Corte di Cassazione sentenza n. 12499 del 19 luglio 2012
LAVORO SUBORDINATO – ESTINZIONE DEL RAPPORTO – LICENZIAMENTO – SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO – IMPUGNATIVA – TERMINE DECADENZIALE
massima
_________________
Il recesso per superamento del periodo di comporto rappresenta una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro, che non trova la sua disciplina nella legge, di carattere generale, n. 604 del 1966, ma nella specifica previsione di cui all’art. 2110, comma 2, c.c., con la conseguenza che l’impugnazione da parte del prestatore di lavoro non è soggetta al termine di decadenza stabilito dall’art. 6 della suddetta legge.
_________________
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso depositato il 27 novembre del 2006 I.G., premesso di essere stato dipendente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con la qualifica funzionale di operatore amministrativo contabile, posizione economica B2, e di aver prestato servizio, a partire dal 1986, presso la Capitaneria di Porto di Salerno, esponeva: che con lettera raccomandata in data 29.7.2005, pervenuta il 3.8.2005, il Direttore Generale del Ministero gli aveva comunicato l’avvio del procedimento di risoluzione del rapporto d’impiego per presunto superamento del periodo di comporto (36 mesi) previsto dall’art. 21 del c.c.n.l. Comparto Ministeri e lo aveva invitato a presentare, entro cinque giorni, le sue giustificazioni; che con missiva inviata il 9.8.2005, aveva comunicato di versare in uno stato di persistente disturbo d’ansia reattivo, debitamente documentato, tale da renderlo incompatibile con l’attività di operatore amministrativo; che con provvedimento del 5 agosto 2005 il Direttore Generale, prima ancora che decorresse il termine a difesa concesso con la richiamata nota del 29 luglio 2005, aveva disposto la risoluzione del rapporto di lavoro per presunto superamento di 36 mesi di malattia, ai sensi della citata disposizione pattizia; che tale provvedimento gli era stato consegnato in data 27.10.2005 dai Carabinieri di Amalfi, i quali avevano redatto la relata di notifica, nonostante l’assoluta incompetenza e la carenza di poteri in materia; che con comunicazione a mezzo telefax del 25.1.2006 aveva impugnato il provvedimento espulsivo, chiedendo l’immediata riammissione in servizio; che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti solo in data 7.2.2006 gli aveva comunicato i periodi di assenza che avevano dato luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro; che la procedura di notificazione della lettera di licenziamento era del tutto inesistente per assoluta incompetenza e carenza di potere dell’organo notificatore (autorità di p.g.) ad eseguire in materia civile, qualsiasi attività certificatoria destinata a produrre effetti di giuridica conoscenza nella sfera del destinatario; che, pertanto, il licenziamento era da ritenersi intimato oralmente, ragion per cui, da un lato, non poteva produrre alcun effetto estintivo del rapporto di lavoro e, dall’altro, era inidoneo a far maturare la decadenza prevista dall’art. 6 della legge n. 604/66; che, inoltre, il licenziamento era illegittimo in quanto intimato a distanza di soli due giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, ossia ben cinque giorni prima che cadesse il termine a difesa accordato dalla stessa pubblica amministrazione procedente; che, in ogni caso, il licenziamento era illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, non essendo stato superato il periodo di comporto previsto dall’art. 21 del contratto collettivo di categoria; che, infine, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti era tenuto a corrispondergli la somma di € 3.466,28 a titolo di indennità di mancato preavviso, avendo disposto il suo licenziamento con effetto immediato.
Tanto premesso, l’Imperato adiva il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Salerno chiedendo che venisse accertata e dichiarata l’illegittimità, l’inefficacia ovvero la nullità del licenziamento intimatogli con provvedimento in data 5.8.2005, con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria di legge e con il favore delle spese di lite. In via gradata, chiedeva che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fosse condannato al pagamento, in suo favore, della somma dovutagli a titolo di indennità di mancato preavviso.
2. Instauratosi il contraddittorio, il Ministero convenuto si costituiva tempestivamente in giudizio con memoria depositata il 12.1.2007 ed eccepiva, in primo luogo, la tardività dell’impugnazione del licenziamento, ponendo in rilievo che il provvedimento espulsivo era stato comunicato all’Imperato il 27.10.2005, mentre l’impugnazione era intervenuta solo in data 25.1.2006. Deduceva pertanto che il ricorrente era decaduto dalla facoltà di formulare ogni censura in ordine alla legittimità del recesso datoriale. Evidenziava, in ogni caso, che, contrariamente a quanto affermato dall’I., il licenziamento non era di carattere disciplinare, e quindi l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di contestazione preventiva e/o di instaurazione di un vero e proprio contraddittorio con l’interessato prima dell’adozione del provvedimento estintivo del rapporto di lavoro. Il Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti concludeva, quindi, per il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite.
