CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 maggio 2013, n. 10758
Reddito di impresa – Compensi a terzi – Collaboratori dell’impresa – Utilizzo delle prestazioni – Principio di competenza – Compensi non corrisposti in quel periodo – Irrilevanza – Deduzione – Legittimità
Svolgimento del processo
L’ufficio imposte dirette di G. accertò, in relazione all’ anno d’imposta 1992, nei confronti dell’associazione N. (svolgente attività di riabilitazione di tossicodipendenti), un maggior reddito imponibile ai fini dell’Irpeg e dell’Ilor, sulla scorta di plurimi rilievi afferenti l’omessa dichiarazione di ricavi e l’esposizione di costi non inerenti.
L’avviso, dietro impugnazione della contribuente, venne peraltro annullato dalla commissione tributaria provinciale di Varese.
La commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza in data 22.9.2006, confermò la decisione.
L’agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione articolando sei motivi. L’associazione N. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Col primo mezzo la ricorrente deduce l’insufficiente motivazione della sentenza in ordine al rilievo concernente l’omessa dichiarazione di somme riscosse da terzi quale contributo per la partecipazione al programma di riabilitazione. L’impugnata sentenza al riguardo ha accertato che il rilievo era “frutto di una discrepanza fra l’intestazione delle ricevute e l’intestazione delle fatture”, causata dal fatto che “i pagamenti erano per lo più effettuati da soggetti diversi da coloro che usufruivano del servizio cosicché le ricevute erano rilasciate a chi effettuava il pagamento, mentre le fatture erano intestati agli ospiti del centro”. Ha in ogni caso aggiunto che “la prova della regolare registrazione” era emersa dal controllo della guardia di finanza che aveva riscontrato la “giusta corrispondenza”.
L’agenzia delle entrate assume, invece, che la sentenza impugnata sia inficiata dall’ aver trascurato l’elemento di fatto decisivo, accertato dalla guardia di finanza e poi dedotto nell’atto di appello, del “collegamento tra l’intestatario della fattura ed il nominativo indicato sulla ricevuta”. Ma, il motivo, ove non inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo riportata – neppure per tratti salienti – la risultanza del verbale della guardia di finanza infine allusa, omette di evidenziarne la ragione di decisività, non essendo in modo alcuno spiegato perché il detto collegamento sarebbe stato tale da incidere sulla (diversa) valutazione del fatto.
II. – Il secondo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, 5° co., del d.p.r. n. 633 del 1972 e dell’art. 33, 1° co., del d.p.r. n. 600 del 1973, in relazione al recupero a tassazione – quali costi non inerenti – delle spese di manutenzione e riparazione di un’ autovettura Renault Nevada non intestata all’associazione. In proposito l’impugnata sentenza ha accertato che trattavasi di mezzo concesso all’associazione in comodato gratuito.
Il secondo motivo censura la statuizione formulando il quesito se, ai sensi delle disposizioni succitate, possa esser preso in considerazione, in favore del contribuente, un documento – nello specifico il contratto di comodato – non esibito durante la verifica fiscale, ove il contribuente non abbia provato la non volontarietà della sottrazione originaria del medesimo, poi tardivamente prodotto. Il secondo motivo è inammissibile in quanto dà per presupposto un fatto che dalla sentenza non risulta; vale a dire che (art. 52, 5° co., del d.p.r. n. 633 del 1972, richiamato dall’art. 33, 1° co, del d.p.r. n. 600 del 1973 ai fini delle verifiche in materia di imposte dirette) il documento in questione non era stato esibito nonostante la richiesta degli accertatori, ovvero era stato volontariamente sottratto alla ispezione.
III. – Col terzo mezzo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., quanto al rilievo afferente i costi – ritenuti non inerenti – relativi a saune fruite da nove persone. Il mezzo è inammissibile in relazione al quesito di diritto, che invero risulta formulato nel solco di una regola normativa ripetuta in modo astratto (“dica la S.C. se, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., sia nulla la sentenza della CTR che abbia omesso di pronunciarsi su uno dei motivi di appello dedotti dall’ ufficio”). Sicché, nei detti termini, il quesito non riesce a integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico (e v. infatti, ex multis, sez. un. n. 14385/07; n. 6420/08; nonché Cass. n. 22640/07, n. 3519/08, n. 11535/08; n. 4044/09).
Il collegio – seppure prendendo atto di quanto ancora di recente affermato da Cass. n. 17059/12 (per vero preceduta da Cass. n. 19558/09 e n. 16941/08) – intende aderire, e dare continuità, all’ indirizzo giurisprudenziale prevalente, il quale assume che il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al d. lgs. n. 40 del 2006, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un idoneo quesito di diritto. E ciò anche quando un error in procedendo sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’ art. 112 c.p.c. (tra le numerosissime, v. Cass. n. 4146/11; n. 1310/10; n. 22578/09; n. 4329/09), non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis c.p.c., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività, a seconda che comportino, o meno, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali.
