Corte di Cassazione sentenza n. 11589 del 26 maggio 2011
RAPPORTO DI LAVORO – MEDICO SANZIONATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE – PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
massima
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Il medico è sanzionato dall’Ordine, se vanta titoli che non possiede e pubblica immagini “sconvenienti” sul suo sito web.
Il potere disciplinare spettante al Consiglio dell’Ordine nei confronti del professionista, per la repressione degli abusi e delle mancanze di cui gli iscritti si rendano colpevoli nell’esercizio della professione, non si riferisce solo alla professione espletata secondo un modello organizzativo autonomo, ma anche a fatti e violazioni connessi allo svolgimento di ogni attività che sia estrinsecazione delle particolari conoscenze tecniche attestate dal titolo di studio (Cass. civ., Sez. III, 31/05/2006, n. 13004), con la conseguenza che, nei confronti degli iscritti che siano pubblici dipendenti, detto potere può essere legittimamente esercitato anche con riguardo a violazioni di norme deontologiche inerenti l’esercizio di attività legata allo “status” del professionista e svolta nell’ambito del rapporto di lavoro.
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PREMESSO IN FATTO
1.- Il 18.11.2004 la commissione disciplinare dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi ed odontoiatri della provincia di Napoli avviò un procedimento disciplinare nei confronti del dott. R. E. per non aver predisposto la cartella clinica in occasione dell’intervento di chirurgia plastica estetica al seno di L. D., da lui effettuato a Napoli presso il centro di medicina e chirurgia estetica “(…).
Il 4.7.2005 furono contestati al medico ulteriori addebiti relativi alla regolarità del centro di cui l’E. era direttore sanitario, anche in ordine alla gestione dei registri di carico e scarico degli stupefacenti.
Era poi risultato che egli aveva attivato un sito Internet autopromozionale il cui contenuto era in contrasto con la legge n. 175 del 1992, in quanto erano prospettati titoli professionali di cui il medico era privo e mostrate immagini non confacenti alla dignità della professione; che i carabinieri avevano segnalato che presso il centro medico erano effettuati trattamenti di ‘mesoterapia anticellulite” senza autorizzazione, che era stata esposta una targa pubblicitaria priva della indicazione della autorizzazione, in violazione dell’art. 194 del R.D. n. 1265 del 1934.
All’esito del giudizio disciplinare svoltosi il 6.11.2006 fu irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per tre mesi anche sui rilievi che l’E. era stato già due volte sanzionato (nel 2001 e nel 2005), la seconda volta con sospensione (per un mese) per violazioni disciplinari connesse alla irregolarità della pubblicità sanitaria; e che, inoltre, aveva assunto nei confronti dell’ordine un comportamento non ispirato ai principi di correttezza e lealtà, rilasciando dichiarazioni contraddittorie “e in qualche occasione mistificatorie”.
Fu anche deciso di attendere l’esito dei procedimenti penali in corso in ordine ad eventuali, ulteriori contestazioni di rilievo disciplinare.
2.- Il ricorso del dott. E. è stato respinto dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie con decisione n. 32 del 2008, avverso la quale è proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Resistono con controricorso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e l’Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri della provincia di Napoli.
3.- Con atto privo di data, sottoscritto dai difensori e consegnato il 20.4.2011 (sette giorni prima della fissata discussione in udienza) alla posta per la comunicazioni a mezzo di raccomandata agli avvocati delle controparti, i difensori del ricorrente hanno rinunciato al ricorso per essere stato già portato ad esecuzione il provvedimento sanzionatorio. Hanno chiesto “che venga dichiarata la compensazione integrale delle spese con l’adesione delle parti costituite”.
1.- Va dichiarata l’estinzione del giudizio di cassazione per rinuncia, alla quale, peraltro, non hanno aderito le altre parti. parti. Poiché in tal caso la corte “può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese” (art. 391, secondo comma, cod. proc. civ.), il collegio ravvisa l’opportunità di apprezzare la virtuale fondatezza del ricorso, anche se ai soli fini della statuizione sulle spese.
2.- Col primo motivo il ricorrente si duole, quanto al comportamento tenuto nei confronti dell’Ordine, di essere stato sanzionato per un comportamento non contestatogli.
2.1.- Il motivo appare inammissibile in quanto al di là del rilievo che dal ricorso non è dato cogliere se effettivamente il ricorrente sia stato sanzionato per un illecito disciplinare non contestato o se, invece, del suo comportamento nel corso del procedimento disciplinare si sia solo tenuto conto ai fini della determinazione della sanzione – il ricorrente non afferma che tale doglianza aveva, sotto l’aspetto ora dedotto, prospettato innanzi alla Commissione centrale.
3.- Col secondo motivo sono denunciate violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed “assoluta erroneità della pronuncia e dell’iter logico” per avere egli eccepito innanzi alla Commissione – che non se ne era, invece, fatta carico – anche la violazione del codice deontologico, laddove aveva chiarito che l’art. 66 del codice deontologico contempla come ulteriore elemento di valutazione ai fini disciplinari la mancata collaborazione del medico nel procedimento disciplinare.
