Corte di Cassazione sentenza n. 1103 del 17 gennaio 2013
TRIBUTI – IVA – SOGGETTIVITA’ PASSIVA – CITTADINO SLOVENO – STABILE ORGANIZZAZIONE IN ITALIA PER L’ATTIVITA’ DI NOLEGGIO SCI – SUSSISTE
massima
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Sussiste il requisito della “stabile organizzazione” in Italia in riferimento alla semplice attività del ricevimento dei turisti, della destinazione ai rispettivi alloggi e della consegna degli ski pass.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate di Belluno contestava al cittadino sloveno U.D., sconosciuto al fisco, lo svolgimento in Italia, con stabile organizzazione in (OMISSIS), di un’attività d’intermediazione turistica, per le stagioni invernali, in favore di cittadini sloveni. Con distinti avvisi d’accertamento, l’Ufficio determinava induttivamente, – in ragione delle provvigioni percepite, dedotti i costi – il reddito d’impresa ritratto dal contribuente ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, nelle annualità dal 1998 al 2001, ed irrogava le relative sanzioni. Le distinte impugnazioni dello U. sono state rigettate dalla CTP di Belluno, decisioni che sono state, in parte, riformate, con sentenza n. 77/03/05 depositata il 31 gennaio 2006, dalla CTR del Veneto, che, riuniti i giudizi, ha ritenuto provato il fatto contestato, ha confermato l’entità del volume d’affari annuo, ma ha affermato che il reddito percepito dal contribuente era pari alla metà della provvigione, che remunerava, anche, l’organizzazione slovena alla quale i turisti versavano gli acconti.
Il contribuente ricorre per la cassazione della sentenza, sulla scorta di quattro motivi nei confronti del Ministero dell’economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate.
Quest’ultima resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va, preliminarmente, rilevata l’inammissibilità dell’impugnazione proposta nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che non è stato parte del pregresso grado di giudizio (cfr. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).
2. Col primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della convenzione stipulata tra l’Italia e la Repubblica Iugoslava, ratificata con L. n. 974 del 1984, applicabile alle Repubbliche della Croazia e della Slovenia, dei principi ricavabili dalla disciplina convenzionale OCSE, contro la doppia imposizione; del D.P.R. n. 816 del 1986, art. 20, comma 1, lett. e) e art. 51, (ora artt. 23 e 55); nonché vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Il ricorrente deduce che l’impugnata sentenza ha ritenuto sussistente il requisito della “stabile organizzazione” in Italia in riferimento alla semplice attività del ricevimento dei turisti, della destinazione ai rispettivi alloggi e della consegna degli ski pass, da lui svolta, senza considerare che, a norma dell’art. 5 del modello OCSE e della corrispondente disposizione della convenzione, era, invece, necessario accertare la presenza di “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”. Il contribuente rileva, inoltre, che anche in base alla norma del TUIR relativa ai non residenti, il reddito d’impresa è soggetto ad imposta quando sia inerente ad attività esercitata in Italia mediante stabile organizzazione: in assenza di questa, i proventi dell’attività d’intermediazione svolta personalmente e senza rilevante apporto di capitale o lavoro altrui, si sottraggono alla pretesa fiscale (potendo al più esser tassati come redditi di lavoro autonomo, profilo non contestato con gli atti impositivi).
Le attività accertate dalla CTR, conclude il ricorrente, sono marginali e, dunque, insufficienti a far ritenere sussistente l’attività imprenditoriale, tanto più che il contratto di vendita veniva concluso dal cliente sloveno all’estero, e che la corrispondenza tra costi per ski pass e ricavi doveva condurre ad escludere che vi fosse un quid pluris destinato a provvigione.
3. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della convenzione stipulata tra l’Italia e la Repubblica Iugoslava, ratificata con L. n. 974 del 1984, applicabile alle nuove Repubbliche della Croazia e della Slovenia, dei principi ricavabili dalla disciplina convenzionale OCSE, contro la doppia imposizione, della VI Direttiva n. 77/388/CEE, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 4 – 7, ed omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Il contribuente afferma che le considerazioni svolte valgono, vieppiù, in riferimento all’IVA, in quanto, per effetto dell’art. 9, par. 1 della Direttiva n. 77/388/CEE, i servizi sono imponibili nello stato membro in cui è situata la sede dell’attività economica del prestatore o un centro di attività stabile, concetto che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia necessita di una consistenza, anche minima, ma determinata, di mezzi, escluse, dunque, le attività ausiliarie e preparatorie.
