Corte di Cassazione sentenza n. 11588 del 26 marzo 2012
PROCESSO PENALE – REATO PER FATTURE FALSE SOLO SE SONO REGISTRATE – NON E’ EVASIONE FISCALE SE LE FATTURE FALSE NON SONO CONTABILIZZATE
massima
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Non si commette il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di documenti per operazioni inesistenti, se non viene provato che le fatture false sono state incluse nella dichiarazione e registrate in contabilità. Il mero ritrovamento presso l’azienda di fatture false non fa scattare il reato di evasione fiscale e dichiarazione fraudolenta. È necessaria, a tal fine, la registrazione in contabilità.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
1) La Corte di Appello di Caltanisetta, con sentenza in data 26.5.2011, in parziale riforma della sentenza emessa il 13.11.2009 dal Tribunale di Gela, in composizione monocratica, con la quale F.M. era stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione per i reati di cui all’art. 81 cpv. c.p., e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, (capo a) ed al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, (capo b), unificati sotto il vincolo della continuazione, concedeva all’appellante F. le circostanze attenuanti generiche, riducendo la pena inflitta in primo grado ad anni 1 e mesi 6 di reclusione e confermando nel resto. Rilevava la Corte territoriale che i reati contestati al F., in qualità di legale rappresentante della Fe., erano stati accertati a seguito di indagini della G.d.F.; dalla documentazione contabile era infatti emerso che l’imputato, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, si era avvalso di false fatture per operazioni inesistenti (quattro nel 2004 e quattro nel 2005) emesse dalla ditta “S.G.”. Era stato, inoltre, accertato che nella dichiarazione dei redditi dell’anno 2005 erano stati indicati elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo per un’imposta evasa superiore al 10% dell’ammontare dei ricavi dichiarati.
Nel disattendere i motivi di appello in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati ascritti, assumeva la Corte territoriale, quanto al capo a), che dai controlli incrociati era emerso che fatture utilizzate dalla Fe. non avevano trovato alcun riscontro nella contabilità della Ditta S., come riferito dal teste M.llo V.L.
Quanto al reato di cui al capo b) la G.d.F. aveva correttamente calcolato l’imposta evasa, suddividendo le fatture per le quali era stata indicata l’IVA al 20% da quelle per le quali era stata calcolata nella misura del 4%.
Infine, riteneva la Corte territoriale che potessero essere utilizzati i riscontri documentali e contabili (fotocopie delle fatture), allegati al processo verbale di accertamento.
2) Ricorre per cassazione F.M., denunciando, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione di legge.
La Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui al capo a) sulla base di otto fatture ritrovate e sequestrate, senza tener conto che, come evidenziato nei motivi di appello, ad integrare il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, è necessaria la registrazione nelle scritture obbligatorie. Agli atti del dibattimento non vi sono però le scritture contabili, per cui non vi è prova dell’avvenuta contabilizzazione. Peraltro non è stata accertata neppure la falsità delle fatture, non essendo stata acquisita la prova dell’esistenza o meno di rapporti commerciali con la ditta S.
A tal fine non sono utilizzabili le dichiarazioni del S. e del F. e neppure quelle del M.llo V. che fa esclusivamente riferimento a quanto dichiarato dallo stesso S.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale era necessario accertare che tali elementi negativi fossero stati utilizzati nella dichiarazione dei redditi e, in mancanza di tale accertamento, non poteva essere ritenuto sussistente il reato. Anche in relazione al reato di cui al capo b) la Corte territoriale ha omesso di accertare quali fatture siano state effettivamente emesse dal ricorrente e comunque siano vere. Prima di stabilire se vi era stata evasione di imposta occorreva, infatti, accertare l’esatto valore dei rapporti commerciali intercorsi tra la Fe. e la Works e la Travi. In ogni caso l’indicazione di un’aliquota iva errata (4% anziché 20%) costituisce illecito amministrativo D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 6.
Ed infine l’eventuale evasione sarebbe data dalla differenza tra quanto asseritamente incassato e quanto effettivamente dichiarato e nel caso di specie sarebbe pari ad Euro 22.922,13 e quindi inferiore al limite previsto dall’art. 4, D.Lgs.
La Corte territoriale non indica neppure quale tipo di imposta sarebbe stata essa e quale aliquota sarebbe stata usata per determinare la non provata evasione fiscale.
Ha omesso di pronunciarsi poi sui rilievi contenuti nell’atto di appello in ordine alla mancanza in atti delle scritture contabili obbligatorie, in ordine alla omessa verifica da parte dei Tribunale sulla documentazione fiscale della Fe., ed in ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni riferite dai vari reparti alla G.d.F. di Gela. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 191 c.p.p. Illegittimamente la Corte territoriale, pur dichiarando inutilizzabili le dichiarazioni rese dal S. e dal F., di fatto le ha utilizzate per la decisione. Né poteva utilizzare le dichiarazioni del M.llo V. fondate su quanto riferito ad altri reparti dallo stesso S. in ordine alla inesistenza di rapporti commerciali con la Fe.
