Corte di Cassazione sentenza n. 12703 del 20 luglio 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI – AMIANTO – SILICOSI E ASBESTOSI – GIUDIZIO E SOGGETTO LEGITTIMATO
massima
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Qualora il lavoratore abbia chiesto l’accertamento giudiziale del diritto alla rivalutazione del periodo lavorativo nel quale è stato esposto all’amianto, unico soggetto legittimato a stare in giudizio è l’ente previdenziale tenuto ad operare la rivalutazione.
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FATTO
Con ricorso in data 14.1.2004 l’INPS proponeva appello avverso la sentenza 29.11/3.12.2003 con la quale il Tribunale di Cosenza, Giudice del Lavoro, aveva accolto la domanda di (Omissis) finalizzata ad ottenere il beneficio di cui alla Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8.
Con l’atto di gravame, l’Istituto deduceva che aveva errato il primo Giudice nell’interpretazione data alla sentenza n. 5 del 2000 della Corte Costituzionale, atteso che da essa non si evinceva che era sufficiente l’esposizione ultradecennale all’amianto per godere i benefici di legge, ma era altresì necessario che l’esposizione avvenisse con un certo grado di concentrazione del materiale morbigeno. Inoltre andava eccepito il difetto di legittimazione passiva dell’Istituto, dal momento che tutti gli accertamenti relativi alle malattie professionali erano demandati all’INAIL. Tant’è che quelli relativi all’amianto erano devoluti alla C.O.N.T.A.RP. organismo operante nell’ambito di tale Istituto.
Al contrario l’INPS era competente solo per il compito di procedere ai calcoli necessari e ad erogare la prestazione previdenziale. Chiedeva, pertanto, la riforma della gravata sentenza ed il rigetto della domanda di primo grado.
Costituitosi, il (Omissis) invocava il rigetto del gravame, siccome infondato.
Con sentenza del 17/10/2006-25/7/2007, l’adita Corte d’appello di Catanzaro, rigettata l’eccezione di legittimazione passiva dell’INPS, riteneva fondato il gravame dell’Istituto alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, che aveva sancito il principio della cd. “doppia soglia”, in base al quale, per poter godere dei benefici previsti dalla legge, occorre non solo che i lavoratori abbiano lavorato per oltre dieci anni con esposizione all’amianto, ma anche che tale esposizione sia stata “qualificata”, cioè si colleghi ad una concentrazione del minerale nell’ambiente superiore ad un certo valore limite, oltre il quale si presume la morbigenità dello stesso. Nella specie, in mancanza di tale connotato dell’esposizione la pretesa era da ritenersi infondata con conseguente accoglimento dell’appello.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il (Omissis) con tre motivi.
Resiste l’INPS con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso (Omissis) denuncia violazione dell’articolo 342 c.p.c. e dell’articolo 163 c.p.c., n. 3, e nullità del procedimento e della sentenza impugnata in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, sotto il profilo della irregolare formazione della decisione in relazione all’oggetto della domanda.
Ad avviso del ricorrente il ricorso in appello dell’Istituto sarebbe inficiato da nullità in quanto carente della “determinazione della cosa oggetto della domanda”; in particolare il predetto ricorso farebbe riferimento ad una pensione diversa per categoria e numero rispetto a quella propria del (Omissis) e conterrebbe inoltre un riferimento al “reintegro della decurtazione dello 0,5% sul trattamento pensionistico” non pertinente rispetto alla fattispecie trattata in primo grado. Osserva il Collegio che la (pacificamente) errata indicazione del numero della pensione e l’ultroneo riferimento al “reintegro della decurtazione dello 0,5% sul trattamento pensionistico” – dipesi, come chiarito dall’Istituto, da un mero errore materiale di riproduzione informatica – non hanno affatto comportato la omessa ovvero assolutamente incerta individuazione del petitum, come emerge dalla motivazione della impugnata sentenza, che indica come l’odierno ricorrente, nel resistere al gravame chiedendone il rigetto, abbia mostrato di avere perfettamente inteso quale fosse l’oggetto della domanda rivolta dall’Istituto al Giudice dell’appello, sicchè l’eventuale prospettata nullità risulterebbe comunque sanata a seguito del raggiungimento dello scopo dell’atto.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277, articoli 24 e 31, comma 1, lettera a) e b) come modificato dalla Legge 27 marzo 1992 n. 257, articolo 3, comma 4, e dalla Legge 24 aprile 1998 n. 128, articolo 16, comma 4, della Legge 27 marzo 1992, articolo 3, comma 1, come sostituito dalla Legge 24 aprile 1998 n. 128, articolo 16, dal Decreto Legislativo 25 luglio 2006, n. 257, articolo 59 decies (che ha abrogato il capo 3 del Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277), della Legge 27 marzo 1992 n. 257, articolo 13, comma 8, articolo 1, comma 1, come modificato dal Decreto Legge 5 giugno 1993 n. 169, convertito nella Legge 4 agosto 1993 n. 271, tutti in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
In particolare, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere necessario, ai fini del riconoscimento del diritto in oggetto, il superamento di una soglia espositiva minima. Il motivo è infondato.
