CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 maggio 2013, n. 12964
Tributi – IVA – Operazioni di cessione all’esportazione – Merce mai uscita dal territorio nazionale – Vettore incaricato dal cessionario – Responsabilità del cedente per l’applicazione dell’imposta – Limiti – Condizioni
Svolgimento del processo
1. La Guardia di Finanza di Torino redigeva processo verbale di contestazione nei confronti della S.srl con sede in Alba contestava la fatturazione di merci asseritamente destinate all’esportazione in favore della G.T. GMBH con sede in Germania- già oggetto di verifica-, ma in realtà movimentate esclusivamente in Italia.
Veniva quindi emesso nei confronti della società contribuente un avviso di accertamento relativo all’anno 1999 per il recupero dell’IVA con ulteriore irrogazione di sanzioni.
La CTP di Torino accoglieva i ricorsi proposti dalla società contribuente con sentenza che la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza depositata il 30 aprile 2007 confermava.
2. Osservava il giudice di appello che alla stregua della giurisprudenza della Corte di Giustizia non era addebitabile alla società contribuente alcun rilievo, essendo i comportamenti posti a base del recupero IVA e specificamente il fatto che la merce oggetto di fatturazione dei fornitori italiani non fosse mai uscita dal territorio nazionale ascrivibili in via esclusiva alla G.T.. Ragion per cui il cedente italiano che si trovava in regola con le disposizioni in materia di operazioni intracomunitarie non aveva altre incombenze da osservare né quella di accertarsi che la merce fosse stata trasferita effettivamente in altro paese comunitario.
2.1 A sostegno di tale assunto la CTR richiamava l’art. 1 comma 368 della legge finanziaria 2005, dalla quale si doveva trarre conferma che prima dell’entrata in vigore dell’art.60 bis dpr n.633/1972 -che aveva sancito la responsabilità del cessionario per l’ipotesi mancato versamento IVA da parte del cedente- nessuna responsabilità poteva riconoscersi in capo all’operatore per il mancato versamento dell’IVA.
3. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art.41 comma 1 lett.a) del D.L. n.331/93, dell’art.28 quater punto A lett.a) della dir.77/38/CEE in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che la CTR , nel respingere l’appello sulla base di una sentenza della Corte di Giustizia del 12 gennaio 2006 aveva erroneamente ritenuto che non incombesse sul cedente altro onere se non quello di essere in regola con le disposizioni in materia di registrazione delle fatture e delle operazioni intracomunitarie, tralasciando di considerare, per converso, che era proprio il cedente a dovere provare l’effettivo trasferimento della merce in paese comunitario.
5. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. evidenziando che il riconoscimento del diritto alla detrazione al soggetto che aveva pagato l’IVA poteva essere riconosciuto, ad onta di quanto ritenuto dal giudice di appello, solo nei confronti del soggetto che avesse dimostrato una condotta diligente ed incolpevole, risultando tali principi più volte espressi dalla Corte di Giustizia. Il giudice di appello aveva in particolare tralasciato di esaminare gli elementi offerti dall’Ufficio a riprova del comportamento gravemente negligente della società contribuente con riferimenti ai rapporti intrattenuti con la G.T. .
6. Con il terzo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art.60 bis dpr n.633/1972 e dell’art.41 del d.l.n.331/1993, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 cpc. Lamenta che la CTR a sostegno della decisione, aveva incomprensibilmente richiamato l’art.60 bis cit., assolutamente inconferente rispetto alla controversia, peraltro occupandosi della responsabilità ai fini IVA del cessionario e non del cedente- qual era appunto la società contribuente-.
7. La società contribuente ha dedotto l’inammissibilità ed infondatezza delle censure proposte dall’Agenzia evidenziando che: a) correttamente la sentenza impugnata aveva ritenuto sufficiente, al fine di escludere la pretesa fiscale, la regolarità fiscale dell’operazione commerciale e dei documenti fiscali, non incombendo sul cedente l’obbligo di “scortare” le merci oltre confine; b) gli elementi indicati dall’Ufficio a sostegno dell’illegalità della condotta della G.T. erano privi di logica, non avendo la società contribuente alcun obbligo di fornire elementi che potessero fare presumere la propria buona fede, essendo il trasferimento oltre confine un fatto indipendente dalla volontà della società cedente, sulla quale incombeva solo l’obbligo di indicare in fattura il numero di identificazione del destinatario dell’operazione, come del resto aveva pure chiarito la giurisprudenza della Corte di Giustizia nella sentenza resa nelle cause C-354, 355 e 484/03; c) corretto era stato il richiamo, operato dalla CTR, all’art.60 bis dpr 633/1972
8. Le censure, che meritano in esame congiunto stante la loro stretta connessione, sono fondate.
8.1 Occorre rammentare che nel sistema previsto in tema di operazioni intracomunitarie il beneficio della non imponibilità le cessioni devono possedere le caratteristiche indicate dall’art.41 d.l.n.331/1993, fra queste specificamente rilevando il requisito della effettiva movimentazione del bene con partenza dall’Italia ed arrivo in uno Stato membro, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione siano effettuati dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto.
Da ciò consegue che in assenza dei presupposti indicati dall’art.41 cit., la cessione viene assoggettata all’imposta nel territorio dello Stato.
