CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2013, n. 11261
Ristrutturazione aziendale – Dirigente – Posizione lavorativa dequalificante – Demansionamento.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Campobasso, quale giudice di rinvio, ha rigettato l’appello proposto da C. Di D. avverso la sentenza del Tribunale di Pescara con cui era stata respinta la domanda dello stesso Di D. diretta ad ottenere che venisse accertato il demansionamento da lui subito a seguito dell’assegnazione, quale dirigente del Comune di Montesilvano, al settore VII (protezione civile e tutela ambientale), settore che era stato costituito ex novo attraverso lo scorporo del settore IV, al quale era stato precedentemente assegnato con competenze ben più vaste in materia di lavori pubblici, servizi e appalti, ed al quale era stata contestualmente preposta una persona esterna all’amministrazione comunale. A tali conclusioni la Corte territoriale è pervenuta osservando che la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso del ricorrente, aveva affermato il principio della piena applicabilità dell’art. 2103 c.c.. nell’ambito delle amministrazioni non statali che non avessero adeguato i propri ordinamenti ai principi di cui all’art. 3 d.lgs. n. 29/93, come nel caso dell’amministrazione resistente, ma ritenendo altresì che, pur nella riconosciuta applicabilità dell’art. 2103 c.c., la domanda del ricorrente non potesse trovare accoglimento in quanto la riorganizzazione degli uffici del Comune di Montesilvano – che aveva determinato l’assegnazione del Di D. al settore VII – non ne aveva comportato l’assegnazione ad una posizione lavorativa inferiore o comunque dequalificante rispetto a quella ricoperta precedentemente, considerato anche il ridimensionamento subito dal settore IV nell’ambito della nuova organizzazione di lavoro e la crescente rilevanza delle competenze del nuovo settore.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione C. Di D. affidandosi a cinque motivi di ricorso cui resiste con controricorso il Comune di Montesilvano.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2909 c.c., 324 e 384 c.p.c, deducendo che sulla sussistenza del demansionamento si era già formato il giudicato nella precedente fase del giudizio, poiché la sentenza della Corte d’appello de l’Aquila, annullata dalla Corte di cassazione, aveva già accertato che le nuove mansioni svolte dal Di D. erano “più ridotte delle precedenti sotto il profilo quantitativo o qualitativo”, e chiedendo a questa Corte di stabilire se la sentenza della Corte d’appello di Campobasso, non tenendo conto di tale accertamento, abbia violato le norme sopra indicate, “omettendo di uniformarsi al giudicato parziale circa l’avvenuta riduzione delle mansioni”.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 2103 c.c., 97 Cost. e 4 d.lgs. n. 29 del 1993, chiedendo a questa Corte di stabilire se configura violazione delle suddette norme “il fatto che il Comune di Montesilvano abbia assegnato, peraltro stabilmente, all’ing. Di D., mansioni inferiori – ovvero mansioni ridotte per qualità e quantità – anche se nel preteso ambito di una rotazione degli incarichi dirigenziali”.
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., 114 e 115 c.p.c, nonché vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente l’equivalenza delle nuove mansioni assegnate al ricorrente, senza procedere ad un confronto tra le vecchie mansioni e quelle nuove, ma tra le nuove mansioni esplicate dal ricorrente e quelle contemporaneamente svolte da altro dirigente di un diverso settore. Ulteriore violazione dell’art. 2103 c.c. sarebbe ravvisabile nell’avere la Corte territoriale ritenuto di dover procedere ad un raffronto tra il numero dei dipendenti sottoposti al Di D. nello svolgimento delle nuove mansioni e quello dei dipendenti sottoposti, nel contempo, ad altro dirigente, anziché al raffronto tra il numero dei dipendenti assegnati al ricorrente nel periodo in cui aveva svolto le vecchie mansioni e il numero dei dipendenti a lui assegnati nel periodo in cui aveva esplicato le nuove. 4.- Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 97 Cost., nonché vizio di motivazione, relativamente alla statuizione con cui la Corte territoriale “ha ritenuto che la rotazione degli incarichi dirigenziali possa essere effettuata con un dirigente appena nominato ed estraneo all’Amministrazione e non soltanto tra dirigenti già in forza all’Amministrazione medesima”. 5.- Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 68 d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 29 d.lgs. n. 80 del 1998 e modificato dall’art. 18 d.lgs. n. 387 del 1998, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto di non essere tenuta all’esame incidentale dell’atto amministrativo con il quale era stato istituito il nuovo settore al quale era stato preposto il ricorrente e di non poter pronunciare nel merito della questione, prescindendo dalla mancata impugnazione di tale atto.
