CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 maggio 2013, n. 12831
Società di capitali – Società per azioni – Scioglimento – Cause – Fallimento -Effetti ex art. 2448 cod. civ. anteriore alla riforma del diritto societario – Immediata estinzione della società – Esclusione – Conseguenze – Preliminare di compravendita di azioni stipulato anteriormente al fallimento – Scioglimento per impossibilità sopravvenuta – Esclusione
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza in data 22 maggio 2002, il Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Castellamare di Stabia, accolse la domanda subordinata di A.M.P. e dichiarò legittima la sospensione dell’esecuzione della prestazione ad essa facente capo relativamente alla scrittura privata del 7 maggio 1998, con cui la P. aveva promesso di vendere il pacchetto azionario della s.p.a. Pastificio A. a lei spettante in favore di M.C. e di N.D.M., per il pattuito prezzo di lire 2.900.000.000 rateizzato in 58 mensilità di pari importo, e dichiarò i convenuti decaduti dal beneficio del termine previsto a loro favore, condannandoli a pagare immediatamente quanto dovuto in forza della detta scrittura privata, detratto quanto eventualmente già pagato, oltre interessi.
2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 15 marzo 2006, ha rigettato il gravame del C. e del D.M..
2.1. – La Corte territoriale ha rilevato che la scrittura privata prevedeva il pagamento dell’importo di lire 2.900.000.000 in un’unica soluzione nel caso di “mancato trasferimento dell’immobile descritto sub F del contratto preliminare, promesso in vendita dalla società A. alla Z. Immobiliare, per causa non imputabile a questa ultima”; e che, risultando “il mancato trasferimento dell’immobile attribuibile all’intervenuto fallimento della società A., sono venute a prendere vigore le pattuizioni previste sub II della menzionata scrittura privata (e pertanto il diverso prezzo nella misura di lire 2.900.000.000 ed in un’unica soluzione)”.
Dalla situazione di grave dissesto della società A., con la revoca di tutti gli affidi a seguito del fallimento della stessa, la Corte di Napoli ha tratto, al pari del primo giudice, due conseguenze: la prima che il dissesto della società si è ripercosso sul patrimonio dei promissari acquirenti, garanti per la società; e la seconda che la creditrice Banca di Roma ha ritenuto inadeguato il patrimonio personale dei medesimi garanti, si da non accogliere le proposte per il rientro concordato delle esposizioni, ed ha disposto l’immediato rientro delle stesse.
La Corte distrettuale ha sottolineato che “nessuna confusione” vi è stata da parte del Tribunale “tra la situazione della società e quella personale dei convenuti”, avendo il primo giudice correttamente rilevato che lo stato di decozione del Pastificio A. si era riversato sui convenuti, non certo perché soci, ma perché garanti, il patrimonio di questi ultimi essendosi rivelato insufficiente alla luce del rifiuto della Banca di Roma di consentire un rientro concordato delle esposizioni. Ciò ha trovato ulteriore conferma – ha proseguito la Corte d’appello – nel decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Campobasso a carico dei convenuti, quali garanti del Pastificio, per la somma di lire 4.708.310.381, oltre interessi.
Infine, il giudice del gravame ha osservato che “la P., nella scrittura privata del 7 maggio 1998, aveva assunto l’obbligo di vendere le azioni fiduciariamente intestate a terze persone che sono rimaste estranee a detta scrittura, per cui già dall’inizio la sua prestazione viene a configurarsi quale promessa del fatto del terzo con la conseguenza poi che nessun inadempimento va ravvisato nella condotta della P.” di “trasferimento a terzi” (e cioè prima al marito D.C. che le avrebbe poi rivendute alla società Al.) delle azioni promesse in vendita agli appellanti.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il D.M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 aprile 2007, sulla base di due motivi.
