Corte di Cassazione sentenza n. 10327 del 6 marzo 2013
SICUREZZA SUL LAVORO – PREVENZIONE INCENDI – STRUMENTAZIONE GAS-MEDICALE – CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI E RELATIVO NULLAOSTA PROVVISORIO
massima
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Vi è la responsabilità del direttore generale dell’azienda AUSL, del direttore del presidio ospedaliero, del direttore del reparto di rianimazione e del responsabile del servizio prevenzione e protezione dell’incendio presso il reparto di rianimazione dell’ospedale. Ciò si basa sul fatto che gli imputati si trovano in posizione di garanzia rispetto alla normativa di sicurezza.
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FATTO
1- Con sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Ravenna del 21 aprile 2008, 2.A., M.G., G. M. e Ga.St. sono stati ritenuti colpevoli del delitto di omicidio colposo commesso, in cooperazione colposa tra loro, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di R.O. e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante contestata, sono stati condannati alla pena di quattro mesi di reclusione ciascuno; pena sospesa e non menzione della condanna. Con la stessa sentenza, gli imputati sono stati assolti dal delitto di incendio, di cui all’art. 423 c.p., art. 425 c.p., comma 1 e art. 449 c.p., per insussistenza del fatto, ed inoltre, lo Z., il M. ed il Ga. dall’addebito di non avere richiesto all’organo preposto il rilascio del certificato di prevenzione incendi o del relativo nullaosta provvisorio, di cui alla L. n. 818 del 1984, art. 5, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
E’ accaduto che il R., ricoverato presso il reparto di rianimazione dell’ospedale di (Omissis), è stato investito da fiamme, improvvisamente sprigionatesi da un’apparecchiatura gas-medicale posta in prossimità del letto ove lo stesso si trovava, che hanno provocato al paziente delle gravissime ustioni, di terzo e quarto grado, riportate sul 90% del corpo, che ne hanno determinato la morte. L’incendio, dovuto, secondo quanto successivamente accertato, a compressione adiabatica dell’ossigeno contenuto in una bombola, con rottura dell’attrezzatura, fuoriuscita del dardo e rottura del corpo del riduttore, si è verificato in occasione del trasferimento del paziente presso altro reparto per l’esecuzione di una TAC, nel corso delle operazioni di collegamento dell’ammalato ad un’apparecchiatura gas-medicale composta da una bombola e da un riduttore di pressione per la somministrazione temporanea di ossigeno durante il trasporto.
Le fiamme sono divampate, secondo quanto accertato dal giudice del merito, per l’azione combinata di tre fattori: la mancata previa chiusura della sezione di bassa pressione del riduttore mediante azione del relativo volantino, l’apertura rapida della valvola di erogazione della bombola di ossigeno, la presenza di materiale combustibile.
L’evento è stato addebitato alle condotte colpose degli imputati nelle rispettive qualità, lo Z., di direttore generale dell’azienda AUSL di (Omissis), il M., di direttore del presidio ospedaliero, il G., di direttore del reparto di rianimazione, il Ga., di responsabile del servizio prevenzione e protezione; qualità che ponevano gli imputati in posizione di garanzia rispetto alla normativa di sicurezza.
In particolare, il tribunale ha individuato, nelle condotte attribuite agli imputati odierni ricorrenti, profili di colpa indicati:
1) quanto al Ga., responsabile del servizio prevenzione e protezione, nell’avere trascurato e sottovalutato, sia in occasione dell’elaborazione del documento di valutazione dei rischi, sia sotto il profilo dell’informazione personale, la problematica della sicurezza inerente l’utilizzo della strumentazione gas-medicale e, in particolare, le modalità relative al collegamento tra bombola e riduttore di pressione; operazioni che avrebbero dovuto eseguirsi fuori dalla sala degenti;
2) quanto al G., primario del reparto di rianimazione e terapia intensiva, nominato “preposto” con delib. del 1996 e 1997, in tale qualità gravato degli obblighi in materia di sicurezza, per avere omesso di impartire al personale medico e paramedico adeguate disposizioni ed istruzioni e di predisporre adeguate misure perchè le stesse venissero osservate;
3) quanto al M., direttore del presidio ospedaliero, e quindi pure destinatario di specifici obblighi in materia di sicurezza, per avere violato i doveri di informazione e di controllo previsti dalla legge.