Con il terzo motivo denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, non avendo la Corte territoriale ammesso la richiesta rinnovazione del dibattimento per riesaminare il M.llo V., per l’acquisizione della documentazione fiscale e contabile della Fe. e per l’espletamento di consulenza tecnica, nonché la mancanza di prova e/o di indizi gravi precisi e concordanti in ordine ai reati ascritti.
Con il quarto motivo denuncia la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, non avendo la Corte territoriale spiegato sulla base di quali elementi di fatto e di diritto abbia fondato l’affermazione di responsabilità.
Con il quinto motivo, infine, denuncia l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione di prescrizione del reato.
3) Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.
3.1) Per quanto riguarda il reato di cui al capo a), va ricordato che, a norma del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, è sanzionato “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi” (comma 1) e che “Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria” (comma 2).
Secondo quanto prevede espressamente la norma e come affermato costantemente da questa Corte, è necessario, quindi, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, “da un lato, che la dichiarazione fiscale contenga effettivamente l’indicazione di elementi passivi fittizi e, dall’altro, che le fatture ideologicamente false siano conservate nei registri contabili o nella documentazione fiscale dell’azienda, in ciò identificandosi la condotta di “avvalersi” delle fatture normativamente richiesta” (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 14718 del 6.3.2008).
La Corte territoriale, nonostante i puntuali rilievi contenuti, in proposito, nell’atto di impugnazione, ha omesso di motivare in ordine alla sussistenza delle “condizioni” richieste dalla norma per la configurabilità del reato contestato.
Con i motivi di appello, nel denunciare la violazione del dettato normativo, si evidenziava che non vi era prova della registrazione nelle scritture contabili delle fatture indicate nel capo di imputazione nonché della utilizzazione delle stesse nelle dichiarazioni dei redditi e, inoltre, che la falsità delle fatture era stata desunta dalle dichiarazioni inutilizzabili del S. e dello stesso F., nonché del M.llo V. che aveva fondato i suoi accertamenti su quanto riferito da altri reparti della G.d.F. in base alle stesse dichiarazioni del S.
La Corte di merito, pur riconoscendo che non potevano essere utilizzate in dibattimento ai sensi dell’art. 191 c.p.p., le dichiarazioni di S.G., il quale aveva dichiarato di non aver mai intrattenuto rapporti economici con la FEDIL e di non aver quindi mai emesso le fatture di cui alla contestazione, e quelle dello stesso F., che aveva ammesso di aver emesso tali fittizie fatture per necessità, ha finito, di fatto, per utilizzarle. L’aver riportato il contenuto di tali dichiarazioni è estremamente significativo (quasi a voler da esse trarre conferma dell’assunto accusatorio che rimaneva ancorato alle sole dichiarazioni del M.llo V.). Di fronte alle contestazioni difensive anche in ordine a tale testimonianza, fa Corte territoriale si è limitata, infatti, ad affermare che il teste non aveva riferito “in merito a tali dichiarazioni, ma soltanto sul dato di fatto secondo cui nella Ditta Salerno non era stata trovata alcuna documentazione a riscontro”.
Ma, come emergeva anche dalla sentenza di primo grado, il M.llo V. non aveva effettuato personalmente accertamenti in ordine alla documentazione contabile della ditta S. (“Questi riferiva sui controlli effettuati nel corso dell’anno 2008 da diversi comandi del corpo di appartenenza .. “pag. 4 sent. Trib.), tanto che la Corte di merito richiamava il verbale di sequestro in cui erano riportate le dichiarazioni del S. in ordine al fatto che le fatture non erano state da lui emesse.
Avrebbe dovuto, allora, la Corte di merito argomentare, in modo preciso e circostanziato, in relazione alle fonti di prova (utilizzabili) che consentivano, da un lato, di ritenere che le fatture erano false e, dall’altro, che esse erano state utilizzate nelle dichiarazioni dei redditi come elementi negativi.
3.2) Le medesime considerazioni valgono anche in relazione al reato di cui al capo b), non avendo la Corte territoriale, nonostante le specifiche doglianze contenute nei motivi di appello, indicato da quali elementi traesse la prova dell’imposta evasa e dell’ammontare della stessa, nonché dell’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione (anche ai fini del superamento della “soglia” di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art.4).
3.3) La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanisetta per nuovo esame alla luce dei principi e dei rilievi sopra indicati.
Ogni altra doglianza rimane assorbito rilevandosi, comunque, che i reati contestati non erano prescritti al momento della sentenza impugnata (né lo sono alla data odierna), non essendo il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 ancora decorso (le contestazioni fanno riferimento agli anni di imposta 2004 e 2005 ed il reato si perfeziona nel momento in cui (nell’anno successivo) la dichiarazione dei redditi è presentata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanisetta per nuovo esame.
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