CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2013, n. 11117
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Effetti – Per il fallito – Rapporti processuali – Ricorso per cassazione proposto dal fallito – Ammissibilità – Esclusione – Condizioni
Svolgimento del processo
Con sentenza del 3/3/2008 la Corte d’Appello di Messina, assorbito quello in via incidentale spiegato dal Fallimento A. s.r.l., in accoglimento del gravame in via principale interposto dalla sig. A. C. e in riforma della pronunzia Trib. Messina n. 2529/2002 di annullamento per vizio del consenso del contratto di locazione d.d. 3/11/1986 avente ad oggetto immobile sito nella locale via G. – angolo via S. – dalla medesima stipulato con la società A. s.r.l. e di condanna alla restituzione in favore di quest’ultima della differenza incassata in virtù del detto contratto annullato, oltre che al risarcimento dei danni dalla medesima a vario titolo lamentati ed equitativamente liquidati in euro 7.500,00 (oltre a rivalutazione ed interessi), rigettava la domanda dalla detta società A. s.r.l. originariamente proposta.
La corte di merito in particolare riconosceva <<evidente natura transattiva» al contratto di locazione in argomento, con conseguente esclusione della relativa nullità ex art. 79 l. loc.
Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello la società A. s.r.l. e la sig. S. P. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso i sigg. C., C. ed A. P. G., quali eredi della defunta C., che eccepiscono anzitutto il difetto di legittimazione attiva degli odierni ricorrenti.
Motivi della decisione
Va pregiudizialmente accolta l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dalla società A. s.r.l. sollevata dai controricorrenti, eccezione da rigettarsi viceversa relativamente alla P..
Come questa Corte ha già da tempo avuto modo di affermare, il fallito, pur conservando la piena titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, non può assumere personalmente la veste di parte processuale, in quanto la legittimazione in ordine a tali rapporti è demandata esclusivamente al curatore, consentendosi una deroga solo allorché il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali ovvero una legittimazione suppletiva nei casi di inerzia degli organi fallimentari (v. Cass., 14/10/1998, n. 10146).
Si è al riguardo in particolare precisato che la suddetta legittimazione suppletiva del fallito può eccezionalmente riconoscersi soltanto nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento, e non anche allorquando come nella specie tali organi si siano viceversa concretamente attivati, e abbiano ritenuto non conveniente la prosecuzione della controversia (v. Cass., 22/07/2005, n. 15369; Cass., 27/11/1982, n. 6458), con autorizzazione del G.D. a non proporre ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza della corte di merito (v. doc. 4 allegato al ricorso per cassazione, nel fascicolo della ricorrente per il giudizio di cassazione, in atti), e in mancanza per altro verso dell’espresso riconoscimento al fallito della facoltà di provvedervi in proprio e a suo onere (v. Cass., 16/12/2004, n. 23435).
E’ pertanto inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal fallito avverso la sentenza sfavorevole al Fallimento, non impugnata dal curatore, quando il giudice delegato abbia come nella specie autorizzato il curatore a non impugnare e a non proseguire il giudizio in sede di legittimità (cfr. Cass., 2/3/1978, n. 1061).
Né d’altro canto può assumere al riguardo rilievo la dedotta circostanza che il Fallimento A. s.r.l. si sia nel caso chiuso, atteso che alla stregua della documentazione all’uopo prodotta (attestazione della Cancelleria del Tribunale di Messina d.d. 24/12/2008) tale evento è successivo (decreto d.d. 24/12/2008) alla proposizione del ricorso (27 -30 giugno 2008).
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio in base al quale la chiusura del fallimento, determinando la cessazione degli organi fallimentari e il rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio, fa venir meno la legittimazione processuale del curatore, e determina il subentro dello stesso fallito tornato in bonis al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della chiusura del fallimento (v. Cass., 6/3/1998, n. 2514), non vale per il giudizio di cassazione, caratterizzato dall’impulso di ufficio, cui non sono applicabili gli art. 299 e 300 c.p.c. (ragion per cui la sussistenza della causa interruttiva -costituita dalla revoca della dichiarazione di fallimento nei processi in cui è parte il curatore – può assumere rilievo soltanto rispetto giudizio di rinvio: cfr. Cass., 14/4/1999, n. 3697; Cass., 20/05/1997, n. 4488; Cass., 12/10/1994, n. 8331) e nel quale non è consentita, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la produzione di nuovi documenti attinenti alla sopravvenuta chiusura del fallimento, in quanto detto evento non determina automaticamente il subentrare del fallito, tornato in bonis, nel rapporto processuale e, quindi, non incide sull’ammissibilità del ricorso e del controricorso (v. Cass., 6/11/1992, n. 12015).
Va per altro verso ribadito il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in base al quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso, qual è il cessionario, che non abbia partecipato alle pregressi fasi di merito, mentre non può intervenire nel giudizio di legittimità (v., da ultimo, Cass., 9/4/2013, n. 8568. Per l’ammissibilità dell’intervento adesivo v. peraltro Cass., 19/5/2005, n. 10598. V. altresì, con riferimento al processo esecutivo, Cass., 11/3/2004, n. 4985. Con riferimento alla diversa ipotesi della morte della parte durante il giudizio di legittimità, v. Cass., 31/3/2011, n. 7441), può ben può viceversa impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza (v. Cass., 9/4/2013, n. 8568; Cass., 7/4/2011, n. 7986; Cass., 11/5/2010, n. 11375; Cass., 27/5/2005, n. 11322), allegando e producendo il titolo in forza del quale propone il ricorso per cassazione (cfr., con riferimento all’erede, Cass., 23/9/2011, n. 19493; Cass., 25/6/2010, n. 15352).