La P. ha resistito con controricorso, mentre l’altro intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1375, 1366 e 1374 cod. civ. , anche in relazione agli artt. 112 cod. proc. civ., 6.2.2. e ss. dei Principi Unidroit per i contratti commerciali internazionali e 6:111 dei Principi di diritto europeo dei contratti, nonché carenza e difetto di motivazione, comunque erronea e contraddittoria), il ricorrente pone il quesito “se, in presenza di un contratto preliminare di vendita di azioni di società di capitali, la circostanza (pacifica e non contestata) della dichiarazione di fallimento della società intervenuta successivamente alla stipula del contratto possa essere ritenuta (in difetto di una specifica deduzione della parte istante) quale causa di avveramento di una condizione del contratto il cui verificarsi sia contestato dalla parte alla cui obbligazione tale condizione sia apposta e non risulti provato dall’altra parte o piuttosto si configuri, secondo quanto dedotto dalla parte che l’ha invocata, come sopravvenienza non imputabile idonea a determinare la materiale impossibilità di esecuzione del contratto per intervenuto mutamento della consistenza della res vendita, o comunque tale da comportare una obiettiva alterazione dell’equilibrio sinallagmatico ed una significativa sproporzione tra il prezzo pattuito ed il valore effettivo del bene promesso in vendita che giustifichi l’intervento adeguatore e correttivo del giudice per il riequilibrio delle reciproche prestazioni ed il ripristino della congruità e proporzionalità dello scambio contrattuale e/o per la riconduzione del contratto ad equità”.
1.1. – La censura è infondata, per la parte in cui non è inammissibile.
Il fallimento di una società per azioni non determina lo scioglimento per impossibilità sopravvenuta del contratto preliminare, anteriormente stipulato, di compravendita delle azioni della stessa società, poiché l’art. 2448 cod. civ., nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alla riforma del diritto societario, prevede che la dichiarazione di fallimento è causa di scioglimento, ma non di immediata estinzione, della società, sicché la perdurante esistenza in vita dell’ente (sia pure ormai privo di ogni potere in relazione al suo patrimonio) e della sua organizzazione sociale conferisce, di per sé, natura di beni commerciabili alle relative quote di partecipazione e, quindi, consente che abbia corso un negozio il cui effetto è quello di impegnare alla stipulazione di un contratto definitivo rivolto ad operare la sostituzione di un soggetto ad un altro nella qualità di socio e nella titolarità delle azioni (cfr. Cass., Sez. I, 4 dicembre 1992, n. 12928; Cass., Sez. I, 6 agosto 1998, n. 7693; Cass., Sez. I, 7 maggio 1999, n. 4584; Cass., Sez. I, 11 ottobre 1999, n. 11361).
Quanto, poi, alla deduzione dell’obiettivo squilibrio del sinallagma contrattuale, sopravvenuto alla stipulazione del preliminare, la doglianza, così come formulata, è assolutamente generica, e come tale inammissibile, non essendo neppure accompagnata dalla indicazione del se lo squilibrio tra le prestazioni sia dovuto ad un evento straordinario ed imprevedibile, non rientrante nell’ambito della normale alea contrattuale: indicazione tanto più necessaria, ove si consideri che nella specie i promissari non erano estranei alla compagine sociale, essendo già soci di fatto della società e garanti della medesima.
2. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1186 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. , anche in relazione agli artt. 1460 cod. civ. e 2932 cod. civ.; carenza e difetto di motivazione, comunque erronea e contraddittoria, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) il ricorrente sostiene – formulando un quesito di diritto in tal senso – che, “in presenza di un contratto preliminare di vendita, l’accoglimento della domanda (subordinata) di condanna del promissario acquirente all’immediato pagamento dell’intero corrispettivo pattuito postula la prova che la parte richiedente abbia offerto (o fatto offrire) l’esecuzione della prestazione a suo carico e debba pertanto essere escluso ove sia fornita la prova dell’illegittimo ed ingiustificato rifiuto della parte promittente venditrice alla stipulazione del contratto definitivo ed al trasferimento del bene promesso in vendita”.
2.1. – La censura è inammissibile, per inidoneità del quesito di diritto che la correda. Esso, infatti, dà per presupposto che sia stato dimostrato “l’illegittimo ed ingiustificato rifiuto della parte promittente venditrice alla stipulazione del contratto definitivo ed al trasferimento del bene promesso in vendita”, laddove, dalla sentenza impugnata, che ha escluso che sussista l’inadempimento della promittente per avere intestato fiduciariamente a terze persone le azioni promesse in vendita, tale circostanza non emerge affatto.
Ne consegue che l’interrogativo posto a conclusione del motivo, non rapportandosi alla vicenda dedotta in lite, non consente l’individuazione effettiva di una quaestio iuris sulla quale il giudice di legittimità sia chiamato a pronunciarsi (cfr. Cass. , Sez. Un., 18 ottobre 2012, n. 17838).
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi euro 11.200, di cui euro 11.000 per compensi, oltre a spese generali ed accessori di legge.
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