Corte di Cassazione sentenza n. 1122 del 17 gennaio 2013
ACCERTAMENTO – VERSAMENTI BANCARI SOSPETTI – E’ IL FISCO CHE DECIDE SE APPLICARE L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO O QUELLO ANALITICO
massima
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L’accertamento analitico, rispetto a quello induttivo, offre maggiori garanzie al contribuente, in quanto vengono chiariti i motivi delle singole riprese permettendo un più puntuale esercizio del diritto di difesa, consentendo un contraddittorio su base analitica e non presuntiva. Inoltre, non esiste alcuna disposizione di legge in forza della quale in presenza dei presupposti di fatto che consentano sia l’accertamento analitico che quello induttivo, debba essere privilegiato il secondo, potendosi al contrario sostenere come la regola generale debba essere quella di privilegiare sempre e comunque il primo – in quanto garante di maggiore certezza -. Il passaggio dall’accertamento analitico a quello induttivo si determina, infatti, in ragione della progressiva diminuzione di attendibilità delle scritture contabili in ragione delle violazioni contestate. Nel caso in cui, dunque, vengano rinvenuti elementi extra contabili dai quali sia possibile dedurre l’incompletezza, la falsità, o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, è data facoltà – ex art. 39, primo comma D.P.R. n. 600/1973 – all’Ufficio di procedere ad un accertamento analitico-induttivo, che dunque assume come base del ragionamento presuntivo le risultanze delle scritture contabili quando ritenute affidabili. Il ricorso al metodo induttivo ex art. 39, secondo comma,seppur giustificato dall’assoluta inattendibilità delle scritture contabili, e legittimante un accertamento “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza” dell’ufficio, non comporta il sorgere in capo all’Ufficio dell’obbligo di disattendere la documentazione ufficiale, che costituisce comunque il termine di raffronto rispetto alla ricostruzione del reddito effettuata aliunde. Riguardo al ricorso al metodo induttivo, si parla di facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze documentali, non di obbligo in tal senso. In sostanza, in presenza dei presupposti che consentano il ricorso all’accertamento induttivo, all’Ufficio non è preclusa la possibilità di procedere ad accertamento analitico, rinunciando ad una sua facoltà, mentre non può dirsi il reciproco, nel senso che al ricorrere dei presupposti per l’accertamento in via analitica non può procedersi ad accertamento induttivo In definitiva, ricorrendo i presupposti sia dell’accertamento analitico che di quello induttivo, l’ufficio legittimamente può utilizzare l’uno o l’altro metodo, e dovrà esaminare i singoli recuperi e, nei limiti del devolutum, contestare specificamente l’eventuale erroneità dell’operato dell’Ufficio.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 164/51/06, depositata il 5.12.06, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sentenza della CTP con la quale era stato rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla stessa avverso l’avviso di accertamento di maggior reddito ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, con il quale erano state contestate indebite deduzioni di costi ed omessa contabilizzazione di ricavi. Tale atto impositivo traeva origine dall’accertamento, in capo alla società, della contabilizzazione di operazioni di acquisti inesistenti e dal rinvenimento, attraverso l’analisi dei conti correnti bancari dei soci, di versamenti ingiustificati, da presumere quali ricavi non dichiarati, e di proventi finanziari, non contabilizzati né dichiarati.
2. La CTR riformava la sentenza della CTP che aveva rigettato il ricorso ritenendo che, se ai fini IVA la rettifica operata dall’Agenzia delle Entrate trova corretto inquadramento nella verifica più generale a cui era stata sottoposta la società e che le gravi irregolarità emerse dagli accertamenti bancari estesi ai soci, in mancanza di prova contraria, potessero costituire valida presunzione che gli importi riscontrati fosse attribuibili ai fini IVA ad attività in evasione della società, ciò non poteva valere ai fini della determinazione del reddito imponibile ai fini IRPEG e IRAP, per la quale sarebbe stato, difatti, necessario procedere ad un accertamento di tipo induttivo, piuttosto che analitico, in quanto l’entità e la gravità dei rilievi mossi e l’inattendibilità delle scritture contabile avrebbero giustificato il ricorso alla procedura D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, quantificando dunque il reddito imponibile attraverso l’applicazione di una percentuale desunta dalla inedia del settore merceologico, non potendosi invece procedere all’automatico ribaltamento dei costì inesistenti in reddito imponibile, come asseritamente fatto dall’Agenzia delle Entrate.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a 2 motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è lamentata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1.
