CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2013, n. 12546
Fallimento – Stato d’insolvenza – Fondo di solidarietà per le vittime delle richiesteestorsive e dell’usura
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 18 legge fallimentare depositato il 20 agosto 2009 presso la Corte d’appello di Roma, la I. s.r.l. e la I. s.n.c, nella qualità di socia della prima, proponevano reclamo avverso la sentenza 9 luglio 2009 del Tribunale di Tivoli dichiarativa del fallimento della I. s.r.l., su istanza della B. s.p.a. Deducevano che era insussistente lo stato di insolvenza, dal momento che il credito vantato da quest’ultima, portato da un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Ariano Irpino e divenuto esecutivo ex art. 647 cod. proc. civile, ricomprendeva tassi di interesse superiori al limite di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura);
che i protesti si riferivano ad assegni bancari onorati dopo pochi giorni;
che il credito ulteriore della Banca delle Marche, portato da due decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, era stato contestato in sede di opposizione;
che il valore dell’immobile di sua proprietà e la riscossione dei residui crediti derivanti dall’esecuzione di appalti avrebbero consentito l’estinzione di tutte le pendenze debitorie;
che il tribunale fallimentare aveva erroneamente disatteso l’istanza di sospensione dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 20, legge 23 febbraio 1999, n. 44 ( Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richiesteestorsive e dell’usura ) in pendenza di domanda di accesso al predetto Fondo, da essa presentata quale vittima del reato di usura perpetrato dall’Unicredit Banca di Roma s.p.a. Costituitosi ritualmente, il fallimento I. s.r.l. resisteva al gravame.
Con sentenza 1 marzo 2010 la Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile il reclamo proposto dalla I. s.n.c. e in accoglimento del reclamo della Imerc s.r.l. revocava il fallimento con compensazione delle spese di giudizio.
Motivava
– che erroneamente il giudice di primo grado non aveva applicato la sospensione richiesta ritenendo ostatitva la mancanza del parere del prefetto, non più vincolante dopo la pronunzia di incostituzionalità della disposizione che lo prevedeva (Corte costituzionale 16 novembre 2005 n.457);
– che, quindi, i termini di scadenza delle obbligazioni ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo erano prorogati per la durata di 300 giorni in favore dei soggetti che avessero richiesto l’elargizione del Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura in applicazione dell’art. 20 della legge 44/1999, applicabile anche al processo fallimentare;
– che, per l’effetto, il termine naturale di pagamento dei crediti doveva essere individuato in quello di emissione del decreto ingiuntivo, e cioè il 30 ottobre 2008: entro un anno dalla cessazione dell’evento lesivo coincidente con la chiusura di uno dei due rapporti di conto corrente intrattenuti con l’Unicredit, rispetto al quale la consulenza di parte, non contestata sul punto, aveva rilevato l’applicazione di un tasso di interesse usurano;
– che in conseguenza della proroga legale di 300 giorni, non ancora scaduta alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, l’unico creditore ricorrente non era legittimato perché titolare di un credito inesigibile.
Avverso la sentenza notificata il 9 marzo 2010 la curatela del fallimento Imerc s.r.l. proponeva ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, notificato l’8 aprile 2010 ed ulteriormente illustrato con memoria.
Deduceva
1) la violazione degli articoli 20, primo e quarto comma legge 23 febbraio 1999 n. 44 e dell’articolo 15 legge fallimentare;
2) la carenza di motivazione nel ritenere applicabile la norma in questione al processo fallimentare sulla base dell’erronea interpretazione di un precedente giurisprudenziale di legittimità;
3)la violazione della medesima disposizione per aver ritenuto superfluo il parere del prefetto ivi prescritto;
4) la carenza di motivazione nell’omesso accertamento dello stato oggettivo di insolvenza della Imerc s.r.l..
Anche la creditrice ricorrente Bancapulia s.p.a. proponeva ricorso, definito di natura incidentale adesiva, affidato a quattro motivi, in parte analoghi a quelli dedotti dalla curatela; ed inoltre, con deduzione della violazione dell’efficacia preclusiva del giudicato formatosi sui decreti ingiuntivi non opposti, per omessa opposizione ex art.645 cod. proc. civile in cui eccepire l’inesigibilità del credito.
Resisteva con controricorso l’Imerc s.r.l..
All’udienza del 15 marzo 2013 il Procuratore generale e i difensori del fallimento Imerc s.r.l e della Imerc s.r.l. precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Con il primo e secondo motivo del ricorso principale, esaminabili congiuntamente per affinità di contenuto, si deduce la violazione di legge e la carenza di motivazione nella ritenuta applicabilità alla procedura prefallimentare delle disposizioni di cui all’art.20, primo e quarto comma, legge 23 febbraio 1999 n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura) e si lamenta che la corte d’appello si sia basata su un precedente di legittimità non in termini, confondendo ipotesi di sospensione diverse.
Le censure sono infondate.
È vero che la procedura prefallimentare non deve essere sospesa, a norma del quarto comma di detto articolo, per il fatto che il debitore abbia chiesto i benefici antiusura, dal momento che essa non ha la natura esecutiva presupposta dalla norma (a differenza delle vendite forzate che facciano seguito alla sentenza di fallimento: Cass., sez.l 28 maggio 2012 n.8434), bensì natura di cognizione, dando adito ad una pronunzia di accertamento costitutivo (Cass., sez. l, 28 maggio 2012 n.8432; Cass., sez.l, 12 dicembre 2012 n.22756 ); ma, nella specie, non è stata sospesa l’istruttoria prefallimentare, bensì prorogata, ai sensi del primo comma dell’art. 20, la scadenza del debito nei confronti delcreditore istante: con la conseguenza che si è ritenuto quest’ultimo carente di legittimazione a chiedere il fallimento.
