CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2013, n. 11157
Tariffa di igiene ambientale – Riscossione – Invio di una fattura commerciale – Natura impositiva dell’atto – Rispetto dei requisiti contenutistici dell’atto di accertamento – Necessità
Svolgimento del processo
La A. s.p.a. (d’ora in poi, per brevità, solo A.) ha proposto ricorso per cassazione, in quattro motivi, contro la sentenza della commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 17.1.2008, che, in controversia relativa alla debenza, da parte della (Società generale ristoranti e alberghi) s.r.l., della tariffa d’igiene ambientale (T.) per gli anni 2005 e 2006, portata da due fatture commerciali, ha accolto il gravame della società contribuente, annullando gli atti sul rilievo di essere state le fatture prive di adeguata motivazione.
Al ricorso per cassazione l’intimata ha replicato con controricorso, illustrato anche da memoria. Il comune di Prato non ha svolto difese.
Motivi della decisione
I. – Il primo mezzo, denunciando violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, anche previa eccezione di costituzionalità dell’art. 2, 2° co., del d. lgs. n. 546/1992, chiede di cassare l’impugnata sentenza in congruente risposta al quesito di diritto se, visti gli artt. 25 e 102 cost., le controversie relative alla T. appartengano – come ritenuto dalla commissione tributaria regionale – o meno – come sostenuto dalla ricorrente – alla giurisdizione tributaria.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 19 del d. lgs. n. 546/1992, per avere la commissione tributaria regionale ritenuto che la fattura commerciale della T. costituiva atto autonomamente impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie.
Il terzo motivo, a sua volta, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della l. n. 241/1990 e 7 della l. n. 212/2000, nonché dell’art. 49 del d. lgs. n. 22/1997, per avere la commissione ritenuto invalida la fattura nonostante che questa indicasse i presupposti applicativi della tariffa, quale in particolare la superficie occupata, la categoria di riferimento, l’importo unitario al metro quadrato e la delibera comunale di fissazione del detto importo. Il quarto motivo deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione al contenuto vincolato della T. e alla conseguente annullabilità della relativa fattura commerciale, ai sensi dell’art. 21-octies, 2° co., della l. n. 241/1990.
II. – Il primo mezzo è manifestamente infondato, essendo stata la questione già risolta dalla corte costituzionale in senso affermativo della giurisdizione del giudice tributario alla luce della natura tributaria della tariffa.
In sintesi: “non è fondata, in riferimento all’art. 102, comma 2, cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui dispone che appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento di rifiuti urbani e, quindi, della tariffa di igiene ambientale (t.i.a.) prevista dall’art. 49 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22: la tariffa di igiene ambientale (t.i.a.), infatti, costituisce una mera variante della ta.r.s.u. disciplinata dal d.p.r. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni) e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima” (C. cost. sent. n. 238/09 e ord. n. 300/09 e n. 64/10).
Tale esegesi è stata infine accolta anche dalle sezioni unite di questa corte a mezzo dell’affermazione che la tariffa di igiene ambientale (t.i.a.), disciplinata dall’art. 49 d.lg. n. 22 del 1997, costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della t.a.r.s.u. (disciplinata dal d.p.r. n. 507 del 1993) e conserva la qualifica di tributo, propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi a oggetto la debenza della t.i.a. hanno natura tributaria e sono da attribuire alla cognizione delle commissioni tributarie (senza che ciò si ponga in contrasto con l’art. 102, comma 2, cost.) (per tutte sez. un. n. 14903/10; sez. un. n. 25929/11).
III. – Gli ulteriori tre motivi, tra loro connessi, possono essere esaminati nel contesto di una trattazione unitaria.
Il secondo e il terzo sono infondati, mentre il quarto è inammissibile.
IV. – La commissione tributaria regionale ha accertato, in punto di fatto, che le fatture de quibus si limitavano a indicare la categoria dell’immobile, l’anno di riferimento, la superficie in metri quadrati, il costo unitario a metro.
Ha evidenziato che, però, non erano stati indicati i criteri, tra minimo e massimo, giustificativi dell’aliquota applicata, né le norme (finanche comunali) poste a base della pretesa.
Ha quindi ritenuto annullabili gli atti in relazione all’insegnamento di Cass. n. 17526/07.