1.1. Il motivo è fondato. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, l’accertamento analitico, rispetto a quello induttivo, offre maggiori garanzie al contribuente, in quanto vengono chiariti i motivi delle singole riprese permettendo un più puntuale esercizio del diritto di difesa, consentendo un contraddittorio su base analitica e non presuntiva. Inoltre, non esiste alcuna disposizione di legge in forza della quale in presenza dei presupposti di fatto che consentano sia l’accertamento analitico che quello induttivo, debba essere privilegiato il secondo, potendosi al contrario sostenere come la regola generale debba essere quella di privilegiare sempre e comunque il primo – in quanto garante di maggiore certezza. Il passaggio dall’accertamento analitico a quello induttivo si determina, infatti, in ragione della progressiva diminuzione di attendibilità delle scritture contabili in ragione delle violazioni contestate. Nel caso in cui, dunque, vegano rinvenuti elementi extra contabili dai quali sia possibile dedurre l’incompletezza, la falsità, o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione, è data facoltà – D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1 – all’Ufficio di procedere ad un accertamento analitico – induttivo, che dunque assume come base del ragionamento presuntivo le risultanze delle scritture contabili quando ritenute affidabili. Il ricorso al metodo induttivo ex art. 39, comma 2, seppur giustificato dall’assoluta inattendibilità delle scritture contabili, e legittimante un accertamento “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza” dell’ufficio, non comporta il sorgere in capo all’Ufficio dell’obbligo di disattendere la documentazione ufficiale, che costituisce comunque il termine di raffronto rispetto alla ricostruzione del reddito effettuata aliunde.
Riguardo al ricorso al metodo induttivo, si parla di facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze documentali, non di obbligo in tal senso. In sostanza, in presenza dei presupposti che consentano il ricorso all’accertamento induttivo, all’Ufficio non è preclusa la possibilità di procedere ad accertamento analitico, rinunciando ad una sua facoltà, mentre non può dirsi il reciproco, nel senso che al ricorrere dei presupposti per l’accertamento in via analitica non può procedersi ad accertamento induttivo (Cass. 10084/2003; 7354/2002; 7933/2001; 6495/2001). Non è dunque condivisibile l’assunto del giudice del gravame quando afferma che l’Ufficio abbia proceduto illegittimamente con metodo analitico. Il suddetto giudice erra poi laddove fa discendere la necessità del ricorso al metodo induttivo dall’irragionevolezza del risultato a cui sarebbe addivenuto l’Ufficio. Il giudice di appello, difatti, afferma cha la ricostruzione analitica sia errata nel merito in quanto sarebbe risultato erroneo il risultato alla quale essa conduce, tuttavia ciò non è ammissibile in quanto l’argomento dell’assurdità delle conclusioni non può valere da solo a sostenere l’illegittimità del metodo attraverso il quale il reddito è stato ricostruito.
1.2 In accoglimento di tale motivo di ricorso, pertanto, la sentenza della CTR va cassata e rinviata ad altra sezione della CTR Campania, la quale dovrà attenersi al principio di diritto secondo il quale ricorrendo i presupposti sia dell’accertamento analitico che di quello induttivo, l’ufficio legittimamente può utilizzare l’uno o l’altro metodo, e dovrà esaminare i singoli recuperi e, nei limiti del devolutum, contestare specificamente l’eventuale erroneità dell’operato dell’Ufficio.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto manca del tutto un’indicazione riassuntiva e sintetica, contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., comma 2, a tenore del quale la formulazione della censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve contenere un momento di sintesi omologo del quesito di diritto, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo operata dalla ricorrente (Cass. 8897/08, Cass. S.U. 11652/08). Secondo l’insegnamento di questa Corte – invero – è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito – Cass. 24255/2011).
3. Per tutte le ragioni sovra esposte il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere accolto in relazione al primo motivo di ricorso, e la sentenza di secondo grado di conseguenza cassata con rinvio ad altra sezione dalla CTR della Campania affinché provveda all’esame dei suddetti profili di merito.
4. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del giudizio di cassazione.
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