Tale specifica ratio decidendi non appare puntualmente sottoposta a critica sotto i profili (diversi dall’inapplicabilità della sospensione) dell’inapplicabilità della proroga di trecento giorni al termine di scadenza di un’obbligazione portata da titolo esecutivo giudiziario – non ricompreso nell’indicazione di chiusura di “ogni altro atto avente efficacia esecutiva” prevista al primo comma, che renderebbe superflua la specifica ipotesi di sospensione dei termini relativi ai processi esecutivi contemplata al quarto comma – e dell’erroneità della ritenuta carenza di legittimazione a ricorrere per il fallimento da parte di titolare di credito, allo stato, inesigibile.
Con il terzo motivo la curatela ricorrente lamenta che il beneficio antiusura sia stato applicato nonostante la carenza del prescritto parere preventivo del prefetto.
Al riguardo, va premesso che l’art.20, settimo comma, legge 23 febbraio 1999 n. 44 – a tenore del quale la sospensione dei processi esecutivi per la durata di trecento giorni, prevista al quarto comma in favore dei soggetti, vittime di richieste estorsive, che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l’elargizione di cui agli art. 3, 5, 6 e 8 della stessa legge, “ha effetto a seguito dei parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito ii presidente del tribunale” – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, giacché operava l’integrale attribuzione al prefetto, e cioè ad un organo dei potere esecutivo, della valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sospensione del processo esecutivo: riservando all’autorità giudiziaria una mera funzione consultiva, mediante il parere non vincolante del presidente deltribunale (Corte costituzionale 23 Dicembre 2005, n. 457, che ha peraltro ricondotto la norma a legittimità costituzionale mediante l’ablazione della parola “favorevole”, restituendo così alla funzione del prefetto un carattere propriamente consultivo, non vincolante, coerente con la natura giurisdizionale del provvedimento richiesto). Ne consegue che la carenza di tale parere, benché obbligatorio, non vizia di nullità il provvedimento del giudice concessivo della sospensione in presenza dei presupposti per la proroga del termine di pagamento (Cass., sez.l, 4 giugno 2012 n.8940, in fattispecie analoga di sospensione dei processi esecutivi).
Con l’ultimo motivo si censura che la corte d’appello non abbia tenuto conto di molti altri debiti scaduti ed esigibili, ammessi al passivo, significative dello stato di insolvenza dell’Imerc s.r.l.
Anche questo motivo è infondato, dal momento che la ratio deciderteli della revoca del fallimento non riposa sull’esistenza del solo credito della banca ricorrente, bensì sulla carenza di legittimazione di quest’ultima al ricorso per fallimento per inesigibilità del suo credito, prorogato a seguito della richiesta dei benefici antiusura: statuizione questa, non puntualmente censurata dalla curatela.
Passando all’esame del ricorso incidentale ed. adesivo della bancApulia s.p.a., si osserva come i primi tre motivi siano di contenuto analogo a quello delle censure prospettate dalla curatela del fallimento Irmec s.r.l. testé esaminate.
Con il quarto motivo si deduce, invece, la violazione dell’efficacia preclusiva ob rem judicatam del decreto ingiuntivo, non impugnato con opposizione ex art. 645 cod. proc. civile: sedenaturale dell’eccezione di inesigibilità del termine per effetto di proroga legale.
Al riguardo, si osserva che la proroga di trecento giorni dei termini di cui all’art. 20 primo comma, legge 23 febbraio 1999 n. 44 produce un effetto riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1185, primo comma, cod. civ. e, sotto il profilo processuale, costituisce eccezione di merito soggetta, in effetti, al regime preclusivo del giudicato.
Tuttavia, anche la predetta preclusione costituisce oggetto di eccezione da opporre tempestivamente nei gradi di merito.
Nella specie, la sentenza impugnata non fa cenno a tale eccezione.
Occorreva quindi che la banc’Apulia desse conto, non solo genericamente – come fatto nella narratio riepilogativa dello svolgimento del processo – bensì con riferimento allo specifico motivo in esame in quale atto processuale avesse sollevato l’eccezione di preclusione, precisando l’esatta successione temporale degli eventi rilevanti, per consentire, in questa sede, di verificare se davvero L’Imerc s.r.l. fosse incorsa nella decadenza dal diritto di eccepire il diritto alla proroga alla data di esecutività del decreto ingiuntivo non opposto (art.647 cod. proc. civ.). Oltre all’ulteriore rilevo che di quest’ultimo – che costituiva l’atto su cui si fondava il motivo di censura (art.366, primo comma, n.6, cod. proc. civ.) – non appare neppure eseguito il deposito insieme con il ricorso (che non ne fa cenno), ex art. 369, secondo comma, n.4, cod. proc. civ.
I ricorsi sono dunque infondati e devono essere respinti.
L’obiettiva incertezza della fattispecie giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
– Rigetta i ricorsi e compensa tra le parti le spese di giudizio.
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