Corte di Cassazione sentenza n. 11549 del 10 luglio 2012
LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – RECESSO DEL DATORE – MALATTIA DEL DIPENDENTE – SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO – SINGOLE GIORNATE DI ASSENZA DAL SERVIZIO – ONERE DI SPECIFICAZIONE NELLA LETTERA DI LICENZIAMENTO
massima
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Il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive idonee a evidenziare un superamento del periodo di comporto.
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non al licenziamento disciplinare, ma a quello per giustificato motivo oggettivo. Ne consegue che il datore di lavoro, non ha l’onere di indicare le singole giornate di assenza, potendo determinare il numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato (Cass. Civ., 25 novembre 2010 n. 23920), anche considerato che non può ragionevolmente richiedersi al datore di lavoro, specie nell’ipotesi di comporto per sommatoria, una dettagliata elencazione delle giornate di assenza che, stante il principio dell’immodificabilità delle ragioni del recesso, esporrebbero lo stesso all’illegittimità del licenziamento in caso di mere inesattezze nell’indicazione delle assenze.
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Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Treviso L. H. impugnava il licenziamento, irrogatogli dalla società cooperativa A. il 24 ottobre 2003, per superamento del periodo di comporto, a suo avviso illegittimo perché adottato in violazione della procedura di cui all’art. 2 L. n. 604/66 e, comunque, per essere dovuta l’assenza ad infortunio e non a malattia, ed infine per non essere stato preavvisato dell’approssimarsi della scadenza del comporto e del possibile licenziamento.
Si costituiva la società cooperativa contestando la fondatezza della domanda, che veniva respinta dal Tribunale.
Proponeva appello il lavoratore; resisteva la società cooperativa A.
Con sentenza depositata il 17 dicembre 2009, la Corte d’appello di Venezia respingeva il gravame, compensando per metà le spese di causa. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il L. affidato a tre motivi.
Resiste la società cooperativa con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dì norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro, nonché degli artt. 2 L. n. 604/66 e 2110 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.); nonché omessa od insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.).
Lamenta in sostanza il ricorrente che la Corte di merito ritenne, in violazione delle norme di diritto invocate, che fosse sufficiente per il datore dì lavoro indicare il motivo del licenziamento (specificato nel superamento del periodo di comporto), oltre al periodo complessivo di assenze nell’arco temporale di riferimento. Lamenta che la lettera di licenziamento avrebbe dovuto invece contenere la menzione dei singoli periodi di assenza, con indicazione della data iniziale e finale di ogni assenza e specificazione del relativo titolo; che comunque a ciò sarebbe stata tenuta a seguito della richiesta inoltrate dal lavoratore ex art. 2 L. n. 604/66. Il motivo è infondato.
Deve innanzitutto considerarsi che il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non al licenziamento disciplinare, ma a quello per giustificato motivo oggettivo. Ne consegue che il datore di lavoro, non ha l’onere di indicare le singole giornate di assenza, potendo ritenersi sufficienti indicazioni più complessive, come la determinazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato (cfr. da ultimo, Cass. 25 novembre 2010 n. 23920, Cass. 26 maggio 2005 n. 11092), anche considerato che non può ragionevolmente richiedersi al datore di lavoro, specie nell’ipotesi di comporto per sommatoria, una dettagliata elencazione delle giornate di assenza che, stante il principio dell’immodificabilità delle ragioni del recesso, esporrebbero lo stesso all’illegittimità del licenziamento in caso di mere inesattezze nell’indicazione delle assenze (cfr. Cass. 22 marzo 2005 n. 5143). E questo è ciò che è avvenuto nella specie, ove il licenziamento per superamento del periodo di comporto è del 24 ottobre 2003 e nella relativa comunicazione scritta si evidenzia che negli ultimi 17 mesi (arco temporale di riferimento previsto dal c.c.n.l.) il ricorrente aveva superato il periodo di sei mesi previsto dal contratto collettivo.