8.2 Questa Corte in ordine al tema dei presupposti richiesti alla società contribuente per usufruire del beneficio della non imponibilità delle operazioni intracomunitarie ha più volte avuto modo di precisare che l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che emette la fattura e non applica l’imposta nei confronti del cessionario (D.L. n. 331 del 1993, art. 50, comma 1), dichiarando che l’operazione non è imponibile (D.L. n. 331 del 1993, art. 46, comma 2); ciò proprio in ragione del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga-cfr., da ultimo, Cass.n. 1670/2013 e, in precedenza, Cass. n. 13457/2012, Cass. 20575/11, Cass. 3603/09 e Cass. 21956/10-.
8.3 Orbene, la sentenza impugnata, muovendo dall’errato presupposto che sulla società cedente ricadesse con esclusione l’obbligo di documentare le operazioni di cessione ha totalmente tralasciato di esaminare e considerare il carattere indefettibile del trasferimento in altro Paese interno all’UE per usufruire della non imponibilità.
8.4 Ed invero, questa Corte ha già sottolineato che l’elemento della movimentazione fisica dei beni oggetto di cessione nel territorio dello Stato membro del cessionario deve costituire elemento strutturale della fattispecie normativa, cosicché la sua mancanza impedisce il riconoscimento dello stesso carattere “intracomunitario” della operazione-Cass. 13457/2012, cit.-.
8.5 Peraltro, giova rammentare che, quanto al tema delle modalità con le quali il cedente possa offrire la prova che i beni ceduti siano entrati nel territorio dello Stato membro a cui appartiene il cessionario secondo la giurisprudenza resa dalla Corte di Giustizia spetta al fornitore di beni provare che sono soddisfatte le condizioni di applicazione dell’articolo 28 quater, punto A, lettera a), primo comma, cit., della sesta direttiva, comprese quelle imposte dagli Stati membri per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni e prevenire ogni possibile frode, evasione fiscale o abuso (v., segnatamente, Corte giust. 7 dicembre 2010, R, punto 46).
8.6 Lo stesso giudice europeo ha poi chiarito che l’articolo 22, paragrafo 8, della stessa direttiva, nella versione risultante dall’articolo 28 nonies di quest’ultima, riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare provvedimenti diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, purché, in particolare, non eccedano quanto è necessario per conseguire siffatti obiettivi (v., in tal senso, Corte Giust. 27 settembre 2007, Collée, punto 26, e R, cit., punto 45).
8.7 Tali principi sono stati pienamente ribaditi da Corte Giust. 27 settembre 2012, causa CE 587/10, Vogilàndische Straben-, Tief- und Rohrleitungsbau GmbH Rodewisch, ove si è nuovamente riconosciuto che gli Stati membri hanno la facoltà di esigere dai fornitori di beni di produrre la prova che l’acquirente è un soggetto passivo e agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato dì partenza della spedizione o del trasporto dei beni di cui trattasi, purché i principi generali del diritto e, in particolare, il requisito di proporzionalità, siano rispettati.
8.8 Mette ancora conto precisare quanto al contenuto di siffatto onere, che del tutto errato è risultato il riferimento,
operato in sentenza, alla circostanza che la società cedente, essendosi uniformata alle prescrizioni di legge- regolarità contabile- non avrebbe dovuto fornire alcuna dimostrazione per fruire della non imponibilità dell’operazione ai fini IVA.
8.9 Appare ancora una volta utile ricordare come questa Corte, evocando le più recenti risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate (Risoluzione 28 novembre 2007, n. 345/E, Risoluzione 15 dicembre 2008, n. 477/E), ha chiarito che mentre può certamente escludersi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi stano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario, deve invece affermarsi il dovere del predetto di impiegare la normale diligenza richiesta ad un soggetto che pone in essere una transazione commerciale e, quindi, di verificare con la diligenza dell’operatore commerciale professionale le caratteristiche di affidabilità della controparte- Cass.n. 13457/2012-, dovendo questi procurarsi mezzi di prova adeguati alle necessità, capaci se non di dimostrare, quanto meno di non lasciare dubbi circa l’effettività dell’esportazione e circa la sua buona fede in ordine a tale dato. Ciò, peraltro, nella consapevolezza che la concreta individuazione delle condotte che il cedente deve tenere (o astenersi dal tenere), perché lo si possa giudicare in buona fede nell’esecuzione di una cessione intracomunitaria non conclusasi con l’effettivo trasferimento dei beni ceduti nello Stato membro di destinazione attiene a valutazioni riservate al giudice di merito in quanto inevitabilmente legate alle specifiche caratteristiche di ciascuna vicenda- Cass. 8132/11-.
8.10 In definitiva, non incombe sul cedente l’onere di escludere la prova della propria malafede, ma semmai di provare con ogni mezzo l’effettività dell’esportazione e, qualora sia invece provato e ammesso che tale esportazione non vi è stata, di dimostrare che il cedente è stato tratto in inganno nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento-cfr.Cass.n.1670/13, cit.-.
8.11 Orbene, nel caso di specie il giudice di appello ha fatto malgoverno dei principi appena espressi, addirittura evocando, come decisiva ai fini della decisione assunta una disposizione- l’art.60 bis d.r.n.633/1973- totalmente inconferente rispetto al tema del decidere.
9. In conclusione, in accoglimento dei tre motivi di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR del Piemonte che farà applicazione dei principi teste espressi.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Piemonte che pure deciderà sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.