Corte di Cassazione sentenza n. 11659 del 11 luglio 2012 n.11659
LAVORO SUBORDINATO – LAVORO: A TERMINE – APPOSIZIONE DEL TERMINE – RAGIONI PER LA STIPULAZIONE DEL CONTRATTO
massima
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L’apposizione di un termine acausale prevista dall’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 può essere effettuata esclusivamente per la stipula di contratti a termine nei settori strettamente collegati al servizio postale, come tale intendendosi le attività di recapito e quelle ad esse direttamente connesse.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di prime cure che aveva rigettato la domanda, proposta da L.D. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra le parti in data 29 giugno 2006 ai sensi dell’art. 2, comma 1 bis del D.Lgs. n. 368 del 2001.
2. La Corte territoriale premetteva che la disposizione suddetta era chiara nel prevedere che, con riferimento alle imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, era consentita la stipulazione di contratti a termine nei periodi e nei limiti indicati dalla norma stessa, a prescindere dal ricorrere delle condizioni di cui all’art. 1 del D.Lgs. sopra indicato e del loro richiamo nel contratto di lavoro.
3. Doveva ritenersi, inoltre, la piena conformità della norma in questione alla normativa comunitaria (con particolare riferimento alla Direttiva CE n. 1999/70 atteso che la peculiarità ed importanza dei servizi postali del Paese rendevano pienamente ragionevole, parallelamente a quanto previsto per i servizi aeroportuali, la previsione di una disciplina ad hoc per i contratti a termine stipulati dalle imprese concessionarie di tali servizi; richiamava la decisione della Corte costituzionale (Corte cost. n. 214 del 2009) che aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale concernente la norma in esame.
4. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il D. affidato a sette motivi illustrati da memoria; Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso pure illustrato da memoria.
5. Col primo e secondo motivo, di tenore sostanzialmente identico, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. (primo motivo), nonché violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., deducendo la sussistenza degli estremi di una omessa pronuncia in relazione alla tesi, svolta nel ricorso in appello, secondo cui la modifica del D.Lgs. n. 368 del 2001 sarebbe stata introdotta dal legislatore in violazione dell’iter previsto dalla legge n. 11 del 2005 che disciplina il periodico adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario.
6. Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 in relazione alla legge n. 11 del 2005, ribadendo la tesi, riportata in precedenza, sub 5, secondo cui la modifica del D.Lgs. n. 368 del 2001 sarebbe stata introdotta nell’ordinamento nazionale in violazione della legge n. 11 del 2005.
7. Col quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 in relazione ai criteri ermeneutici di cui all’art. 12 disp. sulla legge in gen.; secondo la tesi sostenuta nel motivo di censura una corretta interpretazione del citato art. 2 impone di ritenere che la disciplina ivi contenuta si aggiunge alle regole previste dall’art. 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001 con la conseguenza che il nuovo contratto a termine del settore postale può e deve essere stipulato in presenza di una causale, deve contenere o comunque indicare per iscritto la specificazione di detta causale – che poi deve essere provata in giudizio – e, in aggiunta (seppur non in ordine alle garanzie del dipendente) sembra sottostare ad una particolare disciplina con riguardo alla successione di contratti, in cui pare concretarsi l’elemento peculiare e aggiuntivo della disciplina; in sostanza con l’art. 2, comma 1 bis, cit. il legislatore sarebbe intervenuto unicamente per aggiungere una disciplina speciale al fenomeno della successione dei contratti nel settore postale; il ricorrente sottolinea in particolare che, dal punto di vista sistematico, la disciplina di cui all’art. 2 non può porsi come alternativa rispetto a quella dell’art. 1, ma deve considerarsi necessariamente aggiuntiva rispetto a quest’ultima.