È poi vero che in base alle regole dettate dall’art. 2 della legge n. 604/1966 (modificato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990) sulla forma dell’atto e la comunicazione dei motivi del recesso, qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo dì conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza dì poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo (Cass. 3 agosto 2004 n. 14873). Non risulta pertanto a tal fine sufficiente la generica richiesta dei motivi ex art. 2 L. n. 604/66, né peraltro il ricorrente specifica, in contrasto col principio dell’autosufficienza, il contenuto di tale richiesta.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro, nonché degli artt. 2110 c.c. e 12 delle disposizioni di attuazione del ce. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.); omessa od insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.).
Lamenta in sostanza il ricorrente che l’art. 47 del c.c.n.l. per i dipendenti da aziende alimentari prevede che il lavoratore, con anzianità di servizio sino a cinque anni, che “debba interrompere il servizio a causa di malattia o infortunio non sui lavoro” ha diritto ad un periodo di comporto di sei mesi riferito ai 17 mesi precedenti; che l’ultima assenza di malattia cessò il 20 dicembre 2002, sicché risultava un’assenza complessiva dal 21 maggio 2002 al 20 dicembre 2002 di 135 giorni, inferiore ai sei mesi di comporto, mentre le assenze successive a tale data, come risultava dalla documentazione INPS riprodotta in fotocopia, non potevano ascriversi a malattia. Chiedeva se l’assenza dal lavoro per malattia sia subordinata al riconoscimento di tale causale da parte dell’I.N.P.S., dovendosi di contro considerare le altre assenze sulla base della disciplina prevista per gli infortuni. Il motivo è inammissibile poiché, in contrasto con l’art. 366 c.p.c., non espone adeguatamente ì fatti di causa, rinviando alla riproduzione fotografica di vari documenti inseriti nel ricorso, la ricostruzione degli stessi ad opera della Corte.
Deve al riguardo rammentarsi che il requisito dell’autosufficienza non può ritenersi soddisfatto nel caso in cui il ricorrente inserisca nel proprio atto di impugnazione la riproduzione fotografica di uno o più documenti, affidando alla Corte la selezione delle parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n. 1716). Non è chiarito inoltre il numero complessivo delle assenze che ad avviso del ricorrente dovrebbero considerarsi causate da malattia e quali da infortunio e per quale ragione.
Trattasi comunque dì accertamento in fatto, precluso al giudice di legittimità, e congruamente valutato dal giudice di merito, che ha incluso sostanzialmente nel comporto il periodo indicato dal dipendente quale infortunio sul lavoro, non riconosciuto dall’I.N.A.I.L. e sfornito comunque di prova.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro, nonché degli artt. 2110, 2118, 2119 e 2697 c.c., 1 e 5 L. n. 604/66; 18 L. n. 300/70, 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c); nonché omessa od insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.).
Lamenta che la Corte di merito ritenne tempestivo il recesso, avuto riguardo alla necessità di verificare i vari periodi di malattia, alle dimensioni dell’azienda ed al periodo feriale trascorso durante la fase di tali accertamenti.
Lamenta di aver eccepito tempestivamente la tardività del recesso, peraltro da considerarsi eccezione in senso lato e dunque non soggetta alle decadenze di cui agli artt. 414-416 c.p.c., anche in considerazione del fatto che egli lavorò nel periodo dal 3 agosto al 10 settembre 2003.
Il motivo è in larga parte inammissibile, e per il resto infondato.
Ed invero esso si fonda su di un complesso assemblaggio di atti processuali e documenti, con inammissibile richiesta alla Corte di enuclearne i fatti decisivi e le ragioni a conforto della tesi esposta (cfr. Cass. 22 settembre 2009 n. 20393; Cass. 7 febbraio 2012 n.1716).
Deve comunque rilevarsi che l’eccezione di tardività del licenziamento, costituisce un’eccezione in senso stretto, introduttiva di un diverso thema decidendum (cfr. Cass. 9 marzo 2011 n. 5555), soggetta dunque alle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c.
Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.40,00 per esborsi, €.2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.
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