3. Con sentenza n. 4680 del 3.12.2007 il tribunale di Salerno decideva la causa rigettando le domande formulate dall’Imperato condannando quest’ultimo alla rifusione delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro 1,500,00.
Nella motivazione della sentenza il giudicante rilevava, innanzitutto, che non era condivisibile l’assunto del ricorrente incentrato sulla necessità della notifica del provvedimento di recesso a mezzo di un organo che avesse una specifica potestà in tal senso: essendo l’intimazione del licenziamento un atto unilaterale recettizio, erano applicabili gli artt. 1334 e 1335 c.c., con la conseguenza che era operante una presunzione di conoscenza per il solo fatto dell’arrivo della dichiarazione nella sfera di conoscenza del dipendente, a prescindere dalle modalità di notifica della stessa. Del resto – osservava il primo giudice – la disposizione normativa di cui al secondo comma dell’art. 2 della legge n. 604/66 prevedeva l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto il suo recesso, ma non stabiliva alcunché in merito alle modalità di notifica dell’atto. Il superamento del termine di 60 giorni fissato dalla citata legge (art. 6) imponeva, quindi, il rigetto della domanda.
4. Avverso tale sentenza I.G. proponeva appello con ricorso depositato il 27.3.2008, reiterando l’eccezione di “radicale inefficacia del provvedimento di licenziamento, con conseguente insussistenza di qualsivoglia decadenza ex art. 6 legge n. 604/66. Sosteneva, in particolare, che la garanzia della forma scritta, prevista in tema di licenziamento individuale, investiva, oltre alla fase propriamente genetica o formativa dell’atto, quella della giuridica certezza da parte del destinatario, con la conseguenza che sia l’intimazione del licenziamento che la comunicazione dei relativi motivi dovevano, a pena di inefficacia, rivestire la forma scritta, di guisa che erano irrilevanti un’intimazione ed una contestazione espresse in forma diversa, al pari di una conoscenza aliunde acquisita dal lavoratore.
Il Ministero appellato si costituiva in giudizio con memoria depositata il 23.6.2008 e ribadiva le deduzioni già svolte in prime cure, sostenendo la infondatezza dei motivi addotti a sostegno del gravame, del quale invocava il rigetto, con rivalsa delle spese del grado del giudizio. Rappresentava, peraltro, di aver regolarmente riconosciuto e liquidato, in favore dell’Imperato, l’importo a lui spettante a titolo di indennità di mancato preavviso.
La corte d’appello di Salerno con sentenza del 2 luglio 2008-20 agosto 2008 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
5. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originario ricorrente con tre motivi.
Non ha svolto difesa alcuna la parte intimata.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con il primo motiva il ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2 e 6 della legge n. 604 del 1966. Deduce la radicale inefficacia del provvedimento di risoluzione del rapporto sostenendo che, ove il datore di lavoro scelga il mezzo della notificazione per portare a conoscenza del lavoratore il provvedimento disciplinare, deve osservare puntualmente il procedimento notificatorio disciplinato dal codice di rito. In ogni caso deve osservare l’obbligo della forma scritta.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei principi regolatori in tema di diritto di difesa, nonché del principio di correttezza e buona fede. Deduce che il decreto dirigenziale di licenziamento è stato adottato senza che si perfezionasse in capo al ricorrente il termine a difesa concesso dalla pubblica amministrazione con la comunicazione di avvio del procedimento.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del presupposto e mancanza di giusta causa o di giustificato motivo, costituito dal numero delle assente.
2. Preliminarmente va rilevato che il ricorrente, che inizialmente aveva notificato il ricorso all’Avvocatura distrettuale dello Stato, ha provveduto, a seguito di ordinanza di questa corte, a notificare il ricorso all’Avvocatura generale dello Stato.
3. Il ricorso – i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente -è infondato.
4. In riferimento in particolare al primo motivo deve considerarsi che correttamente la corte d’appello ha considerato che l’art. 2 della legge 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dall’art. 2 della legge 11 maggio 1990 n. 108, esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore, senza prescrivere particolare modalità della comunicazione stessa, essendo necessario e sufficiente che l’atto di recesso datoriale si è portato a conoscenza del lavoratore. Va ribadito in proposito il principio più volte affermato da questa corte (Cass., sez, lav., 13 agosto 2007, n. 17652) secondo cui, quanto alla forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali e la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara. Si è quindi ritenuto, ad esempio, che la dichiarazione di conclusione del rapporto contenuta nel libretto di lavoro consegnato al dipendente da parte del datore accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale, deve essere considerato atto scritto di recesso dalla data della relativa consegna. Cfr. altresì Cass., sez. lav., 17 maggio 2005, n. 10291, che con riguardo al caso di utilizzazione di un telegramma dettato attraverso l’apposito servizio telefonico per l’intimazione del licenziamento, ha precisato che il requisito della forma scritta deve ritenersi sussistente ove risulti la effettiva provenienza del telegramma dall’autore della dichiarazione, così come la forma scritta richiesta per il licenziamento e per l’impugnazione stragiudiziale dello stesso è integrata dalla consegna dell’ordinario telegramma all’ufficio postale, da parte del mittente o per suo incarico, oppure dalla sottoscrizione da parte del mittente.
