Corte di Cassazione sentenza n. 1053 del 17 gennaio 2013
IVA – DICHIARATE MODESTISSIME PERCENTUALI DI RICARICO PER DIVERSE ANNUALITA’ – ACCERTAMENTO – LEGITTIMITA’ – SUSSISTE
massima
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La circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più annualità un volume di affari di molto inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con conseguente potere di applicare anche una diversa percentuale di ricarico.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate ricorre contro il sig. (…) per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado di annullamento di un avviso di rettifica IVA 1998 con il quale era stato accertato un volume di affari superiore di circa 73 milioni di lire rispetto al dichiarato ed era stato quindi ripreso a tassazione il conseguente maggior imponibile.
Secondo la Commissione Tributaria Regionale gli elementi ritenuti rilevanti dall’Agenzia per affermare la sussistenza di ricavi non dichiarati non rappresentavano incongruenze di gravità tale da inficiare l’attendibilità delle scritture contabili e, quindi, da giustificare l’accertamento induttivo operato dall’ufficio.
Il ricorso dell’Agenzia si fonda su tre motivi.
Il contribuente non si è costituito.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 5.7.2011, in cui il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe, e decisa nella camera di consiglio tenutasi immediatamente dopo la chiusura dell’udienza. Nelle more della pubblicazione della sentenza è entrato in vigore il decreto legge 8.7.11 n. 98, convertito con la legge n. 15.7.11 n. 131, e pertanto la Corte ha sospeso il procedimento, rientrando il medesimo tra quelli soggetti alla sospensione di cui all’art. 39, comma 12, lett. c), del menzionato decreto legge. Successivamente – scaduti i termine di cui all’art. 39, comma 12, lettera d), del suddetto decreto legge e non risultando presentata istanza di condono da parte della contribuente – si è proceduto alla pubblicazione della sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 54, secondo comma, e 55 D.P.R. n. 633/72 e si censura la sentenza gravata per aver annullato l’impugnato avviso di accertamento in base alla ritenuta insussistenza dei presupposti fissati dall’art. 55 D.P.R. n. 633/72, ancorché non si trattasse di accertamento induttivo ex art. 55 D.P.R. n. 633/72, ma di accertamento analitico-induttivo effettuato ai sensi dell’art. 54, secondo comma, D.P.R. n. 633/72. Col secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 54, secondo comma, D.P.R. n. 633/72, nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c., e la falsa applicazione dell’art. 55 D.P.R. n. 633/72 e si censura la sentenza gravata per non aver tenuto conto dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di riparto dell’onere della prova tra Ufficio e contribuente nel caso di comportamenti antieconomici.
Col terzo motivo si lamenta l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per non aver la Commissione Tributaria Regionale spiegato perché gli elementi addotti dall’Ufficio non fossero sufficienti a costituire presunzioni gravi, precise e concordanti.
I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e vanno giudicati complessivamente fondati.
In sostanza la Commissione Tributaria Regionale ha fondato la propria decisione sull’assunto che gli elementi di fatto dai quali l’amministrazione ha tratto le presunzioni sulle quali si fonda l’accertamento impugnato (riepilogati dalla stessa sentenza gravata nell’esiguità degli utili di bilancio, nella presenza di bilanci in perdita, nella mancata indicazione delle spese di manutenzione e gestione dell’autovettura, nella presenza di ricarichi non adeguati, nella sproporzione fra i beni strumentali e i redditi) non sarebbero in realtà idonei a sorreggere dette presunzioni in quanto “non costituiscono incongruenze e non risultano talmente gravi da inficiare le scritture contabili, fondandosi su valutazioni astrattamente possibili, ma prive di un’effettiva e concreta certezza”; secondo il giudice di merito, quindi, “la difformità riscontrata non raggiunge livelli di abnormità e irragionevolezza tali da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità” cosicché non sarebbe stata raggiunta la prova “di una divergenza di entità così rilevante da giustificare l’accertamento di tipo induttivo operato dall’Ufficio”.
Tale argomentazione è in primo luogo apodittica, perché il giudice di merito non spiega le ragioni che lo hanno indotto a ritenere che risultanze contabili caratterizzate da una costante sequenza di esercizi in perdita alternati ad esercizi con utili estremamente esigui non sia inidonea a fondare la presunzione dell’esistenza di ricavi non dichiarati; da qui la fondatezza della censura di insufficiente motivazione proposta col terzo motivo di ricorso.
In secondo luogo la suddetta argomentazione è viziata da falsa applicazione dell’art. 55 D.P.R. n. 633/72, in quanto l’accertamento dell’Ufficio non era un accertamento di tipo induttivo ex art. 55 D.P.R. n. 633/72, ma un accertamento di tipo analitico-induttivo ex art. 54, secondo comma, D.P.R. n. 633/72 (come precisato nella parte motiva della stessa sentenza gravata, a pagina 6); con la conseguenza che il riferimento della sentenza gravata al mancato raggiungimento della prova “di una divergenza di entità così rilevante da giustificare l’accertamento di tipo induttivo operato dall’Ufficio” risulta ultroneo, in quanto il giudice di merito non doveva decidere se le incongruenze individuate dall’Ufficio nella contabilità del contribuente fossero tali da renderla inattendibile, ma doveva decidere – dando conto dell’iter logico seguito per pervenire a tale decisione – se dai rilievi di fatto evidenziati dall’ufficio fossero desumibili presunzioni gravi, precise e concordanti in ordine all’esistenza di ricavi non dichiarati.
In terzo luogo, infine, la suddetta argomentazione è viziata da violazione dell’art. 54, secondo comma, D.P.R. n. 633/72, non essendosi la Commissione Tributaria Regionale attenuta a! principio di diritto espresso da questa Corte secondo cui “In tema di IVA, la circostanza che un’impresa commerciale dichiari per più annualità un volume di affari di molto inferiore agli acquisti ed applichi modestissime percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare, da parte dell’Amministrazione, una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con conseguente potere di applicare anche una diversa percentuale di ricarico. ” (sent. 26167/11; per analoga affermazione in materia di imposte dirette, vedi la sentenza 21536/07). In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza gravata va cassata con rinvio; spese al merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
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