4. Col terzo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione per non avere la CTR né chiarito in che modo egli potesse trattenere compensi per sè, se le somme versate dai turisti stranieri corrispondevano, esattamente, con i costi degli ski pass e degli albergatori, nè dimostrato in che modo potesse inviare alla sede slovena gli importi di competenza della stessa.
5. I denunciati vizi motivazionali, che rivestono priorità logica e vanno congiuntamente esaminati, sono infondati.
6. La CTR ha accertato che: a) il ricorrente svolgeva servizi d’intermediazione tipici di un’agenzia turistica, in quanto accoglieva gli utenti sloveni in Italia tramite incaricati, sceglieva gli alloggi, consegnava gli ski pass, incassava e deteneva i corrispettivi prestabiliti, prestava assistenza per le eventuali necessità, dimorando in quel comprensorio montano e conoscendo la lingua italiana; b) tale attività era continuata nel tempo coinvolgendo centinaia di persone per somme cospicue erogate in Italia, non essendo controverso che i turisti versassero nel loro Paese solo un acconto del corrispettivo della vacanza; c) tale attività costituiva parte essenziale nell’organizzazione in Italia dei servizi resi ai turisti sloveni; d) la posizione direttiva ricoperta dal ricorrente nell’ambito dello Sci Club Capodistria, collettore in Slovenia dei turisti, non giustificava la mole di prestazioni da lui rese, tanto più che non era stato allegato, e neppure dimostrato, un rapporto di lavoro dipendente o la percezione di compensi di sorta in Slovenia nè l’assoggettamento di detti compensi ad imposta in detto Paese, Da tali elementi i giudici d’appello hanno desunto la sussistenza di una stabile organizzazione imprenditoriale operante in Italia, da cui il contribuente ritraeva un reddito pari alla metà della provvigione versata dai turisti – a sua volta, pari al 18% del volume d’affari – che andava ripartita a metà con lo Sci Club sloveno, in quanto remunerativa di un’attività riferibile anche a questo.
7. Tale ricostruzione dei fatti risulta congruamente motivata dai giudici del merito: il ricorrente allude, bensì, ad un’inadeguata “motivazione sul materiale probatorio” da lui offerto, ma non indica affatto quali decisivi elementi probatori sarebbero stati, in tesi, pretermessi; la critica finisce, così, per un verso, col contrapporre una ricostruzione dei fatti (insussistenza della stabile organizzazione, marginalità delle prestazioni rese e pagamento dei soli costi, senza alcuna provvigione, da parte dei turisti) diversa rispetto a quella contenuta nella sentenza e col richiedere, dunque, un inammissibile nuovo esame del merito, e, per altro verso, col denunciare un supposto errore nella sussunzione del fatto accertato all’ipotesi normativa, che costituisce, però, un profilo che esorbita dal giudizio di fatto ed attiene, invece, al giudizio di diritto.
8. La violazione di legge, dedotta col primo motivo, è insussistente. La convenzione stipulata tra l’Italia e la Repubblica iugoslava, per evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (ratificata con L. n. 974 del 1984), dispone all’art. 7, paragrafo 1, che “gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l’impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione”; analogo collegamento è previsto, al paragrafo 2, per il caso in cui l’impresa di uno Stato svolga la sua attività anche nell’altro Stato “per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata”, prevedendo, appunto, l’imponibilità in ciascuno Stato degli utili attribuibili a detta stabile organizzazione, come se si trattasse “di un’impresa distinta e separata… e in piena indipendenza dall’impresa di cui essa costituisce una stabile organizzazione”. La definizione della “stabile organizzazione” è posta dal paragrafo 1 dell’art. 5 (riproduttivo, in sostanza, del testo dell’art. 5 del modello di convenzione OCSE) secondo cui tale espressione sta a designare “una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività” (la norma fornisce, inoltre, una lista positiva di casi in cui si configura una stabile organizzazione ed una negativa, in cui questa non si configura, prevedendo, pure, due ipotesi di stabile organizzazione c.d. personale). Per l’imponibilità del reddito d’impresa del soggetto non residente, è necessaria quindi: una presenza che sia incardinata nel territorio dell’altro Stato contraente e dotata di una certa stabilità; una sede di affari capace, anche solo in via potenziale, di produrre reddito; un’attività autonoma rispetto a quella svolta dalla casa madre, dovendo aggiungersi che, ai fini dell’applicazione delle imposte dirette, la relativa indagine deve essere condotta non solo sul piano formale, ma anche – e soprattutto – su quello sostanziale (cfr. Cass. n. 20597 del 2011).