V. – Un simile accertamento di fatto è intangibile in questa sede.
Quanto di diverso sostenuto nel corpo del terzo motivo – a petto della affermazione che la fattura nella specie indicava, invece, i presupposti applicativi della tariffa, e in particolare, oltre alla superficie occupata, alla categoria di riferimento e all’ importo unitario al metro quadrato, anche gli estremi della delibera comunale di fissazione del detto importo, giustificativi dell’aliquota in concreto pretesa – oltre a essere privo di autosufficienza suppone una non consentita rivisitazione di quel giudizio di fatto. E il quarto motivo, col quale si impugna la sentenza per vizio di motivazione, è del tutto inammissibile: (a) perché in verità riferito a una (neppure pertinente) questione giuridica (associata al contenuto vincolato della tariffa d’igiene ambientale siccome posto a fondamento di una conseguente asserita non annullabilità della fattura ai sensi dell’art. 21-ocities, 2° co., della l. n. 241 del 1990); e (b) perché privo, invece, della specificazione del fatto controverso, decisivo per il giudizio, in ordine all’accertamento del quale la motivazione della sentenza andrebbe ritenuta omessa o comunque insufficiente.
VI. – Ebbene, in ragione di quanto accertato circa il manchevole contenuto delle fatture, è da ritenere che la commissione tributaria regionale abbia fatto corretta applicazione dei principi che governano la materia, avendo questa corte giustappunto intrapreso – con orientamento dal quale non si vede ragione di dissenso – la via naturale dell’estensione alla fattura contenente la richiesta della tariffa di igiene ambientale, come al relativo procedimento di quantificazione e riscossione, dei principi generali del procedimento tributario (di accertamento e di riscossione), in larga parte desumibili dalla fondamentale l. n. 212 del 2000 sui diritti del contribuente.
Codesta legge detta i minimali e imprescindibili connotati di forma e di contenuto degli atti partecipativi di una pretesa tributaria. In definitiva, proprio in ragione della natura tributaria della prestazione, l’atto con il quale viene richiesta all’utente/contribuente la tariffa di igiene ambientale, anche qualora conservi la forma della fattura, deve avere i requisiti contenutistici essenziali dell’atto di accertamento di un tributo. In simile prospettiva questa corte ha chiarito (v. Cass. n. 17526/07) che gli atti con cui il gestore del servizio smaltimento rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale, anche quando dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma a un’entrata sicuramente pubblicistica; sicché hanno natura di atti amministrativi impositivi e debbono perciò rispondere ai requisiti sostanziali propri di tali atti. Non è senza significato che la stessa corte costituzionale, nella evocata sentenza n. 238 del 2009, proprio richiamandosi a questa giurisprudenza di legittimità ha precisato che con riguardo alla disciplina dell’accertamento e della liquidazione della T., la lacunosità delle statuizioni contenute nel 9° co. dell’art. 49 d.lgs. n. 22 del 1997 (il quale si limita a prevedere che “la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare”) può essere alternativamente colmata con l’esercizio del potere regolamentare comunale previsto per le entrate anche tributarie dall’art. 52 d.lg. n. 446 del 1997, o per via dell’interpretazione sistematica; interpretazione secondo cui, per esempio, nulla osta a che, per le sanzioni ed interessi relativi all’omesso o ritardato pagamento della T., possano applicarsi le norme generali in tema di sanzioni amministrative tributarie.
Soprattutto la corte costituzionale ha precisato che non contraddice una tale conclusione il fatto che fonti secondarie prevedano, per il pagamento della T., l’emissione di semplici “bollette che tengono luogo delle fatture (…) sempreché contengano tutti gli elementi di cui all’art. 21” del d.p.r. n. 633 del 1972 (art. 1, 1° co., del d.m. n. 370 del 2000); e cioè l’emissione di atti formalmente diversi da quelli espressamente indicati dall’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 come impugnabili davanti alle commissioni tributarie, dal momento che ha ritenuto possibile in via interpretativa – “come, del resto, ha già affermato la Corte di cassazione con la sentenza n. 17526 del 2007, con specifico riferimento alla T.” – un’applicazione estensiva dell’elenco di cui al citato art. 19, al fine di considerare impugnabili anche quegli atti, “con l’ovvio corollario che le suddette «bollette», avendo natura tributaria, debbono possedere i requisiti richiesti dalla legge per gli atti impositivi”.
VII. – L’impugnata sentenza appare dunque conforme ai citati principi, donde il ricorso della A. s.p.a. deve essere rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 2.200,00, di cui euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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