8. Col quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 in relazione alla direttiva n. 1999/70/CE con riferimento alla disciplina concernente il primo (o unico) contratto a termine; deduce che l’interpretazione della norma accolta dalla Corte territoriale la renderebbe illegittima rispetto alla citata direttiva; in particolare, il “considerando” n. 7 impone che il contratto di lavoro a tempo determinato sia sempre sostenuto da ragioni oggettive; sottolinea che l’abuso, che il citato “considerando” n. 7 mira a prevenire, può essere integrato anche da un unico contratto fraudolento ed immotivato e non presuppone necessariamente una successione di contratti; invoca, in particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in tema di clausola di non regresso e sottolinea che non vi sono, nel caso delle Poste, ragioni oggettive che possano giustificare la non applicazione della clausola stessa; sostiene, in definitiva, che l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale sarebbe contraria non solo alla citata clausola di non regresso, ma anche all’obiettivo della direttiva di migliorare la qualità della vita e del lavoro dei lavoratori a termine e far progredire la tutela della loro sicurezza; invoca pertanto la disapplicazione della norma di cui al citato art. 2, comma 1 bis e deduce, infine, che il mancato accoglimento del motivo di ricorso comporterebbe l’obbligo della Corte di legittimità di rimettere la questione alle “Autorità competenti” al fine di sanare il vizio.
9. Col sesto e settimo motivo il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5, c.p.c. (sesto motivo), nonché ex artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c. (settimo motivo) in relazione alla censura, proposta in grado di appello, basata sull’avvenuto superamento del limite quantitativo del 15% previsto dalla legge; su tale censura, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe preso alcuna posizione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
10. Il primo e il terzo motivo sono infondati.
11. Secondo l’insegnamento di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 1° febbraio 2010 n. 2313), alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto.
12. Nel caso di specie ricorrono tutti i presupposti sopra indicati: in particolare, la questione di diritto è infondata e non sono necessari accertamenti di fatto.
13. A prescindere, infatti, da ogni valutazione sul possibile contenuto precettivo dell’art. 9 (“contenuti della legge comunitaria”) della legge n. 11 del 2005, che secondo il ricorrente sarebbe stato violato, basterà il rilievo, di per sé decisivo, che la legge da ultimo citata (recante “norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione Europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) è legge ordinaria e ben può essere pertanto derogata da altra legge ordinaria successiva (come è noto l’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n.368 del 2001 è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 1, comma 558 della legge 23 dicembre 2005 n. 266). Nessuna violazione giuridicamente rilevante può essere pertanto ipotizzata.
14. Il secondo e il sesto motivo di ricorso, che, sul presupposto di una omessa pronuncia, da parte della Corte di merito, su motivi di impugnazione ritualmente proposti, invocano la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. devono essere dichiarati inammissibili alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 26 gennaio 2006 n. 1701) secondo la quale l’omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell’art. 112, c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 n. 4, c.p.c.; ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo del vizio della motivazione; in senso conforme cfr., altresì, Cass. 4 giugno 2007 n. 12952, la quale ha affermato che la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia bensì (solo) per omessa pronuncia su un motivo di gravame; con la conseguenza che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 3 o, come nel caso di specie, n. 5 c.p.c. anziché dell’art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 dello stesso codice di rito, la relativa censura si rivela inammissibile.
15. Anche il quarto e quinto motivo che, in quanto logicamente connessi devono essere esaminati congiuntamente, sono privi di pregio.
16. La norma in esame (il citato art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001), recita testualmente: Le disposizioni dì cui al comma 1 si applicano anche quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi) compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale, riferito al 1° gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente comma. Il testo della suddetta disposizione non pone problemi interpretativi: esso prevede la possibilità, per le imprese concessionarie di servizi postali, di stipulare contratti a termine, con i limiti e nei periodi ivi previsti, a prescindere dal ricorrere delle condizioni di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001 e senza la necessità di indicare, in sede di stipulazione del contratto, le ragioni obiettive che giustifichino l’apposizione del termine. La diversa interpretazione proposta dal ricorrente, secondo cui, in sostanza, la norma in esame aggiungerebbe condizioni ulteriori rispetto a quelle già contenute nell’art. 1 del D.Lgs. n. 368 del 2001 appare contraria alla ratio legis che è manifestamente quella di favorire una parziale liberalizzazione delle assunzioni a termine nel settore delle poste. Per il resto la natura aggiuntiva della previsione in esame e la sua interpretazione sistematica nel contesto normativo nel quale si colloca, induce a ritenere che la sua applicazione non esime il datore di lavoro dall’obbligo della forma scritta (art. 1, secondo comma, D.Lgs. n. 368 del 2001) e da quello di consegnare copia dell’atto al lavoratore entro un certo termine (art. l, terzo comma) come pure dall’obbligo di rispettare le altre norme di cui al citato D.Lgs., come, in particolare, quella in materia di divieti (art. 3), in materia di proroga (art. 4), di scadenza del termine e di successione dei contratti (art. 5) e di principio di non discriminazione (art. 6).
