CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 maggio 2013, n. 12930
Tributi – Imposte indirette – Rendita catastale – Rifiuto di classamento in via di autotutela – Impugnabilità – Non sussiste
Svolgimento del processo
La CTR del Lazio, con sentenza n. 564/39/07 depositata il 22 ottobre 2007, confermando la sentenza di primo grado, ha accolto il ricorso con cui la la P. Cooperativa edilizia srl aveva impugnato il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza volta ad ottenere il riesame, in autotutela, del classamento di immobili di sua proprietà. Dopo aver affermato la propria giurisdizione a conoscere dell’impugnazione di atti tributari meritevoli di tutela, la CTR: a) ha escluso la sussistenza della preclusione da giudicato, in riferimento a decisioni pregresse relative al classamento degli stessi immobili, osservando che rendita e classamento costituiscono valori che dipendono da fatti contingenti, variabili nel tempo; b) ha ritenuto corretto il classamento proposto dalla contribuente con l’istanza dalla stessa avanzata.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso l’Agenzia del Territorio, affidato a tre motivi.
La contribuente non ha depositato difese.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 18, co 2, e 15, co 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, la ricorrente afferma che la sentenza è nulla per l’assenza di un atto impugnabile, evidenziando che, in materia tributaria, la valorizzazione dell’inerzia dell’Amministrazione finanziaria, ai fini della relativa impugnazione in sede giurisdizionale, deve intendersi limitata, in base all’art. 21, co 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, al caso del silenzio rifiuto sull’istanza di restituzione di un tributo, sicché il ricorso avrebbe dovuto esser dichiarato improcedibile.
2. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della L n. 2248 del 1865, e si evidenziache la cognizione del giudice adito avrebbe, comunque, dovuto limitarsi al diniego di autotutela, come affermato dallagiurisprudenza di questa Corte, e non estendersi al rapporto tributario sottostante, di tal che la rettifica del classamento era, ad ogni modo, illegittima.
3. Le doglianze, che, per la loro connessione, vanno congiuntamente esaminate, vanno accolte in base alle seguenticonsiderazioni.
4. Le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 16778 del 2005; n. 7388 del 2007; n. 9669 del 2009, dopo aver affermato che l’attribuzione al giudice tributario, da parte della L. n. 448 del 2001, art. 12, co 2, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie comporta che devono ritenersi devolute alle Commissioni tributarie anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, hanno chiarito che l’esercizio del potere di autotutela “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente” e che nel giudizio instaurato contro il rifiuto espresso di esercizio dell’autotutela (o sul silenzio rifiuto formatosi su un’istanza volta a sollecitarlo) “può esercitarsi un sindacato -nelle forme ammesse sugli atti discrezionali- soltanto sulla legittimità del rifiuto, e non sulla fondatezza della pretesa tributaria”.
5. Diversamente opinando, infatti, o si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa, o si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (da ultimo Cass. n. 15220 del 2012; e cfr. Cass. SU. n. 16097 del 2009, nella quale si è anche ribadito, più in generale, che il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e/o di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti).
6. E’ stato, ulteriormente, precisato, che il contribuente che richieda all’Amministrazione di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non può limitarsi ad indicare gli eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto (cfr. Cass. n 11457 del 2010, argomentando da Cass. SU n. 9669 del 2009 in motivazione).
7. L’impugnata sentenza, che non si è attenuta ai suddetti principi, avendo provveduto a valutare la fondatezza della pretesa avanzata dalla contribuente, va, in conseguenza cassata, restando assorbito il terzo motivo, con cui si deduce vizio di motivazione.
8. Non ravvisandosi la necessità di accertamenti in fatto -l’istanza del 6.8.2004, senza prospettare alcun interesse pubblico all’annullamento, era volta a sollecitare il riesame del classamento attribuito con un atto del 2002 già impugnato dalla contribuente e definito con sentenza a lei sfavorevole passata in giudicato il 23.6.2004-, la causa può essere decisa nel merito, col rigetto del ricorso introduttivo.
7. Le spese del giudizio di merito vanno compensate tra le parti, mentre quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sì liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa e decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo. Compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’intimata a pagare alla ricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3.000,00, oltre a spese prenotate a debito.
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