CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 maggio 2013, n. 12863
Tributi – Imposte sui redditi – Avviso di accertamento – Istanza di autotutela per palesi vizi di illegittimità – Mancata impugnazione dell’avviso – Iscrizione a ruolo – Validità
Osserva
La CTR di Roma ha respinto l’appello della Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 46/22/2008 della CTP di Roma che aveva accolto il ricorso di S. A. – così annullando la cartella di pagamento relativa ad IVA-IRPEF-IRAP per l’anno 1999, cartella emessa a seguito di avviso di accertamento divenuto definitivo per mancanza di impugnazione e con riferimento al quale il contribuente aveva indirizzato all’Agenzia un’istanza di annullamento in autotutela per palesi vizi di illegittimità.
La predetta CTR ha motivato la decisione rilevando che l’istanza di autotutela era stata depositata in data 22.5.2006 e perciò prima che la cartella di pagamento venisse notificata al contribuente in data 2.8.2006 nonché ritenendo che – alla luce della accertata insussistenza del rapporto tra E. (di cui lo S. era stato titolare) e tale M. (in riferimento ai ritenuti rapporti con il quale l’avviso di accertamento aveva trovato causa), meritavano accoglimento le lagnanze del contribuente: l’Ufficio infatti avrebbe dovuto intervenire direttamente (ed a maggior ragione sull’istanza di autotutela, dalla cui documentazione appariva già evidente l’assunta illegittimità del provvedimento impositivo) per annullare gli atti che risultavano illegittimi, per quanto ne fosse decorso il termine di impugnazione. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo. La parte intimata si è difesa con controricorso.
Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di censura (improntato alla violazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, in riferimento all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc”) la Agenzia ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello non abbia fatto applicazione della norma dianzi richiamata, a mente della quale ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri, e fosse entrato nel merito delle questioni attinenti ad un atto prodromico della cartella impugnata e di per sé non più impugnabile per l’intervenuta definitività. Il motivo è fondato e da accogliersi.
Nel determinare i corretti limiti del sindacato giurisdizionale in ordine ai provvedimenti di diniego di autotutela, questa Corte ha già avuto occasione di precisare che: “II contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11457 del 12/05/2010). Nello specifico, il giudice del merito non ha fatto applicazione dell’anzidetto principio, inducendosi ad analizzare nel merito la questione della fondatezza dell’esercizio del potere impositivo, alla luce della documentazione allegata all’istanza di autotutela.
In tal modo opinando, l’anzidetto giudice del merito ha dato di fatto ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo, così erroneamente legittimando un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti (Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009).
E ciò ha fatto senza che sia stato addotto alcun (ulteriore e diverso) interesse pubblico all’annullamento, il quale non può farsi consistere nel dovere dell’Ufficio di esaminare comunque i fatti allegati nell’istanza di autotutela, appunto perché ciò attiene manifestamente alla questione della fondatezza del potere impositivo e non alla questione della illegittimità del rifiuto di autotutela.
In definitiva, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza, con conseguente facoltà per la Corte di decidere nel merito, respingendo il ricorso introduttivo di parte contribuente:
– che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
– che la sola parte contro ricorrente ha depositato memorie con la quale ha chiesto che la presente controversia sia riunita ad altra pendente al n. 10096/2011 R.G. alla quale sarebbe connessa per ragioni oggettive (siccome pendente tra le stesse parti) e oggettive (siccome inerente l’impugnazione del provvedimento di diniego di autotutela e sul presupposto che l’iscrizione a ruolo di cui qui si discute “deriva da un avviso di accertamento relativo all’istanza di autotutela il cui diniego è oggetto del citato giudizio pendente” avanti a questa Corte), istanza che non può essere accolta perché la parte controricorrente non ha debitamente giustificato le ragioni della asserita connessione tra i due procedimenti, che sono rimaste oscure e non intelligibili riguardo alla concreta correlazione tra i due provvedimenti dianzi menzionati;
– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
– che le spese di lite possono essere regolate secondo il criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente avverso il provvedimento impositivo. Condanna la parte contribuente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 1.700,00 oltre spese prenotate a debito e compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
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