17. La Corte territoriale ha interpretato la norma correttamente e pertanto le censure concernenti tale profilo devono essere rigettate.
18. L’interpretazione della norma in esame accolta da questa Corte di legittimità ha del resto trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale, premesso che tale norma costituisce la tipizzazione legislativa di un’ipotesi di valida apposizione del termine, ha affermato che con essa il legislatore, in base ad una valutazione – operata una volta per tutte in via generale e astratta -delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota (15 per cento) di organico flessibile, ha previsto che tali imprese possano appunto stipulare contratti di lavoro a tempo determinato senza necessità della puntuale indicazione, volta per volta, delle ragioni giustificatrici del termine. Ad avviso della Corte costituzionale tale valutazione, preventiva e astratta, operata dal legislatore non è manifestamente irragionevole atteso che la garanzia alle imprese in questione, nei limiti indicati, di una sicura flessibilità dell’organico, è direttamente funzionale all’onere gravante su tali imprese di assicurare lo svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invìi postali, nonché la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica i quali costituiscono attività di preminente interesse generale, ai sensi dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 22 luglio 1999 n. 261 (Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio). In particolare, poi, in esecuzione degli obblighi di fonte comunitaria previsti dalla direttiva CE da ultimo citata, l’Italia deve assicurare lo svolgimento del ed. servizio universale (il cui contenuto concreto è previsto dall’art. 3 del citato D.Lgs. n. 261 del 1999); in particolare, a norma del comma 1 del citato art. 3, il servizio universale assicura le prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale a prezzi accessibili a tutti gli utenti. Sulla base delle suddette considerazioni la Corte ha escluso la sussistenza di un profilo di incostituzionalità dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 rispetto ai principi di cui all’art. 3 Cost. avendo ritenuto non manifestamente irragionevole che, ad imprese tenute per legge all’adempimento di simili oneri sia riconosciuta una certa flessibilità nel ricorso (entro limiti quantitativi comunque fissatiinderogabilmente dal legislatore) allo strumento del contratto a tempo determinato. E ciò è tanto più valido in quanto l’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001, nell’imporre alle aziende di comunicare ai sindacati le richieste di assunzione a termine, prevede un meccanismo di trasparenza che agevola il controllo circa l’effettiva osservanza, da parte datoriale, dei limiti posti dalla norma.
19. Con la stessa sentenza la Corte costituzionale ha ritenuto la piena legittimità della norma in esame anche con riferimento all’assenza di violazione dei principi di cui agli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, avendo osservato che la norma censurata si limita a richiedere, per la stipula dei contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli in generale (non già l’indicazione di specifiche ragioni temporali, bensì il rispetto di una durata massima e di una quota percentuale dell’organico complessivo) per cui il giudice ben può esercitare il proprio potere giurisdizionale alfine di verificare la ricorrenza in concreto di tutti gli elementi di tale dettagliata fattispecie legale.
20. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente la disposizione in esame deve essere considerata pienamente conforme all’ordinamento comunitario. Come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra citata, infatti, essa trova il proprio fondamento e la propria giustificazione nella direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.
21. Tale approccio ha trovato conferma anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (cfr. ordinanza in data 11 novembre 2010), chiamata a valutare la conformità all’ordinamento comunitario dell’art. 2, comma 1 bis, in esame.
22. Anche la Corte di giustizia, infatti, ha valorizzato, ai fini della propria statuizione, l’assunto che l’adozione dell’art. 2, comma 1 bis, era finalizzata a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE (in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali), con particolare riferimento allo sviluppo del mercato interno dei servizi postali e il miglioramento della qualità del servizio.
