secondo motivo si rivela fondato, con efficacia assorbente nei confronti di ogni altra censura, nella parte In cui contrasta la motivazione addotta dalla Corte di appello in ordine alta configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per dissipazione, con riferimento all’acquisizione delle quote di partecipazione nella società I. e ai rapporti con essa intercorsi.
2.1. Secondo i giudici di merito la natura dissipativa della condotta accertata sarebbe evidenziata dai connotati dell’operazione, da considerarsi frutto di una cattiva valutazione del mercato e del settore di intervento della società acquisita, atteso che l’interesse della E. Finanziaria – e dello stesso gruppo D’A. nel suo complesso – nei confronti del progetto “interporto” non era attuale e concreto in quel momento; donde il convincimento che l’iniziativa così assunta fosse irrazionale, rispetto al settore di effettivo interesse: e ciò a maggior ragione in quanto i dati acquistati con il know-how erano destinati a una rapida obsolescenza, per cu) lo stesso F. – che già in precedenza si era interessato al settore trasporto – avrebbe dovuto rendersi conto dell’assoluta inutilità dell’Investimento. La sola utilità dell’operazione ai fini fiscali non poteva certamente giustificare, secondo la Corte territoriale, gli esborsi di importi pari a oltre quattro miliardi di lire, senza alcun reale beneficio per la società poi fallita.
2.2. La motivazione così sviluppata sembra indirizzata a muovere aspre critiche al F. per le sue scelte imprenditoriali, sotto il profilo dell’adozione di una strategia dimostrativa di incapacità gestionale, piuttosto che a giustificare la condanna penale a titolo di bancarotta fraudolenta per dissipazione. In proposito occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la condotta dissipativa consiste nello sperpero del patrimonio aziendale per scopi del tutto estranei all’Impresa (Sez. 5, n. 47040 del 19/10/2011, Presutti, Rv. 251218; Sez. 5, n. 38835 del 23/10/2002, Gallucdo, Rv. 225398; Sez. 5, n. 12874 del 07/03/1989, Bruzzese, Rv. 182141; Sez. 5, n, 5850 del 21/03/1979, Gilli, Rv. 142343). Rispetto a tale nozione del reato ascritto, il discorso giustificativo sviluppato dalla Corte di merito è del tutto eccentrico in quanto afferma, bensì, che la gestione dell’imputato ha contribuito a dar luogo ai decremento del patrimonio della E. Finanziaria, ma ne colloca il verificarsi all’interno della dinamica imprenditoriale, senza che risulti individuata una destinazione delle attività patrimoniali a scopi estranei alla conduzione – sia pur giudicata improvvida – dell’impresa gestita.
3. Per quanto suesposto la sentenza, viziata da manifesta illogicità della motivazione, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.
3.1. Non sfugge a questa Corte l’immediata prossimità della scadenza del termine prescrizionale; non si ritiene, peraltro, che ciò possa condizionare la pronuncia cui si è chiamati In questa sede, non condividendosi il principio affermato da Sez. 2, n, 25671 del 19/05/2009, Sistro, Rv. 244168, secondo cui l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione del reato va disposto dalla Corte di Cassazione anche quando il relativo termine non sia ancora scaduto, ma sia di prossima maturazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, altra sezione, per nuovo esame.
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