LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – CONTRATTO COLLETTIVO – CONTRATTI COLLETTIVI AZIENDALI – EFFICACIA NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE DELL’AZIENDA – CONDIZIONI – ISCRIZIONE ALL’ORGANIZZAZIONE STIPULANTE – NECESSITA’ – ESCLUSIONE – ISCRIZIONE AD UN’ORGANIZZAZIONE DISSENZIENTE – RILEVANZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18/5/06 – 23/11/07 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione proposta dagli odierni ricorrenti attraverso la quale i medesimi avevano chiesto la riforma della decisione del giudice del lavoro del Tribunale di Roma che aveva rigettato la loro domanda diretta alla condanna dell’Ospedale israelitico alla corresponsione del premio di presenza computato su ventisei giorni mensili a decorrere dall’aprile del 1995, epoca dalla quale tale emolumento non era stato più erogato.
La Corte capitolina ha spiegato che la materia del contendere era cessata nel momento in cui in data 30/6/99 le parti sociali avevano transatto ogni questione relativa al premio di presenza, tanto più che la somma di lire 720.000 indicata nella stessa transazione era stata effettivamente erogata e tale accordo non era stato mai impugnato.
Ricorrono in Cassazione i dipendenti ospedalieri di cui in epigrafe, i quali affidano l’impugnazione ad otto motivi di censura.
Resiste con controricorso l’Ospedale israelitico che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi di censura. La difesa di tale ente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
1. Col primo motivo viene denunziata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 2077, 1965 e 2113 c.c., nonché dell’art. 46 del c.c.n.l. applicabile nella fattispecie, assumendosi che la Corte d’appello non avrebbe potuto considerare legittima la compensazione transattiva effettuata dalle organizzazioni sindacali tra il premio di presenza e quello di incentivazione che spettava già di diritto ai lavoratori, consentendo, in tal modo, l’utilizzazione di un elemento retributivo indisponibile, previsto dalla citata fonte collettiva, come contropartita o reciproca concessione.
2. Col secondo motivo ci si lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., della contraddizione tra le decisioni dei due gradi di giudizio in merito alla ricostruzione della genesi e della soppressione del premio di presenza nonché della nullità dell’accordo transattivo ex art. 2113 c.c., posto che, mentre la Corte d’appello aveva ritenuto che la soppressione di tale emolumento era stata legittimamente compensata dal riconoscimento transattivo dell’erogazione ai lavoratori della somma di lire 720.000 (questa rappresentava, al contrario, a giudizio dei ricorrenti, il diverso premio di incentivazione), il primo giudice era, invece, pervenuto al convincimento che lo stesso fosse stato soppresso tramite appositi accordi collettivi.
3. Viene contestata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte di merito omesso di verificare il motivo per il quale fu erogato il premio di incentivazione di lire 720.000 in favore di ciascun lavoratore. Si aggiunge che non si erano avuti riscontri probatori ai fatti ritenuti dalla Corte territoriale come concludenti con riferimento all’accettazione della predetta somma di lire 720.000 e che si erano ignorate le contestazioni svolte a tal riguardo dalla difesa dei lavoratori. Ci si duole, infine, del fatto che la Corte aveva posto a carico dei lavoratori la prova negativa di non essere iscritti alle organizzazioni sindacali che avevano preso parte al contestato accordo transattivo.
4. Ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. si imputa alla Corte di merito di aver omesso la motivazione sui seguenti fatti controversi e decisivi per il giudizio: produzione di numerosi documenti attestanti l’esistenza di più premi ed indennità erogati in favore dei lavoratori, ivi compreso quello di presenza oggetto di causa; eccezione sul fatto che gli amministratori dell’ospedale avevano consapevolezza della necessità di una espressa ratifica da parte dei lavoratori dell’accordo avente ad oggetto un loro diritto acquisito; eccezione sull’inesistenza di reciproche concessioni transattive in ordine al presunto accordo di cui al Protocollo d’intesa del 20/9/1995; contestazioni sulla genuinità e rilevanza della documentazione offerta in primo grado dalla controparte; censure mosse al contenuto del documento prodotto dall’ente ospedaliero in prime cure, indicato al n. 4 ed allegato al verbale di deposito dei documenti del 31/5/2002: eccepita impossibilità della decisione di primo grado di reggersi su due brogliacci considerati erroneamente dal Tribunale come accordi del 2/7/1984 e del 3/4/1985; censure mosse al contenuto della lettera dell’Ospedale Israelitico del 19/6/84 che si riferiva, secondo l’assunto dei ricorrenti, al diverso premio di produttività e non a quello di presenza.
5. Con la quinta censura si addebita alla Corte d’appello di aver omesso qualsiasi motivazione in ordine alle doglianze espresse in merito al fatto che dalla sentenza del giudice di primo grado era emerso che quest’ultimo aveva mostrato di non aver compreso la differenza di natura documentale esistente tra il premio di presenza e quello di produttività, detto anche premio di compartecipazione, dal momento che aveva erroneamente considerato il primo emolumento come sinonimo del secondo.
6. Attraverso il sesto motivo ci si duole della omessa motivazione della Corte di merito in ordine alla eccepita insussistenza di prove sulle presunte cause di natura economica che avevano giustificato, secondo la tesi dell’ente ospedaliero accolta dal primo giudice, la sospensione del premio di presenza.
