CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 maggio 2013, n. 11670
Agevolazionifiscali – Mancata esposizione dell’eccedenza d’imposta nella dichiarazione annuale – Diritto di detrarre l’eccedenza nell’anno successivo – Escluso – Diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito entro i termini e alle condizioni di legge – Ammesso.
Svolgimento del processo
1. Il Fallimento della società (…) s.r.L, in data 19 luglio 2001, presentava istanza di rimborso IVA per un importo pari a £. 500.000.000 mediante modello VR/2001 per eccedenza IVA relativa all’anno 1998.
L’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Rimini, respingeva l’istanza.
Il fallimento impugnava l’atto di diniego innanzi alla CTP di Rimini che rigettava il ricorso con sentenza impugnata dalla parte contribuente innanzi alla CTR dell’Emilia Romagna. Quest’ultima, con sentenza depositata il 7 maggio 2007, confermava la decisione impugnata, rilevando che non poteva riconoscersi alcun diritto al credito d’imposta IVA in mancanza della dichiarazione non presentata dalla parte contribuente, non potendo la mera annotazione delle fatture determinare un credito d’imposta.
3.1 Né la dichiarazione ai sensi dell’arte della l. n. 289/2002 e gli effetti sananti del condono presentato poteva spiegare effetto ai fini del credito, poiché tale dichiarazione non costituiva titolo per il rimborso di crediti prima non dichiarati.
4. Il fallimento della società I. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad unico motivo, al quale ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.La parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
5. La curatela del fallimento deduce violazione e falsa applicazione degli artt, 28 e 20 dpr n. 633/1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Lamenta che la CTR aveva errato nel ritenere imprescindibile, ai fini del riconoscimento del credito, la presentazione della dichiarazione IVA una volta che l’ufficio non aveva mai negato l’esistenza dei crediti richiesti, avendo la stessa rispettato gli obblighi formali correlati alla deduzione del tributo con la dichiarazione dell’anno 1999.
6. L’Agenzia delle Entrate ha chiesto con il controricorso il rigetto del motivo, evidenziando che la giurisprudenza di questa Corte confermava la correttezza della decisione impugnata.7. Il motivo e fondato, 7.1 Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la mancata esposizione del credito Iva nella dichiarazione annuale non comporta la decadenza dal diritto di far valere tale credito purché lo stesso emerga dalle scritture contabili.
7.2 In questa direzione, infatti, milita anche l’art. 18 della sesta direttiva CEE il quale, al fine di garantire la neutralità del tributo stabilisce che il diritto alla deduzione dell’lVA è subordinato solamente al possesso di una fattura compilata secondo le disposizioni a essa applicabili. Ne consegue che gli altri adempimenti formali sono dettati unicamente per esigenze riguardanti l’accertamento del tributo, senza intaccare sul piano fiscale sostanziale il credito del contribuente – cfr. Cass. n. 22250/11-.Si è, ancora, precisato che il soddisfacimento del credito de quo non è strettamente collegato al meccanismo della detrazione, potendo essere fatto valere anche mediante semplice istanza di rimborso (v. Cass. n. 12041/2009; Cass. n. 16257/2007; 17067/2006; Cass.268/12).
7.3 Ne consegue che la mancata esposizione della eccedenza d’imposta nella dichiarazione annuale esclude il diritto di detrarre l’eccedenza nell’anno successivo, ai sensi del D.P.R, 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 2, oltre a quello di chiedere il rimborso nelle ipotesi e nei limiti contemplati dai commi successivi dello stesso articolo (così Cass. n. 12041/2009), ma non implica che il contribuente, dopo aver versato somme obiettivamente non dovute, perda il diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito, entro i termini e alle condizioni di legge, in quanto la dichiarazione non assume valore confessorio e non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria.
7.4 Deve dunque ribadirsi che la facoltà del contribuente di portare in detrazione il credito d’imposta può essere esercitata soltanto nell’anno successivo alla maturazione di detto credito, mediante annotazione nel registro di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 25, derivando tale preclusione dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e art. 55, comma 1, mentre rimane impregiudicata la possibilità di reclamare il diritto di rimborso della maggior imposta pagata, nei limiti e con le forme prescritte per la relativa istanza.
7.4 Orbene, la sentenza impugnata non si è uniformata ai principi appena esposti, invece negando il riconoscimento del diritto al rimborso per il credito reclamato dalla curatela e non contestato dall’Agenzia per ragioni diverse da quelle connesse all’omessa dichiarazione.
8. Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata va cassata e la causa, non richiedendosi ulteriori accertamenti, deve essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con l’accoglimento del ricorso della curatela del fallimento.
9. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese della fase di merito mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza dell’Agenzia.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della Curatela del Fallimento.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 12.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
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