CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 maggio 2013, n. 11614

Tributi – Agevolazioni tributarie – Prima casa – Allaccio utenze – Acquisto dell’immobile – Richiesta di residenza – Comune – Esclusione dei benefici

Svolgimento del processo

L’ Agenzia delle Entrate notificava a T. R. avviso di liquidazione per il recupero delle agevolazioni fiscali “prima casa” di cui all’art. 3, comma 151, della legge 549/1995, fruite in base all’atto di acquisto 9-7-1998 della proprietà di un alloggio e di un box auto; siffatto recupero era stato richiesto in quanto la contribuente non aveva stabilito la sua residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile nel termine (un anno dall’ atto) previsto dalla norma.

Avverso detto avviso proponeva ricorso la contribuente, deducendo di avere presentato richiesta di residenza in data 11-6-1999 (quindi entro il termine di un anno dalla stipula), e che siffatta richiesta, in un primo tempo rigettata, era stata poi accolta in data 13-9-1999; al fine di dimostrare l’effettiva residenza produceva varia documentazione (in particolare: copia contratto allacciamento ENEL 1-9-1998 e ITALGAS 18-11-1998 nonché denuncia 1-10-1999 ai fini TARSU).

L’adita CTP di Torino accoglieva il ricorso.

Con sentenza depositata il 10-3-2006 la CTR rigettava l’appello dell’Ufficio; in particolare la CTR affermava che la contribuente aveva dato prova sia di avere richiesto entro l’anno la residenza sia di avere effettivamente trasferito la propria residenza (come dimostrato dall’esibita documentazione); che detta prima richiesta non era stata accolta per un “disguido”, sicché la richiesta rinnovata e subito dopo accolta doveva intendersi come una forma semplice e rudimentale di opposizione al rifiuto e quindi doveva essere ricollegata alla prima richiesta presentata entro l’ anno.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato a due motivi; la contribuente non svolgeva attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo l’Agenzia denunzia, ai sensi dell’ art 360 n. 5 c.p.c., omessa motivazione sulla sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso della contribuente per la non conformità tra la copia dell’ atto notificata all’Ufficio e l’originale depositato presso la Commissione Tributaria Provinciale. Il motivo è infondato.

La denunciata omessa motivazione attiene a “eccezione” in ordine alla quale la stessa ricorrente lamenta che “neppure una parola viene spesa” dal giudice di appello; la doglianza, quindi, propone un vizio che non riflette affatto la “motivazione” della decisione (che non esiste) ma il contenuto di questa, perché integra propriamente un error in procedendo per omessa pronuncia su detta “eccezione”, e quindi un vizio riconducibile a violazione dell’ art. 112 c.p.c, produttivo della nullità della decisione ex art. 132 c.p.c.

Ciò posto, va rilevato che, per consolidato e condiviso principio di questa Corte, “affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario non solo che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabile, ma anche, per il principio dell’ autosufficienza, che tali domande o eccezioni vengano riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività” (Cass. 12 febbraio 2010 n. 3374; cfr., altresì, Cass. 29 ottobre 2010 n. 22235; Cass. 7 ottobre 2010 n. 20845; Cass. sez. un. 28 luglio 2005, n. 15781).

Nel caso in questione la ricorrente non ha provveduto in tal senso, e si è limitata a esporre che “nell’ atto di appello l’ Ufficio ha ben evidenziato come, ai sensi dell’ art. 22 D. Lgs. 546/92, requisito essenziale per l’ ammissibilità del ricorso è che vi sia conformità tra la copia dell’ atto notificata all’ Ufficio e l’ originale depositato presso la Commissione Tributaria Provinciale”, deducendo che «nell’illustrare lo svolgimento del processo» il giudice di appello ha omesso «di indicare l’ altro elemento di difformità tra copia notificata e copia depositata, cioè la presenza solo nella seconda della sottoscrizione del difensore». Con il secondo motivo l’Agenzia denunzia, ex art. 360 n. 3 epe, violazione e falsa applicazione dell’ art 1, comma 1, nota II bis), comma 1, lett. a) della tariffa, parte prima, allegata al DPR n. 131/1986, come sostituito dall’ art. 3, comma 131, della legge 549/1995; conclude con i seguenti quesiti:

(a) “se possa ritenersi soddisfatta la condizione stabilita dall’art. 1, comma 1, nota II bis, comma 1, lett. a) della tariffa, parte prima allegata al DPR n. 131/1986, come sostituiti dall’ art. 3, comma 131, della legge 549/1995, nel caso in cui la residenza risulti anagraficamente stabilita dopo la scadenza del termine di un anno dall’ acquisto dell’ immobile”;

(b) “se, in ipotesi di trasferimento della residenza successivo a detto termine annuale, assume rilievo, ai fini della concessione delle agevolazioni fiscali sulla prima casa, la circostanza che la richiesta della residenza sia stata presentata anteriormente alla scadenza di tale termine e se possano assumere rilevanza eventuali circostanze di fatto, in contrasto con le risultanze anagrafiche, che possano far ipotizzare che la residenza fosse di fatto già trasferita presso l’immobile alla data dì scadenza dell’atto”.

Il motivo va accolto.

In base a consolidata giurisprudenza dì questa Corte la fruizione dell’ agevolazione fiscale per T acquisto della prima casa, regolata da una normativa agevolativa e quindi di stretta interpretazione (cfr. Cass. ira. 8377 del 2001, 26115 del 2005, 1173 e 4628 del 2008, 144389/2010), richiede, in base alla disciplina introdotta a partire dall’art. 2 D.L. n. 12 del 1985, che l’immobile sia ubicato nel Comune ove l’acquirente ha, ovvero (come previsto dalle norme successivamente introdotte) stabilisca la residenza entro un determinato termine dall’acquisto (nella specie, regolata ratione temporis dall’ art. 3 L. n. 549 del 1995, un anno), senza che, attesa la lettera e la formulazione delle norme medesime, alcuna rilevanza giuridica possa essere riconosciuta né alla realtà fattuale, ove questa contrasti con il dato anagrafico, né all’eventuale ottenimento della residenza oltre il termine fissato, essendo proprio la residenza il presupposto per la concessione del beneficio; sempre in base alla lettera ed alla formulazione della norma, alcuna rilevanza può infine essere riconosciuta ad una domanda di trasferimento della residenza anteriormente (ed in termini) formulata dall’interessato, alla quale è seguita il rigetto da parte del Comune, con provvedimento immune da vizi e comunque non contestato (conf, Cass. 4628/08; 14399/2010; 1530/2012).

Nel caso di specie, il giudice di appello, pur avendo constatato la mancata concessione della residenza nel termine di legge e pur non risultando nemmeno adombrato un qualche effetto retroattivo alla concessione della residenza in accoglimento di successiva richiesta della contribuente o un qualche vizio del precedente provvedimento di rigetto, ha affermato la spettanza del beneficio sulla sola base della stipula dei «contratti dell’ energia elettrica, del gas» e della «denunzia ai fini della tassa spazzatura», ed ha, in tal modo, contraddetto il richiamato principio di diritto, non considerando peraltro che la fornitura di energia elettrica e di gas e la denunzia della tassa concernente lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani sono necessarie anche per soggetti non residenti e, quindi, non dimostrano affatto l’ effettivo trasferimento della residenza, neanche nel senso di fissazione della propria “dimora abituale” (giusta la nozione desumibile dal secondo comma dell’ art. 43 cod. civ.), nell’immobile acquistato. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata, e la causa, siccome non bisognevole di alcun ulteriore accertamento di fatto, ai sensi dell’ art. 384 c.p.c, va decisa nel merito da questa Corte con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.

Le spese dell’intero giudizio possono essere compensate tra le parti ai sensi del secondo comma dell’art. 92 c.p.c. essendosi formata la giurisprudenza richiamata in epoca successiva all’introduzione della controversia.

P.Q.M.

Rigetta il primo morivo di ricorso; accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso di primo grado della contribuente; compensa integralmente tra le parti le spese processuali dell’ intero giudizio.