Orbene, nel caso unitamente al ricorso la ricorrente ha prodotto la scrittura in data 18/7/2005, registrata a Messina il 19/7/2005 al n. 3622, da cui risulta che la cessione alla P. del credito litigioso derivante alla società M. s.r.l., cessionaria dal Fallimento A. s.r.l. dell’azienda commerciale distinta con l’insegna “Saggezza e Gioventù”, dalla sentenza Trib. Messina 7/10/2000, di annullamento del contratto di locazione d.d. 3/1171986, con condanna della sig. A. C. ved. G. alla <<restituzione dei canoni indebitamente percetti>> (v. doc. 2 allegato al ricorso per cassazione, nel fascicolo della ricorrente per il giudizio di cassazione, in atti).
Va pertanto affermata la relativa legittimazione a ricorrere per cassazione.
Con il 1° motivo la ricorrente P. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss., c.c., 1965 – 1967 c.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Con il 2° motivo denunzia «motivazione insufficiente e contraddittoria>> su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c.
Con il 3° motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1344 c.c., 32, 79 l. loc, in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Con il 4° motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 79 l. loc, 2033 c.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Con il 5° motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1226, 1575-1577 c.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.; nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c.
Con il 6° motivo denunzia <<illogica e insufficiente>> motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c.
Con il 7° motivo denunzia <<illegittimità della pronuncia sulle spese».
I motivi sono inammissibili, in applicazione degli artt. 366, 1° co. n. 4, 366-1bis e 375, 1° co. n. 5, c.p.c.
Mentre relativamente al 7° motivo il quesito non risulta nemmeno formulato, il 1°, il 3°, il 4°, il 5° motivo recano quesiti di diritto formulati in termini invero difformi dallo schema al riguardo delineato da questa Corte, non recando la riassuntiva ma puntuale indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione, a tale stregua appalesandosi astratti e generici, privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonché di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064), risolvendosi in buona sostanza in una richiesta a questa Corte di vaglio della fondatezza delle proprie tesi difensive.
Tanto più che nel caso risultano formulati in violazione dell’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c., atteso che il ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito [es., al <<contratto di locazione della durata di sei anni …. Stipulato nel 1979>>, alle reiterate intimazioni <<alla locatrice di provvedere all’esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria necessari», alla comunicazione <<di provvedere personalmente alle riparazioni ai sensi dell’art. 1577 c.c.>>, alla diffida alla <<conduttrice dal provvedere direttamente ai lavori, insistendo … nell’illecita richiesta di aumento del canone», al «nuovo contratto di locazione del 3-11-1986», all’«atto di citazione del 15.9.97», alla comparsa di costituzione della C. A. ved. G., alla «sentenza n. 2592/02 del 7-10-2002» del tribunale di Messina»; all’atto di appello della C., all’appello incidentale della curatela del Fallimento; al«appello del 19-11-2003 (p. 7)»; al «testo del nuovo contratto (v. doc. 6 fascicolo di produzione di 1° grado)»; alle «cinque fatture di acquisto raccolte sub doc. 4 fascicolo di produzione di 2° grado», all’«atto stragiudiziale A. del 15-3-1986: doc. 11 del ns. fascicolo di produzione nel procedimento ex art. 700 c.p.c.»; all’«accertamento tecnico preventivo (cfr. relazione tecnica CTU ing. A. del 13-10-1986: doc. 2 del ns. fascicolo di produzione nel giudizio di merito in 1° grado)>>; alla «relazione tecnica del CTU Ferraù pagg. 22-24 (doc. 3 del fascicolo di produzione dell’avv. L. nel giudizio di merito in 1° grado)>>; alla «relazione tecnica del CTU Ferraù pagg. 19 ss.» ], di cui lamentano la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede-riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).
A tale stregua i ricorrenti non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., l°/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo essere questa Corte viceversa posta in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, il 2°, il 5° e il 6° motivo non recano la prescritta “chiara indicazione” – secondo lo schema e nei termini delineati da questa Corte-delle relative “ragioni”, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica della medesima, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), a fortiori non consentita in presenza di formulazione come detto nella specie altresì violativa dell’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c.
Deve al riguardo peraltro sottolinearsi che laddove (2° motivo) lamenta che la corte di merito ha erroneamente ritenuto essere stato il nuovo contratto posto in essere per porre fine al contenzioso esistente, mentre <<l’accordo raggiunto tra le parti, dettato dalla necessità di A. s.r.l. di continuare l’attività aziendale, non era stato in grado né di porre fine al procedimento cautelare in corso (che di fatti sarebbe concluso poi con l’ordinanza reiettiva del Pretore in data 24-2-1987), né di prevenire l’instaurazione del giudizio di merito (introdotto poi con atto di citazione e riassunzione del 15-9-1987)», la ricorrente in realtà denunzia vizio di violazione di norme di diritto, senza invero formulare relativo idoneo quesito di diritto.
I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre ad accessori come per legge.
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