IV. – Egualmente inammissibile in relazione al quesito di diritto risulta essere il quarto motivo, con cui l’amministrazione deduce la violazione e la falsa applicazione dell’ art. 75 del Tuir quanto al rilievo concernente i costi relativi a talune consumazioni presso il bar dell’albergo Concorde. Il quesito, chiedendo di dire “se siano deducibili costi risultanti da mere ricevute non fiscali”, si rivela generico e non incidente sulla ratio decidendi dell’ impugnata sentenza, posto che la commissione tributaria regionale ha accertato che le ricevute, ancorché ordinarie, erano a tutti gli effetti dimostrative della specificità dei costi. I quali costi erano come tali inerenti e deducibili.
V. – Il quinto e il sesto motivo, tra loro connessi e suscettibili di unitario esame, sono invece infondati.
Il quinto deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 55 e 75 del Tuir, quanto al recupero a tassazione di un importo pari ai compensi asseritamente corrisposti ai collaboratori dell’ associazione.
Il sesto a sua volta deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 75 del Tuir, 52, 5° co., del d.p.r. n. 633 del 1972, 33, 1° co., del d.p.r. n. 600 del 1973, sempre in relazione ai costi suddetti, in quanto giudicati deducibili ancorché privi di ricevuta.
Entrambi muovono da una tesi giuridicamente errata.
VI. – E’ rilievo preliminare che la sentenza ha affermato che la somma, debitamente annotata nelle schede contabili del registro dei compensi a terzi, si riferiva ai compensi relativi al 1992. Tali compensi, non essendo stati ancora pagati alla data della verifica fiscale, erano privi di ricevuta. La sentenza ha ritenuto che gli stessi erano stati correttamente contabilizzati nell’anno di competenza. L’agenzia delle entrate sostiene che, in quanto non sostenuti fino al momento della verifica fiscale (a giustappunto non sorretti da ricevuta), i compensi non potevano essere contabilizzati come costi, ma costituivano sopravvenienze attive imponibili non dichiarate.
Questa affermazione non può essere condivisa dalla corte.
In tema di determinazione del reddito di impresa, nell’ ampio concetto di sopravvenienze attive (delineato dal 1° co. dell’art. 55 dell’allora vigente Tuir) rientrano tutte quelle situazioni in cui, per qualsiasi ragione, si verifichi in bilancio una connotazione attiva che determini un incremento degli elementi che avevano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (v. per utili riferimenti Cass. n. 13224/07).
E secondo la giurisprudenza di questa corte (v. per es. Cass. n. 24474/06) le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito suppongono che gli elementi reddituali derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio non già con riferimento alla data del pagamento del corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa maturazione, (indipendentemente quindi anche dalla fatturazione: v. Cass. n. 11213/02). L’unico limite è costituito dalla certezza di costi (o dei ricavi) non ancora determinabili.
VII. – Orbene, l’inesistenza di tale condizione di certezza dei costi non risulta neppure dedotta nel caso di specie.
Consegue che correttamente la commissione regionale ha ritenuto che il costo per i compensi dovuti ai collaboratori dell’ associazione (id est, il costo del fattore lavoro), certo e determinabile nell’anno 1992, andasse contabilizzato nell’anno medesimo in forza del principio di competenza, indipendentemente dal pagamento. Invero la detrazione di tale costo doveva avvenire nello stesso periodo di imposta al quale erano da imputare i ricavi.
Tale era il principio espresso dal Tuir nel testo pro tempore rinveniente nell’ art. 75, 1° co. (“I ricavi, le spese, e gli altri componenti positivi o negativi … concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza …”). Il quale d’altronde andava (e va ancora oggi) inteso in netta consonanza con i principi civilistici di redazione di un bilancio (v. l’art. 2423-bis, n. 3, c.c. finanche nel testo pro tempore), atteso che pure nella redazione del bilancio si deve tener conto “dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data di incasso o di pagamento”.
Dovevasi quindi considerare senz’ altro ammissibile, ai sensi del ripetuto art. 75 del Tuir, la deduzione dei costi per compensi di collaboratori dell’ impresa, in quanto costi certi nella loro esistenza e determinabili sulla base degli elementi risultanti alla chiusura dell’esercizio, indipendentemente dall’eventuale pagamento in corso di anno.
VIII. – L’agenzia delle entrate ulteriormente obietta che l’omesso pagamento realizzava in generale una sopravvenienza attiva tassabile, all’ epoca dei fatti ai sensi dell’art. 55 del Tuir.
Ma questo – osserva la corte – poteva esser vero nei limiti degli esercizi successivi, e alla condizione che potesse desumersi la sopravvenuta inesistenza della passività (per esempio per atti abdicativi del credito da parte del terzo, ovvero per prescrizione).
Nessuna rilevanza possiede invece la suddetta obiezione nel caso di specie, in cui invero si discuteva del reddito accertato quanto all’ anno di determinazione del costo sulla base del criterio di competenza (il 1992, appunto).
Sicché in nessun modo poteva evocarsi, nel senso dianzi rammentato, il concetto di sopravvenienza attiva.
Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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