Altresì Cass., sez. lav., 11 settembre 2003, n. 13375, ha ribadito che ai fini del rispetto del requisito della forma scritta per la validità del licenziamento, non è necessario che la volontà risolutiva sia espressa attraverso formule sacramentali, ma essa deve essere comunque manifestata in maniera adeguatamente intellegibile, ai fini della tutela dell’affidamento della controparte, sulla quale grava l’onere di una tempestiva impugnazione, mentre non può ritenersi equipollente la mera espressione del convincimento della validità di un precedente atto risolutivo, in quanto trattasi di dichiarazione priva di contenuto volitivo.
Pertanto, nel caso di specie, la comunicazione dell’atto di recesso a mezzo di ufficiale di p.g., ancorché quest’ultimo fosse sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere a una vera propria notifica, costituisce comunque una modalità idonea per la comunicazione del licenziamento in ragione appunto della libertà della forma del licenziamento, purché per iscritto.
5. Inammissibili sono invece le altre due censure (secondo e terzo motivo). La sentenza impugnata ha ritenuto che l’impugnazione del licenziamento, fatta dal ricorrente, non fosse tempestiva e quindi ha rigettato la domanda. Questa essendo la ragione del decidere le censure mosse con il secondo e il terzo motivo sono inammissibili perché non conferenti, riferendosi l’una alla dedotta violazione delle regole procedimentali (mancato rispetto del termine di difesa) e l’altra alla dedotta esistenza del presupposto del recesso (ossia il numero di giorni di assenza per malattia che integravano il presupposto del superamento del termine di comporto previsto la contrattazione collettiva).
Il ricorrente invece non censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui è intervenuta la decadenza per avere il ricorrente impugnato il recesso oltre il termine di 60 giorni.
È pur vero che questa corte (Cass. civ., sez. lav., 28 gennaio 2010, n. 1861) ha affermato che il recesso per superamento del periodo di comporto rappresenta una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro, che non trova la sua disciplina nella legge, di carattere generale, n. 604 del 1966, ma nella specifica previsione di cui all’art. 2110, 2° comma, c.c., con la conseguenza che l’impugnazione da parte del prestatore di lavoro non è soggetta al termine di decadenza stabilito dall’art. 6 suddetta legge. Ma il ricorrente non ha proposto alcun vizio di violazione di legge sotto tale profilo e la censura mossa solo nella memoria è a tal fine inammissibile atteso che con la memoria il ricorrente può illustrare i motivi di ricorso già proposti, ma non può proporne di nuovi. Cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 21 febbraio 2001, n. 2478, che ha affermato che le memorie illustrative, di cui all’art. 378 c.p.c. non hanno altra funzione che quella di chiarire le ragioni a sostegno dei motivi enunciati in ricorso; sicché non è consentito proporre in esse motivi nuovi, in quanto tali inammissibili.
6. Il ricorso va quindi, nel suo complesso, rigettato.
Non avendo il ministero intimato svolto alcuna difesa, non occorre provvedere sulle spese processuali di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 settembre 2019, n. 22928 - Licenziamento per superamento del periodo di comporto - In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono essere inclusi nel calcolo del periodo, oltre ai giorni…
- Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza n. 582 depositata l' 8 gennaio 2024 - Al lavoratore assente per malattia è consentito di mutare il titolo dell'assenza con la richiesta di fruizione delle ferie già maturate al fine di sospendere il…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 6336 depositata il 2 marzo 2023 - In tema di licenziamento per superamento del comporto, non assimilabile a quello disciplinare, il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 28 dicembre 2020, n. 29672 - Licenziamento per superamento del periodo di comporto - Periodo di protrazione dell'assenza oltre il comporto - Sussistenza di un caso "particolarmente grave" - Condizioni per l'ulteriore…
- TRIBUNALE DI BARI - Ordinanza 12 maggio 2022 - Nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato e la valutazione del tempo decorso…
- Illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto qualora il dipendente abbia chiesto ed ottenuto di poter usufruire delle ferie prima del superamento del periodo di comporto
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…
- L’inerenza dei costi va intesa in termini qu
L’inerenza dei costi va intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità,…