Corte di Cassazione sentenza n. 12128 del 16 luglio 2012 n.12128
RAPPORTO DI LAVORO – LAVORO (RAPPORTO DI) – LICENZIAMENTO: PER RIDUZIONE DEL PERSONALE – CRITERI DI SCELTA DEI LAVORATORI
massima
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In tema di procedura di mobilità, la previsione, di cui all’art. 4, comma 9, della L. 223/1991, secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con la quale dà inizio alla procedura, deve dare una “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalità applicative, comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione le sue modalità applicative, in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) adiva il Tribunale di Noia, deducendo di aver lavorato in (OMISSIS) alle dipendenze della società (OMISSIS) e che, a seguito di procedura Legge n. 223 del 1991, ex articoli 4 e 24 era stato collocato in mobilità a far data dal 1 gennaio 2007.
Lamentava in particolare che i criteri di selezione adottati dalla datrice di lavoro non trovavano “ragionevoli giustificazioni”, e comunque che egli non poteva essere inserito nell’elenco dei collocati in mobilità in quanto fruitore del beneficio previsto dalla Legge n. 243 del 2004, art. 1, comma 12, avendo per ciò diritto alla conservazione del posto sino al raggiungimento del 65 anno di età, e dunque sino al 31 dicembre 2007.
Chiedeva quindi che, previa declaratoria di nullità, inefficacia o invalidità dei licenziamento impugnato, la (OMISSIS) S.p.A. venisse condannata alla “riammissione” nel suo posto di lavoro ed a corrispondergli le dovute spettanze economiche, anche a titolo risarcitorio, oltre accessori come per legge, ed in subordine che venisse accertato il proprio diritto alla conservazione del posto di lavoro fino al 31 dicembre o alla successiva data di scadenza del c.d. “bonus” previdenziale.
Costituitasi in giudizio, la società contestava la fondatezza della domanda chiedendone il rigetto. Con sentenza dell’8 maggio 2008, il Tribunale adito rigettava il ricorso con integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
A sostegno del proprio convincimento, il Tribunale osservava che il preteso diritto alla conservazione del posto non trovava fondamento normativo, mentre risultavano tardivi, e quindi inammissibili, i rilievi in ordine alle pretese carenze procedurali che l’attore aveva indicato solo con le note depositate in corso di causa.
Avverso tale sentenza proponeva appello il (OMISSIS), lamentando in primo luogo che il primo giudice aveva erroneamente disatteso, ritenendo tardive le doglianze esposte nelle note difensive, le ragioni della nullità e/o inefficacia del recesso aziendale”, che erano state invece dedotte nel ricorso introduttivo.
L’appellante insisteva poi nella tesi, che assumeva essere stata ingiustamente disattesa dal primo giudice, del diritto alla conservazione del posto di lavoro per effetto del c.d. “bonus” previsto dalla Legge n. 243 del 2004.
Instauratosi il contraddittorio, la (OMISSIS) S.p.A. si costituiva in giudizio resistendo al gravame, che veniva respinto dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 25 settembre 2009, sulla base delle seguenti considerazioni.
Riteneva in primo luogo la Corte che nell’atto introduttivo del giudizio non erano stati specificati i vizi della procedura prevista dalla Legge n. 223 del 1991, che il (OMISSIS) intendeva far valere, confermando così il giudizio di inammissibilità delle doglianze al riguardo proposte al giudice di appello, ritenendo le altre generiche ed infondate, sovrattutto relativamente al contenuto della comunicazione di recesso individuale di cui alla Legge cit., art. 4, comma 9, che ad avviso della Corte non doveva contenere le indicazioni previste dal medesimo art. 4 per le comunicazioni da inviarsi agli uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali.
Riteneva non provata la dedotta successiva assunzione, da parte della datrice di lavoro, di numerosi altri lavoratori, e comunque, al pari della dedotta circostanza della successiva offerta da parte della (OMISSIS) di un contratto di lavoro a tempo determinato, l’irrilevanza di tali elementi in quanto inidonei ad incidere sulla precedente procedura di mobilità correttamente conclusasi.
Riteneva poi infondata la doglianza del (OMISSIS) inerente la fruizione del beneficio di cui alla Legge n. 243 del 2004, art. 1 diretto ad incentivare la posticipazione del pensionamento ai fini del contenimento della spesa previdenziale attraverso la corresponsione di un bonus economico consistente nel minor prelievo contributivo sulle retribuzioni percepite. Per tale ragione non riteneva fondata la censura secondo cui i percettori del beneficio non avrebbero potuto essere licenziati sino al raggiungimento della massima anzianità contributiva.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il (OMISSIS), affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste la (OMISSIS) S.p.A. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione della Legge n. 223 del 1991, articoli 4 e 24 per la mancata indicazione dei criteri di scelta e la omessa comunicazione dei nominativi dei dipendenti licenziati in applicazione di tali criteri.
