Corte di Cassazione sentenza n. 11121 del 21 marzo 2012
PROCESSO PENALE – FRODE FISCALE – CONFISCA – PARADISO FISCALE NEUTRALIZZATO
massima
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In caso di frode fiscale possono essere confiscate le quote di una società anche se l’evasore non ne è il titolare ma ne ha soltanto la disponibilità mediante intrecci societari. “La confisca per equivalente è certamente sganciata dalla esistenza di un titolo di proprietà dell’imputato sui beni destinati alla confisca”.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale Di Bergamo pronunziando in data 30 marzo 2010 su appello di I. spa in persona dei suoi legali rappresentanti T.R.M. e L.P., avverso ordinanza di rigetto di istanza di dissequestro e restituzione pronunziata dal GIP del Tribunale di Bergamo il 22/2/2010, ha dichiarato inammissibile l’appello.
La Corte di Cassazione, investita da ricorso proposto da T.R.M. e L.P. nella detta qualità, ha annullato con sua sentenza 7121/2011 la ordinanza di inammissibilità.
La Corte di cassazione ha negato la esistenza (invece ritenuta dalla decisione di inammissibilità poi annullata) di una preclusione alla possibilità della parte privata di proporre questioni concernenti la validità del titolo che ha costituito, fondamento della misura reale del sequestro per equivalente, in ogni caso nel quale la parte, richiedente la revoca del sequestro (e non risultante compresa tra le persone soggette a indagine penale) non abbia proposto istanza di riesame.
Il Tribunale di Bergamo pronunziando in sede di rinvio ha rilevato che, al di là delle partecipazioni di quote di I. s.a. in Adda Immobiliare (70%) e in C. srl (100%) i soggetti terzi indagati per associazione a delinquere finalizzata alla violazione della normativa sulla circolazione dei rifiuti e alla conseguente commissione di reati fiscali consumati – tra l’altro – annotando in contabilità costi passivi fittizi, avevano in realtà attraverso I. s.a., la disponibilità dei patrimoni e delle disponibilità delle diverse società. Il Tribunale in sede di rinvio – appello ha per queste ragioni confermato l’ordinanza del Gip che aveva rigettato l’istanza di dissequestro e restituzione dei beni intestati a I. s.a.
T.R.M. e L.P. nella loro qualità di legali rappresentanti prò tempore di I. s.a. con sede in (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di appello appena ora menzionato.
I ricorrenti premettono che nell’ambito di un procedimento penale contro V.F., R., Re., nonchè M.M. e C.G. per i reati di associazione a delinquere al fine di commettere delitti di frode fiscale e traffico illecito di rifiuti, occultamento di documenti contabili e dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, è stato adottato provvedimento di sequestro preventivo per equivalente delle quote societarie di proprietà di I. s.a. e che il sequestro sarebbe stato adottato sul presupposto della interposizione di talune società, tra le quali I. s.a., nelle operazioni delittuose del soggetto ritenuto promotore del sodalizio criminale M. M. e degli altri imputati.
I ricorrenti denunziano:
1) violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b);
inosservanza o erronea applicazione dell’art. 322 ter c.p., per essere la statuizione impugnata fondata su una motivazione meramente apparente, priva dei squisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tanto da rendere incomprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice che ha portato a ricavare, da una mera elencazione di dati neppure compiutamente collocati nel tempo, una proprietà o una disponibilità antagoniste a quella formalmente attribuita dai titoli legali a soggetti non indagati;
2) violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b);
inosservanza o erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., comma 2, per avere il provvedimento impugnato omesso ogni valutazione in ordine al periculum e al collegamento tra beni oggetto di sequestro e attività delittuose degli indagati e, in ogni caso, per avere affidato anche la motivazione su questo punto ad argomentazioni meramente apparenti.
All’udienza camerale del 4 ottobre 2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La prima censura è infondata.
Il sequestro preventivo del quale era stata domandata revoca si inscrive nella regolazione dell’art. 322 ter c.p., in combinato con l’art. 321 c.p.p. La confisca per equivalente è certamente sganciata dalla esistenza di un titolo di proprietà dell’imputato sui beni destinati alla confisca e dunque la indicazione di elementi sintomatici utilizzati dal provvedimento impugnato per individuare la relazione di fatto (disponibilità) esistente tra imputati e beni assoggettati a sequestro preventivo in funzione di confisca per equivalente, è indicazione adeguata, coerente ai fatti e agli indici selettivamente indicati, e utilizza congrua misura di ragionevolezza nell’impiego di criteri di interpretazione e qualificazione dei fatti ritualmente acquisiti al processo.
Il titolo di proprietà è titolo formale al di là del quale opera la misura specifica del sequestro preventivo per equivalente funzionale alla confisca. La disponibilità del bene individua una situazione di fatto che è considerata dalla legge come condizione adeguata per l’applicazione del provvedimento che non tollera intralci di schermi formali. La coesistenza di una situazione di disponibilità di un bene in capo al soggetto o ai soggetti imputati, e di titolo proprietario in capo a soggetti terzi non imputati, trova nella legge un asse regolativo che privilegia la relazione di fatto rispetto alla relazione meramente cartolare o documentale.
La seconda censura è infondata in diritto, posto che il sequestro per equivalente ha per oggetto l’equivalente del profitto del reato, e quindi ha per oggetto anche cose che non hanno rapporti con la pericolosità individuale del soggetto e non sono collegate allo specifico reato contestato. In tal caso il periculum coincide con la confiscabilità del bene (Cass. Pen. Sez. 2ª, sentenza 11/1/2008 n. 1454) posto che la stessa introduzione della misura della confisca per equivalente vale da sola ad escludere la necessità di un vincolo pertinenziale tra la res e il reato (Cass. Pen. Sez. 6ª 2/8/2007 n. 31692).
In conclusione il ricorso nel suo insieme denuncia ritenuti vizi di motivazione che alla lettura del testo giustificativo non hanno tale portata da tracimare in falsa applicazione di legge.
Il ricorso è infondato in ogni sua parte e deve essere rigettato con condanna dei proponenti il ricorso al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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