23. Tale disposizione perseguiva, pertanto, ad avviso della Corte, uno scopo distinto da quello consistente nella garanzia dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001. Ciò trova conferma nel fatto che essa è stata introdotta nell’ordinamento dalla legge 23 dicembre 2005 n. 266 (art. 1, comma 558) che, data la sua natura di legge finanziaria, non era finalizzata a garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dall’accordo quadro e, quindi, ad integrare le misure di recepimento dell’accordo quadro.
Sulla base di tale rilievo la Corte di giustizia ha affermato l’irrilevanza di ogni valutazione circa l’efficacia della tutela garantita dall’art. 2, comma 1 bis, rispetto a quella perseguita dall’accordo quadro con riferimento all’assunzione di lavoratori a tempo determinato; ed infatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia, richiamata nell’ordinanza de qua, (C-144/04 22 novembre 2005, Mangold; C-378/07 23 aprile 2009, Angelidaki; C-519/08 24 aprile 2009 (ordin.) Koukou) una normativa nazionale non può essere considerata contraria alla clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (ai sensi della quale L’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso) di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 nel caso in cui la reformatio in peius che essa comporta non sia in alcun modo collegata con l’applicazione dell’accordo quadro. Ciò che avviene in tutti quei casi (fra i quali è sicuramente quello in esame) in cui la reformatio in peius sia giustificata non già dalla necessità di applicare l’accordo quadro, bensì da quella di promuovere un altro obiettivo, distinto da detta applicazione.
25. Sulla base dei suddetti rilievi la Corte di giustizia ha affermato il principio secondo cui la citata clausola 8, punto 3 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale quale quella prevista dall’ art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 la quale consente a un’impresa, quale Poste Italiane, di concludere, rispettando determinate condizioni, un primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato con un lavoratore senza dover indicare le ragioni obiettive che giustifichino il ricorso a un contratto concluso per una siffatta durata, dal momento che questa normativa non è collegata all’attuazione di detto accordo quadro.
26. Con riferimento, infine, al profilo, pure invocato dal giudice del rinvio, della sussistenza di una violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione, concernente i lavoratori a tempo determinato assunti da un’impresa postale con riferimento all’insussistenza dell’obbligo di indicare le ragioni oggettive del ricorso ad un primo o unico contratto a termine, la Corte di giustizia, richiamata la propria giurisprudenza secondo cui, nell’ambito dei contratti di lavoro a tempo determinato, il principio di non discriminazione è stato attuato dall’accordo quadro unicamente per quanto riguarda le disparità di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato (C-307/05 13 settembre 2007 Del Cerro Alonso), ha precisato che le eventuali disparità di trattamento tra determinate categorie di lavoratori a tempo determinato non sono soggette al principio di non discriminazione sancito dall’accordo quadro.
27. Valgono quindi, con riferimento al caso di specie, le conclusioni della Corte costituzionale prima ricordate in tema di insussistenza di una violazione del principio di uguaglianza.
28. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile. Il ricorrente denuncia, in sostanza, la violazione dell’art. 112 c.p.c. assumendo che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata su una questione, ritualmente proposta, concernente il superamento dei limiti quantitativi previsti dalla norma. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. 28 luglio 2008 n. 20518), ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, fra l’altro, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito. Sul punto le Sezioni Unite (cfr., in particolare, Cass. S.U. 28 luglio 2005 n. 15781) – sulla premessa che affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, in primo luogo, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili – hanno in particolare precisato che tali domande o eccezioni, a pena di inammissibilità, devono essere riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza. Nel caso di specie il motivo di ricorso è del tutto privo dei suddetti requisiti. Ed infatti, dalla lettura dello stesso si evince che alla Corte territoriale era stato sottoposto il problema della sussistenza o meno della prova concernente il limite quantitativo del 15% previsto dalla norma, laddove appare chiaro dalla lettura del motivo di ricorso che la censura ha per oggetto l’interpretazione dell’art. 2, comma 1 bis, con riferimento ai criteri di computo del rapporto percentuale fra i contratti a termine e l’organico aziendale (in particolare, se questo debba essere calcolato con riferimento al dato medio ovvero a quello esistente ad una certa data ovvero, sotto altro profilo, al dato nazionale o a quello locale).
29. Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
30. In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 50 per esborsi, oltre Euro 3000 (tremila) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA.
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