CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 gennaio 2014, n. 118
Tributi – Reati fiscali – Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso delle fatture false – Pvc contenente testimonianze indirette raccolte dalla Guardia di finanza – Atto irripetibile
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di l’Aquila, con sentenza del 18.1.2013, confermava la sentenza del Tribunale di Teramo, sez. dist. di Atri, in composizione monocratica, emessa in data 23.11.2011, con la quale D.W. era stato condannato alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di anni 1, mesi 8 di reclusione per il reato di cui all’art.2 D.L.vo 74/2000 per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato nelle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, per gli anni 2004 e 2005 elementi passivi fittizi per un importo complessivo pari ad euro 202.845,60.
Rilevava la Corte territoriale, disattendendo i motivi di appello, che il processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. era stato inserito correttamente nel fascicolo per il dibattimento ex art.431 co.1 lett.b) c.p.p. ed era pienamente utilizzabile trattandosi di atto irripetibile compiuto dalla p.g.. L’acquisizione delle fatture, i riscontri sulle merci, le attività attraverso cui era stata accertata la consistenza aziendale dei soggetti formalmente in rapporto con le società amministrate dall’imputato consentivano, poi, di affermare (indipendentemente dalle dichiarazioni di tali soggetti riferite dal M.P.) l’inesistenza, anche se solo soggettivamente, delle operazioni commerciali. Erano quindi tali dati oggettivi ad attestare la fittizietà delle operazioni.
Quanto all’elemento soggettivo era Insostenibile che l’Imputato non sapesse di non aver mai acquistato la merce riportata nelle fatture.
2. Ricorre per cassazione l’Imputato, a mezzo del difensore, denunciando la violazione degli artt.191, 195 co.4, 514 c.p.p., 220 disp.att. c.p.p. e 111 Cost., nonché la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione.
La Corte territoriale, nell’affermare l’utilizzabilità del processo verbale di constatazione, non tiene conto che, quando emergono indizi di reato, occorre procedere a norma dell’art.220 disp. att. (successivamente a detta emersione l’accertamento non assume efficacia probatoria).
La Corte territoriale ha utilizzato nella sua interezza il processo verbale di constatazione ed ha violato l’art.195 co.4 c.p.p. che vieta la testimonianza indiretta degli ufficiali di p.g. su quanto loro riferito dai testi. E’ stata quindi posta a base della pronuncia di condanna la testimonianza indiretta da parte della G.d.F. resa peraltro non in dibattimento ma attraverso un atto scritto. Le medesimi considerazioni valgono per la testimonianza del M.P. in ordine a quanto riferito dai rappresentanti legali delle ditte fornitrici (sul disconoscimento delle fatture incriminate), per di più al colleghi di Firenze e Segrate.
Inconferente è, poi, il rilievo della Corte territoriale in ordine alla non opposizione da parte della difesa all’acquisizione del verbale di constatazione al fascicolo per II dibattimento, essendo ex art. 191 c.p.p. l’inutilizzabilità rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
Contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito gli elementi su cui è stata fondata la sentenza di condanna non sono stati tratti dagli accertamenti ispettivi, ma da quanto dichiarato dai fornitori dell’imputato (dichiarazioni Inutilizzabili).
Inoltre da nessun atto emerge che le fatture in contestazione non siano state riportate nelle scritture contabili delle ditte (non essendo stata acquisita la documentazione fiscale ma solo le fatture). Né ha considerato la Corte territoriale che le ditte cedenti avevano un interesse contrario all’imputato a sostenere di non aver intrattenuto rapporti con lui e ad indicare come false le fatture.
Infine, la Corte territoriale omette completamente di motivare in ordine all’elemento soggettivo (dolo specifico).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. E’ assolutamente pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che costituisca atto irripetibile, e possa quindi essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, il processo verbale di costatazione redatto dalla Guardia di Finanza per accertare o riferire violazioni a norme finanziarie o tributarie (cfr. ex multis Cass.pen. sez. 3 n.36399 del 18.5.2011): “Rientrano, infatti, nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la p.g. prende direttamente cognizione di fatti, situazioni o comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale e suscettibili di modificazione”, ciò si riferisce, nella fattispecie in esame, all’acquisizione delle fatture, ai riscontri alle merci, alle attività attraverso le quali è stata constatata la consistenza aziendale dei soggetti formalmente in rapporti con le società amministrate dall’imputato (elementi già sufficienti ad affermare l’inesistenza delle pretese operazioni commerciali”.
E’ vero che, qualora nel corso dell’attività ispettiva, emergano indizi di reato “occorre procedere secondo le modalità previste dall’art.220 disp.att.c.p.p., altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile” (cfr. Cass.pen. sez. 3 n.6881 del 18.11.2008; Cass. Sez. 3 n. 15372 del 10.2.2010).
Il motivo di ricorso sul punto è assolutamente generico, limitandosi il ricorrente a richiamare la sopra indicata giurisprudenza e ad affermare che il verbale di costatazione è stato utilizzato nella sua interezza, senza neppure specificare quali siano le parti inutilizzabili (perché assunte dopo l’emersione di indizi di colpevolezza). Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta, peraltro, che sono stati utilizzati soltanto gli accertamenti oggettivi e non certo la parte del verbale in cui venivano riportate le dichiarazioni dei soggetti che escludevano di aver intrattenuto rapporti commerciali con l’imputato.
3. La Corte territoriale ha quindi ritenuto, sulla base di dati oggettivi ( e cioè la diversità delle fatture, la non corrispondenza delle contabilità ai controlli incrociati, l’inoperatività delle aziende fornitrici), che non potessero esservi dubbi di sorta in ordine alla flttlzietà delle operazioni descritte nei documenti utilizzati.
Non ha, quindi, utilizzato le dichiarazioni rese dal M.P., né in ordine a quanto riferito dai titolari delle aziende (apparentemente) emittenti le fatture, né sugli accertamenti svolti da altri Ufficiali della Guardia di Finanza (peraltro, secondo Cass. Sez. 2 n.36286 del 21.9.2010 “Il divieto di testimonianza indiretta previsto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dall’art.195 comma quarto c.p.p. non si applica nell’ipotesi in cui il verbalizzante riferisca sulle attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti di p.g. nello stesso contesto investigativo”). Anche in ordine al dolo i Giudici di merito hanno adeguatamente motivato, evidenziando che, nonostante la consapevolezza che quella merce non era stata acquistata (alcune delle aziende erano addirittura non operative) e che quindi si trattava di operazioni fittizie (anche se soggettivamente), l’imputato aveva utilizzato le fatture nelle dichiarazioni annuali al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
3.1. I motivi con cui, da parte del ricorrente, si contesta la fittizietà delle operazioni si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze processuali. Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se I risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art.606 lette) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006;Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).
4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
4.1. Va solo aggiunto che l’inamissibilità del ricorso preclude la possibilità di far valere e rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen., l’estinzione del reato per prescrizione (in relazione all’anno 2004), maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti decisioni, ha enunciato il principio che l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale”.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.000,00.
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