CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 maggio 2013, n. 10777
Tributi – IRAP – Impresa familiare – Titolare al 51 per cento – Soggetto passivo – Sussiste
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 55 del 14/06/2007, depositata in data 6/07/2007, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia Sez. 7 respingeva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 8/01/2007, da P.B.P., avverso la decisione n. 263/19/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che aveva respinto un ricorso proposto dal suddetto contribuente (compartecipi nella misura del 51% di un’impresa familiare costituita con il coniuge) contro il silenzio-rifiuto opposto dall’Ufficio Milano 5 sull’istanza, presentata in data 6/04/2004, di parziale rimborso (per la parte eccedente la quota di partecipazione) dell’IRAP versata negli anni 1998,1999,2000 e 2001.
La C.T.P. riteneva fondata l’eccezione di decadenza dell’azione, per decorso del termine di cui all’art.38 DPR 600/1973, relativamente ai versamenti effettuati negli anni 1998 e 1999, e corretta la determinazione dell’Ufficio, quanto al rimborso dei versamenti effettuati negli anni 2000 e 2001, essendo soggetto passivo l’impresa familiare, non la persona fisica del contribuente, ed essendo costituita la base imponibile dal valore della produzione netta dell’impresa.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame del contribuente, in quanto riteneva, da un lato, applicabile la disciplina di cui all’art.38 DPR 602/1973 alla imposta IRAP, trattandosi di norma contenuta in testo normativo concernente la riscossione, in generale, di tutte le imposte dirette e mancando, nella disciplina dell’IRAP di cui al d.lgs. 446/1997, disposizioni specifiche riguardanti la riscossione, e, dall’altro lato, assoggettabile a tassazione il valore della produzione netta di tutte le entità, incluse le imprese familiari, esercitanti un’attività autonomamente organizzata volta alla produzione ed allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione il contribuente, deducendo due motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 1 d.lgs. 446/1997, 38 DPR 602/1973, non essendo il termine di decadenza previsto da tale ultima disposizione, testualmente riferibile alle “sole imposte sui redditi”, applicabile anche alle istanze di rimborso dell’IRAP versata in eccesso, ed all’art.3 del d.lgs.446/1997, istitutivo dell’IRAP, non essendovi ricompresa l’impresa familiare tra i soggetti passivi dell’IRAP.
Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Motivi della decisione
Il primo motivo del ricorso è infondato. Come già chiarito da questa Corte (cfr. ord. Cass.23882/2010), “in tema di IRAP, l’istanza di rimborso dell’imposta, ritenuta illegittimamente versata, va presentata dal contribuente entro il termine di decadenza, previsto dall’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, in quanto l’art. 25 del d.lgs. 15 dicembre 1991 n. 446, istitutivo del tributo, stabilisce che, fino a quando non abbiano effetto eventuali leggi regionali, “per le attività di controllo e rettifica delle dichiarazioni, per l’accertamento e per la riscossione dell’imposta regionale, nonché per il relativo contenzioso si applicano le disposizioni in materia d’imposte sui redditi”; inoltre l’art. 30, nel disciplinare la riscossione dell’imposta dovuta, prevede che quest’ultima ” è riscossa mediante versamento del soggetto passivo da eseguire con le modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi” (comma 2) e che “la riscossione coattiva avviene mediante ruolo sulla base delle disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle imposte sui redditi” (comma 6)” (in applicazione del principio, questa Corte ha confermato la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva negato al contribuente il diritto al rimborso dell’IRAP per intervenuta decadenza, in quanto l’istanza era stata presentata oltre il termine di 48 mesi, previsto dal d.P.R. n. 602 del 1973). D’altronde, si è aggiunto, in tema di rimborso delle imposte, il termine di decadenza previsto dall’art. 38, cit. D.P.R. ha portata generale, riferendosi a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e quindi ad errori tanto connessi ai versamenti, quanto riferibili all’ari o al quantum del tributo, là dove il termine ordinario di cui all’art. 37 del citato decreto è applicabile alle sole ipotesi di ritenuta diretta, operata dalle amministrazioni dello Stato nei confronti dei propri dipendenti (cfr. Cass. civ., 16 novembre 2011, n. 24058, che, in applicazione del riportato principio, ha annullato la sentenza impugnata, che non aveva rilevato la decadenza della pretesa restitutoria relativa ad acconti Irap, reputando erroneamente che il relativo termine decorresse solo dal versamento del saldo; cfr. anche 22591/2012) .
Nella fattispecie, è pacifico che l’istanza di rimborso è stata presentata nell’aprile 2004, in relazione ad importi versati a titolo di IRAP nel periodo dal 1998 al 2001, cosicché è indubbio che fosse maturato il termine di decadenza in relazione ai pagamenti effettuati negli anni 1998 e 1999. Il secondo motivo è del pari infondato, in quanto tutti i soggetti che producono reddito di impresa, commerciale od agricola, sono colpiti dall’ imposta regionale sulle attività produttive, istituita con d.lgs. 446/1997, laddove non espressamente esentati, e quindi anche le imprese familiari, di cui all’art.230 bis c.c..
In generale, il legislatore tributario si occupa delle imprese familiari nel TUIR, ai commi 4 e 5, dell’articolo 5: «I redditi delle imprese familiari di cui all’art. 230 bis del c.c., limitatamente al 49% dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili….”. Ai fini tributari, presupposto indefettibile del rilievo ai fini fiscali è la formalizzazione dell’impresa familiare anteriormente al periodo di imposta, attraverso la redazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, dal quale risultino nominativamente i familiari partecipanti, con l’indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l’imprenditore.
L’imposta di cui al d.lgs. 446/1997 concerne tuttavia, a differenza delle altre imposte dirette, non il reddito o il patrimonio in sé, ma lo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi. In questo quadro normativo, mentre il reddito derivante dall’ impresa familiare e risultante alla dichiarazione dei redditi viene imputato, a determinate condizioni, proporzionalmente alla rispettiva quota di partecipazione dei partecipanti (ma l’imprenditore deve essere titolare come minimo del 51%), l’imprenditore familiare, non i familiari collaboratori, è anche soggetto passivo IRAP, in quanto detta imposta colpisce il valore della produzione netta dell’impresa e la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (etero-organizzazione dell’esercente l’attività). L’elencazione delle figure che sono soggette al tributo, contenuta nell’art.3 d.lgs. 446/1997, è esemplificativa e non tassativa.
La Corte rigetta il ricorso.
Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in conformità del D.M. 140/2012, attuativo della prescrizione contenuta nell’art.9, comma 2°, d.l. 1/2012, convertito dalla L. 271/2012 (Cass.S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi € 2.000,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
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