6.- Il primo motivo è infondato. Il ricorrente sostiene che, non avendo il Comune proposto a suo tempo ricorso incidentale condizionato avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, si sarebbe formato il giudicato in ordine all’affermazione, contenuta nella stessa sentenza, secondo cui le nuove mansioni affidate al dirigente dovrebbero ritenersi “più ridotte delle precedenti sotto il profilo quantitativo o qualitativo”.
L’assunto è infondato poiché l’espressione sopra riportata, sulla quale il ricorrente vorrebbe fondare l’esistenza del giudicato, va letta nel più ampio contesto della motivazione della sentenza resa dalla Corte d’appello di L’Aquila, che ha escluso, in primo luogo, l’applicabilità dell’art. 2103 ce. nell’ambito delle funzioni dirigenziali, affermando poi che, anche a voler ritenere applicabile tale disposizione al rapporto di lavoro dei dirigenti, non sarebbe configurabile un diritto del dirigente comunale al mantenimento delle mansioni precedentemente svolte, specie se “le nuove mansioni, pur più ridotte delle precedenti sotto il profilo quantitativo o qualitativo, siano inquadrabili nell’ambito di mansioni dirigenziali (come, pacificamente, è nella fattispecie)”.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 17095 del 2004, ha annullato la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, affermando, come si dirà anche più avanti, che nel caso di specie la disposizione di cui all’art. 2103 ce. resta pienamente applicabile e ritenendo che dell’applicazione di tale disposizione al caso dedotto in controversia la sentenza non avesse dato adeguata motivazione, avendo fondato il proprio convincimento sulla ritenuta “pacificità” del livello dirigenziale delle nuove mansioni, pacificità di cui, tuttavia, non era stata data adeguata giustificazione.
Dalla lettura integrale del testo delle suddette pronunce risulta evidente, quindi, che non vi è stato, da parte dei giudici di merito, un effettivo accertamento in ordine alla sussistenza del demansionamento o di una dequalificazione del lavoratore, intesa come violazione del diritto alla conservazione e all’accrescimento del corredo di nozioni ed esperienze acquisite dal lavoratore nella pregressa fase del rapporto, che anzi la Corte territoriale, come detto, ne ha escluso la configurabilità sulla base della ritenuta “pacificità” del livello dirigenziale delle nuove mansioni. D’altra parte, come è stato ripetutamente affermato (cfr. explurimis Cass. n. 8589/2004), non ogni modificazione quantitativa delle mansioni affidate al lavoratore è sufficiente ad integrare la violazione del divieto, dovendo invece farsi riferimento all’incidenza della riduzione delle mansioni sul livello professionale raggiunto e, con specifico riguardo al dirigente, alla rilevanza del suo ruolo in azienda (Cass. n. 14496/2005), si che, anche sotto questo profilo, le affermazioni contenute nella sentenza della Corte d’appello di L’Aquila non possono in alcun modo ritenersi idonee alla formazione del giudicato sul punto qui in discussione.
7.- Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per riguardare problematiche tra loro strettamente connesse, sono fondati.
8.- Con la già citata sentenza n. 17095/2004 questa Corte ha affermato il principio che “nell’ambito delle amministrazioni non statali le quali non abbiano ancora, in attuazione dell’art. 27 bis del d.lgs. n. 29 del 1993 (poi trasfuso nel d.lgs. n. 165 del 2001), adeguato formalmente i propri ordinamenti ai principi dell’art. 3 e del capo secondo del predetto decreto, l’art. 2103 c.c., nel quadro della generale disposizione dell’art. 4, secondo comma, dello stesso decreto (secondo cui “le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro”), resta pienamente applicabile. E, poiché l’art. 27 bis costituisce una deroga nei confronti del principio generale fissato dall’art. 4, secondo comma, dell’indicato decreto, l’ente che, invocando gli artt. 19 e 27 bis, sostenga di non essere soggetto, quale datore di lavoro, agli obblighi previsti dall’art. 2103 c.c., ha l’onere di fornire la prova del fatto (adeguamento dell’ordinamento) che è il presupposto di questa deroga”, derivandone che, “nel caso in esame, ove l’adeguamento non è stato neanche dedotto, la disposizione dell’art. 2103 c.c.. resta applicabile”.