2- Impugnata tale decisione da tutti gli imputati, la Corte d’Appello di Bologna, stralciata la posizione dello Z., nei cui confronti è stata emessa sentenza di non doversi procedere per morte dello stesso, con sentenza del 17 dicembre 2010, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta a tutti l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, ha ridotto a due mesi e venti giorni di reclusione la pena a ciascuno inflitta dal primo giudice, sostituendo la pena detentiva inflitta con la corrispondente pena pecuniaria.
3- Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori, M.G., G.M. e Ga.St., che deducono:
A) il M.:
a) Inosservanza e/o erronea applicazione di norme, con particolare riferimento alla violazione del principio che regola la delega di compiti e responsabilità in materia antinfortunistica; vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili della manifesta illogicità e/o contraddittorietà, sul punto concernente l’assunzione, da parte dell’imputato, della posizione di garanzia;
b) Inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 40 c.p., D.Lgs. N. 626/1994, artt. 1 e 4
e vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove i giudici del merito hanno ritenuto di individuare, in capo al M., una posizione di garanzia;
c) Inosservanza e/o erronea applicazione di legge con riferimento alla violazione del principio di affidamento in materia antinfortunistica.
B) Il G.:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo alle risultanze istruttorie in punto di nesso causale;
b) Violazione di legge in punto di individuazione dei compiti che la legge attribuisce al preposto, che non ha competenze in ordine alla individuazione e valutazione dei rischi, predisposizione di misure di prevenzione e formazione dei lavoratori.
C) Ga.St.:
a) Violazione dell’art. 40 c.p., commi 1 e 2, art. 41 c.p., commi 2 e 3, in relazione alle valutazioni di rilevanza causale delle condotte colpose attribuite al ricorrente ed alla individuazione della regola cautelare violata; vizio di motivazione sui punti relativi all’autonoma efficienza causale del contributo degli autori materiali dell’azione lesiva ed alla consapevolezza da parte di costoro della regola cautelare violata;
b) Violazione dell’art. 40 cpv. c.p., art. 41 c.p., comma 1, art. 43, 47 e 113 c.p., D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4, 8, 9, 21, e 37, in relazione al d.p.r. 547/1955, art. 4, art. 1218, 1228, 1375 e 1717 c.c., con riguardo al nesso causale ed all’individuazione della regola cautelare da osservarsi nel caso concreto, alle attribuzioni del responsabile del servizio prevenzione e protezione, alla natura della relativa responsabilità penale, al principio di affidamento;
vizio di motivazione su tali punti.
Concludono i ricorrenti chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
DIRITTO
1- Osserva la Corte che, non ravvisandosi ragioni di inammissibilità dei motivi di doglianza proposti dai tre ricorrenti, il reato agli stessi ascritto deve dichiararsi estinto per prescrizione.
Accertato, invero, che l’evento oggetto di esame si è verificato il (Omissis) e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, come ritenuto dai giudici del merito, il termine massimo di prescrizione è, nella sua massima estensione, ai sensi dell’art. 157 c.p. (della previgente e più favorevole normativa), di sette anni e sei mesi, ne discende che il termine in questione è interamente ed abbondantemente trascorso, tenuto anche conto di talune sospensioni dovute a richieste di rinvio del procedimento avanzate dalle difese degli imputati.
D’altra parte, le coerenti argomentazioni svolte dalla corte territoriale nella sentenza impugnata escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex art. 129 c.p.p., comma 2, posto che, dall’esame di detta decisione e dei motivi di ricorso proposti, non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente della insussistenza del fatto contestato agli imputati o della loro estraneità ad esso, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla responsabilità degli stessi.
2- La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto agli odierni ricorrenti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato ascritto agli imputati è estinto per prescrizione.
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