7. Col settimo motivo ci si lamenta dell’omessa motivazione in ordine alle censure rivolte alla sentenza di primo grado finalizzate a spiegare la differenza oggettiva tra il premio di presenza e quello di incentivazione previsto dall’art. 46 del c.c.n.l. di riferimento.
8. Con l’ottavo motivo è dedotta l’omessa motivazione sulla contestata eccezione di prescrizione quinquennale che la controparte aveva sollevato in prime cure a fronte dei crediti lavorativi vantati in giudizio.
Osserva la Corte che i suddetti motivi possono essere trattati congiuntamente essendo tra essi strettamente connessi in ragione della sostanziale unitarietà della questione oggetto di causa. Ebbene, il ricorso è infondato.
Invero, va subito rilevato che è sostanzialmente corretta dal punto di vista ermeneutico, come tale sottratta ai rilievi di legittimità, l’interpretazione operata dalla Corte d’appello in merito al contenuto transattivo dell’accordo aziendale del 30/6/1999 che riguardò l’erogazione, in una determinata misura fissata dalle parti stesse, della vecchia indennità di presenza, la cui corresponsione era stata precedentemente revocata nel marzo del 1995 dalla parte datoriale per effetto della disdetta dell’accordo del 1984 che l’aveva istituita. In particolare, la Corte ha posto l’accento sia sul tenore letterale delle espressioni adoperate dalle parti nel definire la questione dell’indennità di presenza con rinunzia alle rispettive pretese, sia sul comportamento concludente consistito nell’avvenuta percezione dell’importo di lire 720.000.
Oltretutto, come è stato ben evidenziato in sentenza, l’accordo non fu impugnato nel termine di cui all’art. 2113 c.c. e l’indennità, prevista in quella stessa sede in un’unica misura fissa ai fini transattivi, venne realmente corrisposta. D’altra parte, non possono esservi dubbi sulla efficacia vincolante di tale accordo aziendale in base al consolidato orientamento di questa Corte. Si è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 6044 del 18/4/2012) che “i contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. (Nella specie, la S.C., affermando il principio, ha ritenuto applicabile l’accordo aziendale ad un lavoratore che, senza essere iscritto all’organizzazione stipulante, non risultava tuttavia affiliato ad un sindacato dissenziente e aveva anzi invocato l’accordo medesimo a fondamento delle sue istanze).” (Conforme a Cass. sez. lav. n. 10353 del 28/5/2004).
Invero, la tutela di interessi collettivi della comunità di lavoro aziendale e, talora, la inscindibilità della disciplina, che ne risulta, concorrono a giustificare – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte, le sentenze n. 17674/2002 e n. 5953/99) – la efficacia soggettiva “erga omnes” dei contratti collettivi aziendali, cioè nei confronti di tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti.
Perde, quindi, di rilievo la doglianza attraverso la quale i ricorrenti censurano la decisione nella parte in cui è posto in evidenza che, da una parte, non risultava essere stata contestata la rappresentatività dell’associazione sindacale e che, dall’altra, sussisteva un comportamento concludente dei lavoratori da equipararsi a ratifica dell’operato delle organizzazioni sindacali.
Nemmeno colgono nel segno le censure che tentano di accreditare una diversa interpretazione del predetto accordo del 30/6/99, atteso che le stesse si risolvono in una mera contrapposizione alla valutazione operata dal giudice d’appello in conformità ai canoni di ermeneutica legale, come si è già avuto modo di chiarire in premessa, contrapposizione che, oltretutto, fa leva solo su una parte del relativo testo rispetto a quello prodotto dall’ente ospedaliero ed esaminato nella sua più ampia portata dallo stesso giudicante.
Egualmente infondate si rivelano le censure attraverso le quali è prospettata una differenza tra indennità di produzione ed indennità di presenza nel tentativo di accreditare la tesi che la prima di tali indennità, istituita dal contratto collettivo nazionale vigente all’epoca in cui fu raggiunto il predetto accordo transattivo, già spettava, per cui non poteva essere permutata con la seconda: invero, è agevole osservare che rientrava nell’ampia autonomia negoziale delle parti sociali regolamentare i rispettivi assetti economici e tale negoziazione è stata correttamente interpretata dalla Corte di merito con riguardo alle sue precipue finalità transattive, per cui una tale valutazione giudiziale sfugge ai rilievi di legittimità che le vengono mossi nella presente sede.
Quanto alle questioni di merito che la Corte d’appello non avrebbe trattato, la cui decisività ai fini del presente ricorso di legittimità nemmeno è dimostrata, si osserva che la supposta mancata disamina da parte del giudicante è da intendere come un loro implicito rigetto od assorbimento per il semplice fatto che era stata ritenuta dirimente l’efficacia transattiva dell’accordo del 30/6/99 che precludeva e rendeva inutile ogni ulteriore questione relativa all’indennità in esame.
Pertanto, il ricorso principale va rigettato.
È da ritenere, di conseguenza, assorbito il ricorso incidentale proposto solo in via condizionata dall’ente ospedaliero con riferimento alla disdetta dell’accordo che aveva istituito l’indennità di presenza ed alla questione della prescrizione.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti principali e vanno poste a loro carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato. Condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio nella misura di € 4000,00 per compensi professionali e di € 40,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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