9.- Con la stessa sentenza questa Corte ha ritenuto, altresì, che la Corte d’appello, pur avendo fatto subordinatamente applicazione dell’art. 2103 c.c., non ne avesse poi dato adeguata motivazione, arrestandosi ad una apodittica affermazione del livello dirigenziale delle nuove mansioni e non tenendo conto, fra l’altro, che il principio dell’art. 97 Cost. presuppone, nell’ambito del rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione, non solo la negazione di poteri maggiori di quelli riconosciuti al privato datore, bensì “l’affermazione d’un limite ulteriore, l’imparzialità: la quale diventa rigore nelle scelte (necessario in particolare a livello dirigenziale, per la vicinanza con il potere politico), e, simmetricamente, libertà del lavoratore dal condizionamento di esterni interessi”.
10.- Alla stregua di quanto statuito da questa Corte, ferma restando l’applicabilità dell’art. 2103 ce alla fattispecie in esame, il giudice del rinvio avrebbe dovuto, quindi, fare corretta applicazione di tale disposizione, raffrontando innanzi tutto le mansioni in concreto attribuite al lavoratore (dopo la riorganizzazione degli uffici) con quelle proprie della sua qualifica e concretamente poi svolte (prima dell’attribuzione delle nuove mansioni), accertandone comparativamente l’equivalenza ovvero il minore contenuto professionale delle nuove rispetto alle precedenti, tenendo conto, fra l’altro, della competenza richiesta, del livello professionale raggiunto e dell’utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto, secondo principi ripetutamente affermati in materia da questa Corte (cfr. ex plurimis Cass. n. 2649/2004, Cass. n. 2428/99), pur dovendo considerarsi che, per i dirigenti, il criterio della equivalenza delle mansioni va applicato con una flessibilità ben maggiore di quella utilizzabile con riferimento a tutti gli altri lavoratori dipendenti (cfr. ex plurimis Cass. n. 12365/2003).
11.- Nel caso di specie, i giudici di merito non si sono invece attenuti ai principi sopra enunciati, avendo posto a raffronto le nuove mansioni non con quelle che erano state attribuite allo stesso dirigente nella fase antecedente al processo di riorganizzazione degli uffici comunali, ma con quelle assegnate ad altro dipendente chiamato a dirigere il settore dal quale proveniva il ricorrente dopo il processo di riorganizzazione, e cioè dopo che, come si legge nella sentenza, tale settore aveva subito un notevole ridimensionamento, essendone state talune funzioni “esternalizzate” ed altre demandate a settori diversi. Nessuna indagine concreta è stata, inoltre, svolta con riguardo ad un accertamento comparativo delle nuove mansioni, sotto il profilo della loro equivalenza o meno in relazione alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisiti nella pregressa fase del rapporto, essendosi la Corte di merito limitata a svolgere alcune generiche considerazioni in ordine alla rilevanza delle materie attribuite alla competenza del nuovo settore al quale era stato preposto il ricorrente (è già attribuite, peraltro, insieme ad altre, al settore al quale egli era originariamente addetto quale dirigente), nonché in ordine alla elevata qualificazione richiesta per la direzione dello stesso settore, limitandosi a rilevare, al riguardo, che si trattava di un “settore di nuova istituzione dell’organizzazione comunale e con evidenti necessità anche di rapporti intersettoriali” (affermazione che evidentemente non è, di per sé, sufficiente a giustificare la ritenuta equivalenza, in concreto, delle nuove mansioni rispetto a quelle precedentemente espletate).
12.- Alla luce delle esposte argomentazioni, la sentenza gravata deve ritenersi inficiata dai vizi e dalle violazioni denunciate con il secondo ed il terzo motivo di impugnazione e va pertanto cassata in relazione a tali motivi, restando assorbito l’esame degli altri, con rinvio per un nuovo esame ad altra Corte d’appello, che si designa in quella di L’Aquila, la quale, nel procedere alla indagine demandatagli, applicherà i principi di diritto sopra enunciati e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di L’Aquila.
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