9. L’impugnata sentenza è esente dalle critiche che le sono state rivolte, avendo fatto corretta applicazione del disposto normativo nel ritenere assoggettabile ad imposta il reddito prodotto in Italia ((OMISSIS)) dall’accettata attività d’intermediazione turistica, svolta dal ricorrente nei termini e con le modalità sopra riassunte e ritenuta non meramente ausiliaria rispetto a quella svolta dallo Sci Club sloveno.
10. Il secondo motivo va rigettato, anche se va integrata la motivazione della sentenza, ex art. 384 c.p.c.. Occorre premettere che la questione della territorialità dell’IVA non è disciplinata dalla convenzione stipulata tra l’Italia e la Iugoslavia ratificata con L. n. 974 del 1984, relativa alle imposte sul reddito e sul patrimonio (anch’essa richiamata in rubrica), ma va risolta in riferimento alla disposizione di cui all’art. 9, della sesta direttiva IVA (77/388/CEE), che individua il luogo delle prestazioni di servizi, indicandolo, al paragrafo 1, in via generale, come “il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile” o, in mancanza, “il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale”, e disciplinando, al paragrafo 2, criteri di collegamento diversi per talune prestazioni di servizi, in ragione delle loro caratteristiche. 11. Nella specie, a parte che gli elementi di fatto, accertati in sede di merito, integrano il requisito del “centro di attività stabile” di cui all’art. 9, 1 co., della sesta direttiva (ravvisabile in presenza di una consistenza minima di mezzi umani e tecnici necessari per determinate prestazioni di servizi, cfr. Corte di Giustizia in C-190/95, Are Lease, punto 15 e 4 luglio 1985; in C- 168/84, Berkholz, punti 17 e 18), in base alla lettera e) del secondo paragrafo dell’art. 9 in esame, il luogo delle prestazioni di servizi aventi per oggetto (tra le altre) attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, d’insegnamento, ricreative o affini, ivi comprese quelle degli organizzatori di dette attività nonché, eventualmente, prestazioni di servizi accessorie a tali attività, va individuato in “quello in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite”.
12. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. b), nel testo vigente ratione temporis, prevede, a sua volta, che (in deroga ai criteri previsti nei commi secondo e terzo comma) si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono eseguite nel territorio stesso, tra altre, le prestazioni di servizi sportivi, ricreativi e simili. In applicazione di tali criteri, le operazioni poste in essere dal ricorrente sono state correttamente assoggettate ad IVA, dovendo ritenersi effettuate nel territorio nazionale, con conseguente sorgere in detto territorio del rapporto d’imposta.
13. Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 7, e del principio generale in tema di determinazione del compenso a percentuale, il ricorrente afferma che la CTR ha considerato ricadenti in un’annualità d’imposta i compensi relativi a prestazioni rese a cavallo tra la fine di un anno solare e l’inizio del successivo, laddove, per le prestazioni di servizi, i ricavi si considerano conseguiti e le spese sostenute alla data della loro esecuzione. Sotto altro profilo, il ricorrente si duole che il computo del volume d’affari sia stato determinato al lordo dell’IVA inglobata nel costo dell’alloggio e degli ski pass, pagato dai turisti, evidenziando che tale imposta non costituisce “il valore economico delle prestazioni ma un’imposta sulle prestazioni”.
14. Il motivo è infondato sotto entrambi i rilievi dedotti. A norma dell’art. 75, comma 2, lett. b) (ora art. 109), del TUIR “ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza”, i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti “alla data in cui le prestazioni sono ultimate…”. Questa Corte ha affermato che le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito d’impresa, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, sono tassative ed inderogabili (cfr. Cass. n. 3947 del 2011; n. 26665 del 2009), sicchè, al fine di stabilire l’esercizio di competenza, occorre far riferimento non al momento dell’esecuzione della prestazione, come dedotto dal ricorrente, ma alla data di ultimazione della stessa, indipendentemente sia dalla data della fatturazione che da quella dell’effettivo pagamento (cfr. Cass., n. 1633 del 2008). La dedotta violazione del “principio generale in tema di compenso a percentuale” è inammissibile, perchè con tale censura il ricorrente deduce, in realtà, un errore di merito nella quantificazione del volume d’affari, operata in modo induttivo dall’Amministrazione.
15. Il ricorso va, in definitiva, rigettato, e le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, in Euro 4.000,00 oltre a spese prenotate a debito.
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