Invero – come da consolidato orientamento di questa Corte – l’attribuzione del beneficio cui alla Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, (nel testo risultante dalle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 169 del 1993, articolo 1, comma 1, convertito in Legge n. 271 del 1993) presuppone l’adibizione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti un effettivo e personale rischio morbigeno a causa della presenza, nei luoghi di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto che, per essere superiore ai valori limite indicati nella legislazione prevenzionale di cui al Decreto Legislativo n. 277 del 1991 e successive modifiche (valori espressamente richiamati dalla predetta Legge n. 257 del 1991, articolo 3, così come modificato dalla Legge n. 128 del 1998, articolo 16), renda concreta e non solo presunta la possibilità del manifestarsi delle patologie che la sostanza è idonea a generare. La esplicita previsione normativa di tale doppia “soglia” (riguardante cioè sia la durata che l’intensità dell’esposizione) non contrasta con i principi costituzionali di parità di trattamento di situazioni uniformi, come riconosciuto dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 5 del 2000 e 127 del 2002, dovendosi peraltro ritenere che l’estensione dell’operatività della maggiorazione contributiva non spetta ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della Legge n. 257 del 1992 (28 aprile 1992), erano già titolari di una pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero di inabilità, mentre va riconosciuta – ferma restando la ricorrenza di tutti gli altri requisiti stabiliti dalla succitata disposizione – ai lavoratori che, a quella medesima data, restavano ancora attività di lavoro dipendente, ovvero versavano in uno stato di temporanea disoccupazione, ovvero erano titolari della pensione o dell’assegno di invalidità (Cass. n. 16256/2003).
La norma contenuta nella Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, deve, pertanto, essere interpretata nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto spetta unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate le pause fisiologiche, quali riposi, ferie e festività) una esposizione a polveri di amianto superiori ai limiti previsti dal Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articoli 24 e 31 (Cass. n. 17916/2010; Cass. n. 21089/2010). Con il terzo motivo di ricorso il (Omissis), denunciando “violazione o falsa applicazione degli articoli 112, 113, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè nullità del procedimento e della sentenza impugnata in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, sotto il profilo del vizio dell’attività del giudice”, lamenta che il Giudice d’appello non abbia valutato o correttamente valutato la documentazione in atti ed abbia anzi violato l’articolo 113 c.p.c., per avere rigettato la sua domanda ed accolto invece quelle di taluni colleghi istanti in diversi giudizi aventi identico oggetto. Le censure sono infondate.
Ed invero il primo profilo di doglianza, si risolve in una contestazione della sufficienza della motivazione con la quale la Corte territoriale ha escluso che fosse stata raggiunta la prova dell’assoggettamento qualificato all’amianto. Sennonchè la illustrazione del motivo di ricorso non vale ad inficiare l’iter argomentativo adottato dal Giudice a quo.
Sul punto, infatti, la Corte territoriale ha osservato che, nel caso in esame, pur volendosi parlare di lavorazioni in cui si è verificata l’esposizione all’amianto, non vi è prova alcuna che vi sia stata un’esposizione “qualificata”, cioè un’esposizione a valori di concentrazione delle polveri di amianto pari (o superiori) a quelli indicati dal Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articoli 24 e 31. In mancanza della prova dell’esposizione a valori di concentrazione delle polveri morbigeni di cui sopra, la domanda non poteva essere accolta, vertendo tutto il materiale probatorio fornito dall’appellato sulla ricorrenza dell’esposizione alle polveri di amianto, senza tuttavia la presenza di elementi che comprovasse il superamento dei valori di concentrazione, indicati espressamente dalla legge. A ciò andava aggiunto come non risultasse chiaro in cosa consistesse precisamente il lavoro a cui era addetto il (Omissis), e per quanto tempo potesse esser stato impiegato in lavorazioni in cui vi era il rischio dell’esposizione all’amianto. Del pari privo di fondamento si palesa il profilo di ricorso a mezzo del quale il ricorrente si duole per avere la Corte d’Appello deciso in senso sfavorevole all’Istituto altri giudizi in materia di benefici previdenziali per esposizione all’asbesto promossi da colleghi del (Omissis), trattandosi di doglianza non incidente sulla validità del percorso argomentativo seguito dal Giudice d’appello. Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’articolo 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al Decreto Legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 42, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis, essendo stato depositato il ricorso introduttivo il 23 giugno 2000.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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