Lamentava che i criteri di scelta in materia di licenziamenti collettivi “dovevano superare l’esame circa la meritevolezza degli interessi perseguiti, esame previsto, e quindi imposto, dall’art. 1322 c.c.” (pag. 16 ricorso).
Deduceva inoltre la violazione della Legge n. 243 del 2004, posto che contrastava con tale principio il licenziamento di un lavoratore che avesse richiesto e conseguito il beneficio di cui alla legge ora citata, lamentando comunque che la comunicazione individuale di recesso doveva contenere i requisiti di cui alla Legge n. 223 del 1991, art. 4, comma 9 affiggendo anche nelle bacheche aziendali la lista degli operai che l’azienda intendeva collocare in mobilità (pag. 21 ricorso).
Insisteva sulla circostanza che il licenziamento del lavoratore che abbia chiesto ed ottenuto il beneficio di cui alla Legge n. 243 del 2004 doveva ritenersi nullo sin tanto che non avesse raggiunto i requisiti della pensione di vecchiaia (e non di anzianità), e dunque sino al compimento del 65 anno di età.
2. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, risultano infondati. Deve in primo luogo rilevarsi che la ritenuta inammissibilità delle censure inerenti la procedura di cui alla Legge n. 223 del 1991, art. 4 non viene adeguatamente censurata in questa sede di legittimità, limitandosi il ricorrente a reiterare le deduzioni svolte in sede di appello.
Evidenzia inoltre la Corte che la comunicazione individuale di recesso, di cui alla Legge n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, non deve contenere gli elementi previsti invece per le comunicazioni agli uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali, in conformità del prevalente orientamento di legittimità (Cass. 8 marzo 2006 n. 4970; Cass. 23 gennaio 2009 n. 1722; Cass. 16 febbraio 2010 n. 3603).
Nella prima di tali pronunce, questa Corte ha affermato che “in tema di licenziamenti collettivi, la lettera e la “ratio” della previsione normativa contenuta nella Legge n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, conducono a ritenere che la prima comunicazione (al singolo lavoratore) e la seconda (agli Uffici del lavoro ed alle associazioni di categoria) hanno contenuto e finalità differenti. In particolare, la prima comunicazione – da redigersi in forma scritta – deve contenere solo la notizia del recesso, senza la necessità di alcuna motivazione; la “contestuale” comunicazione all’Ufficio del lavoro, invece, deve includere anche i dati relativi all’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonche’ la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta”.
3. Quanto alla doglianza inerente “la meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti”, a prescindere dalla sua genericità, osserva la Corte che il concetto di cui all’art. 1322 c.c., comma 2 è riferibile ai c.d. contratti atipici e certamente non agli atti di una procedura disciplinata compiutamente dalla legge (Legge n. 223 del 1991).
4. Quanto al riconoscimento del beneficio di cui alla Legge n. 243 del 2004, si osserva.
L’art. 1, comma 12, della legge in questione stabilisce: “Per il periodo 2004-2007, al fine di incentivare il posticipo del pensionamento, ai fini del contenimento degli oneri nel settore pensionistico, i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti minimi indicati alle tabelle di cui alla Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, commi 6 e 7, per l’accesso al pensionamento di anzianità, possono rinunciare all’accredito contributivo relativo all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive della medesima. In conseguenza dell’esercizio della predetta facoltà viene meno ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative, a decorrere dalla prima scadenza utile per il pensionamento prevista dalla normativa vigente e successiva alla data dell’esercizio della predetta facoltà. Con la medesima decorrenza, la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all’ente previdenziale, qualora non fosse stata esercitata la predetta facoltà, è corrisposta interamente al lavoratore”.
Come esattamente osservato dalla Corte di merito, la norma in questione è diretta unicamente ad incentivare, attraverso il percepimento della retribuzione al lordo della contribuzione previdenziale, la posticipazione del pensionamento per coloro che abbiano maturato i requisiti per la pensione di anzianità, con l’evidente scopo di risparmio nella spesa pubblica previdenziale. Risulta dunque estraneo alla disciplina, così come correttamente evidenziato dal giudice di merito, qualsiasi vincolo alla recedibilità dal rapporto di lavoro da parte delle aziende.
5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 40,00 per esborsi, euro 3.000,00.
Per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a.
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