Corte di Cassazione sentenza n. 1.338 del 21 giugno 2012
LAVORO SUBORDINATO – LAVORO (RAPPORTO DI) – LAVORO: A TERMINE – CONTRATTAZIONE COLLETTIVA – ONERE DELLA PROVA – APPOSIZIONE DEL TERMINE
massima
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In materia d’assunzione a termine dei lavoratori subordinati, anche nella vigenza della L. 28 febbraio 1987, n. 56 è applicabile la disposizione di cui all’art. 3 della L. 230/1962, in materia d’onere della prova a carico del datore di lavoro sulle condizioni che giustificano l’apposizione del termine al contratto di lavoro.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14 giugno 2006 la Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 7 aprile 2003 che ha dichiarato (OMISSIS) lavoratrice subordinata a tempo indeterminato alle dipendenze della (OMISSIS) s.p.a. dal 5 settembre 1997 con diritto da tale data e fino al 7 settembre 1998 alla qualifica di aiuto arredatore di terzo livello, classe di retribuzione 6, dall’8 settembre 1998 in poi come aiuto scenografo – aiuto arredatore di terzo livello, classe di retribuzione 5, ed ha condannato la (OMISSIS) al pagamento in favore della (OMISSIS) delle retribuzioni maturate nella qualifica di aiuto scenografo -aiuto arredatore di terzo livello dal 7 giugno 2000 sino all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che i contratti a tempo determinato, che avevano regolato il rapporto di lavoro fra le parti, erano stati stipulati ai sensi della Legge 18 aprile 1962 n. 230, articolo 1, comma 2 lettera e) nel testo introdotto dalla Legge 23 maggio 1977 n. 366 secondo cui è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici e televisivi, e tale ipotesi ricorre, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, solo in caso di sopperimento ad una temporanea necessità e in presenza di uno stretto collegamento tra l’assunzione del lavoratore e l’allestimento dello spettacolo o del programma, determinante il cosiddetto vincolo di necessità diretta. Nel caso in esame la Corte romana non ha ravvisato, nel lavoro svolto dalla (OMISSIS) detto vincolo.
La (OMISSIS) propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi.
Resiste con controricorso la (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della Legge n. 230 del 1962, articolo 1, comma 2, lettera e), così come modificato dalla Legge n. 266 del 1977, e della Legge n. 56 del 1987, articolo 23, anche con riferimento all’accordo sindacale del 5 aprile 1997, e difetto di motivazione su questioni decisive dedotte anche dinanzi alla Corte territoriale e, comunque motivazione insufficiente e contraddittoria. In particolare si lamenta che la Corte romana non avrebbe considerato che la lavoratrice sarebbe stata assunta per la produzione di specifici programmi televisivi, ed il concetto di specificità di cui alla norma che consente l’assunzione con contratti di lavoro a termine dovrebbe essere inteso nel senso di opere straordinarie od occasionali, e la norma sarebbe intesa proprio a consentire una rotazione nel lavoro artistico.
Con secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della Legge n. 56 del 1987, articolo 23 con riferimento all’accordo sindacale del 5 aprile 1997; violazione e falsa applicazione dell’articolo 1375 cod. civ. anche in relazione all’articolo 1366 del citato codice; difetto di motivazione su questioni decisive dedotte dalla (OMISSIS) e, comunque, omessa motivazione o motivazione insufficiente e contraddittoria su punti decisivi della controversia prospettati dalla difesa della (OMISSIS) anche in relazione all’applicazione dell’accordo sindacale del 5 aprile 1997 e degli articoli 1375 e 1366 cod. civ., e della eccezione di compensazione ritualmente formulata dalla (OMISSIS).
Il ricorso non è fondato. La sentenza da atto che i contratti di lavoro a termine in questione sono stati stipulati ai sensi della Legge n. 230 del 1962 come modificato dalla Legge 23 maggio 1977, n. 266; più precisamente il primo dei tre contratti in questione è stato certamente stipulato ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera e) di detta legge. Tale circostanza appare pacifica non essendo smentita dalla (OMISSIS) che, nel rispetto del principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, ha riprodotto il contenuto dei contratti. La (OMISSIS) fonda la propria difesa sull’applicazione della Legge n. 56 del 1987, articolo 23.
Osserva il collegio che non è legittima l’applicazione d’ufficio della disciplina applicabile ratione temporis, ossia l’accordo sindacale collegato all’articolo 23 citato stante il tenore letterale del primo dei contratti a termine in argomento che fa esclusivo riferimento, come detto, alla Legge n. 230 del 1962, articolo 1 comma 2, lettera e). Pertanto, considerando la normativa dettata dalla Legge n. 230 del 1962, va osservato che, a norma dell’articolo 1, comma 3, la forma scritta “ad substantiam” è richiesta solo per l’apposizione del termine di durata del rapporto di lavoro, e non anche per le particolari situazioni di fatto che, a norma degli articoli 1 e 2 della citata legge, giustificano il ricorso al contratto a termine e la relativa proroga; tuttavia, se il datore di lavoro ha specificato nel contratto scritto di assunzione la fattispecie legittimante l’apposizione del termine, lo stesso, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede in tema di contratti, è vincolato a tale fattispecie e pertanto, a fronte di una contestazione della legittimità del termine, ha l’onere di provare la sussistenza della fattispecie legittimante indicata nel contratto di assunzione, essendogli preclusa la possibilità di invocare e di provare la sussistenza di altre fattispecie legittimanti non indicate (Cass. 10 aprile 2006 n. 8294). Nel caso in esame nel contratto a termine viene appunto specificata la fattispecie legittimante l’apposizione del termine per cui il datore di lavoro avrebbe dovuto provare in concreto, nel caso specifico, la natura particolare del programma per il quale è stata concordata l’assunzione a termine e la necessità diretta dell’apporto lavorativo della lavoratrice interessata. A tale riguardo la Corte territoriale ha motivato in modo corretto ed esauriente la mancata configurabilità, nel caso in esame, del vincolo di necessità diretta che, secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata anche dalla stessa sentenza impugnata, legittimano l’apposizione del termine ai sensi del citato art. 1, comma 2, lett. e).
Il secondo motivo è inammissibile. Il motivo appare nuovo non essendo riprodotto il corrispondente motivo di appello sul quale la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata e difettando, in questo caso, il requisito dell’autosufficienza del ricorso.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 50,00 oltre euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. da distrarsi in favore dell’avv. (OMISSIS) antistatario.
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