3.1.- Lo stesso ricorrente afferma nell’illustrare il motivo, che egli aveva rappresentato di avere sempre dimostrato collaborazione con l’Ordine, pur con le difficoltà indotte dalle vicende familiari (dissidi con i parenti soci del centro medico) cui si era riferito.
Ma tanto integra una prospettazione idonea a delineare non una violazione dell’art. 112 c.p.c., bensì una doglianza relativa all’apprezzamento, nel merito, delle proprie difese, in questa sede suscettibile di assumere rilievo solo sotto il profilo del vizio della motivazione.
E tale vizio non sembra sussistere, se solo si consideri che a pagina 1 della decisione impugnata è chiaramente esposto che il medico aveva dapprima affermato che l’intervento alla D. era stato eseguito in regime di day surgery, non comportante l’obbligo di tenere una cartella clinica (memoria del 24.2.2004), e poi che il centro dove aveva eseguito l’intervento non era un day surgery (memoria dell’8.11.2004).
4.- Col terzo motivo la decisione è censurata per violazione del codice deontologioo e del D.P.R. n. 221 del 1950, per illogicità e per mancata valutazione di elementi imprescindibili, quali la sua violenta estromissione dal centro medico, realizzato dalla amministrazione (la sorella) in data 1.12.2003, mediante la sostituzione delle serrature. In epoca successiva erano state poi rinvenute dal curatore fallimentare sia le cartelle cliniche che le fiale degli stupefacenti, sicché appariva evidente egli fosse stato vittima di un complotto di carattere familiare che avrebbe suggerito la sospensione del procedimento in attesa della definizione dei procedimenti penali, in alcuni dei quali era parte offesa.
4.1.- Donde risulti che cartelle cliniche e fiale erano state successivamente rinvenute e che erano state prodotte il ricorrente non dice nell’illustrazione del motivo, che pare dunque inammissibile per difetto di autosufficienza.
Né il difetto può dirsi insussistente in relazione a quanto riportato, alle pagine 14 e 15 del ricorso, circa le doglianze fatte valere innanzi alla Commissione centrale, dove non vengono offerti elementi conoscitivi puntuali, tali da consentire alla Corte di effettuare immediatamente i controlli (senza dovere autonomamente ricercare ed individuare gli atti) che ritenesse opportuni ai fini della valutazione della decisività dei dati conoscitivi che si affermano pretermessi.
5.- Col quarto motivo la sentenza è censurata per violazione e falsa applicazione della legge n. 175 del 1992 in tema di pubblicità sanitaria, errore di diritto, illogicità, violazione del D.P.R. n. 221 del 1950, insufficiente e contraddittoria motivazione. Vi si afferma tra l’altro che il 10.10.2005 l’incolpato aveva prodotto “l’autorizzazione n. 27516 del 20.7.2004 finalizzata all’installazione di una targa muraria frontale e monofacciale da apporre a destra del portone d’ingresso solo successivamente rinvenuta. Pertanto, non avrebbe potuto irrogarsi la sanzione disciplinare che l’art. 3 della legge n. 175 del 1992 contempla solo per le forme di pubblicità effettuate senza l’autorizzazione del sindaco.
Si sostiene poi che nella pubblicità svolta sul sito (…) erano menzionate specializzazioni effettivamente conseguite dall’incolpato, che in altre branche, al contrario di quanto segnalato dai carabinieri del N.A.S. s’era fatto riferimento alla “competenza”.
Quanto al sito web (…), si espone che egli non aveva mai autorizzato l’inserzione, anzi diffidando i responsabili del sito dal continuare a farla.
5.1.- La prima censura sembra infondata poiché la Commissione centrale chiarisce che l’addebito concerneva “la mancata indicazione degli estremi dell’autorizzazione” e poiché la sospensione è stata inflitta in relazione all’insieme delle violazioni di cui il professionista s’è reso responsabile, sicché non assume determinate rilievo la previsione dell’art. 3 della legge n. 175 del 1992, relativa alla mancanza di autorizzazione.
La seconda pare inammissibile in quanto, per un verso, la Commissione centrale sì è riferita al sito internet attivato dal dott. E. (dunque al primo e non al secondo) e, per altro verso, il ricorrente non espone in ricorso l’esatto contenuto della pubblicità che, secondo la Commissione centrale, conteneva il “riferimento a titoli di specializzazione non posseduti dal ricorrente” (così la decisione impugnata, alla fine della motivazione “in diritto”); in tal modo precludendo alla Corte di Cassazione l’apprezzamento sull’adeguatezza della risposta della Commissione centrale alle censure che erano state mosse al provvedimento sanzionatorio.
6.- Essendo negativo, per le ragioni esposte, l’apprezzamento sulla virtuale fondatezza del ricorso, il ricorrente va condannato alle spese cui, proponendolo, ha dato causa.
P.Q.M.
dichiara l’estinzione del giudizio di cassazione e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che in favore dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi ed odontoiatri della provincia di Napoli liquida in € 3.200, di cui € 3.000 per onorari, oltre alle pese generali ed agli accessori di legge, ed in favore del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali in € 2.000, oltre alle spese prenotate a debito.
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