CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 maggio 2013, n. 13233
Lavoro – Previdenza e assistenza – Pensione – Integrazione al minimo – Erogazione in caso di pensione diretta e di pensione di reversibilità – Sussiste.
Svolgimento del processo
L’INPS impugnava la sentenza del Tribunale di Lamezia Terme con cui era stata accolta la domanda di E. M. C. diretta alla condanna dell’Istituto alla restituzione della somma di L. 2.741.370, illegittimamente ritenuta per integrazione al minimo sulla sua pensione diretta, essendo l’assicurata percettrice anche di pensione di reversibilità.
La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 29 gennaio 2008, rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad unico motivo. La C. ha depositato delega in calce al ricorso notificato.
Motivi della decisione
1.- L’INPS denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 2967 c.c.; dell’art. 6 L. n.638\83; dell’art. 38, commi 7-10, della legge 28 dicembre 2001 n. 448.
Lamenta che nella specie trattavasi di mero calcolo contabile dei reciproci rapporti di dare-avere, risultando inapplicabili le norme in tema di compensazione, evidenziando l’unicità del beneficio dell’integrazione, che, nell’ipotesi di plurititolarità, può essere riconosciuto su uno solo dei trattamenti.
Formulava il seguente quesito di diritto: “Nell’ipotesi di pensionato titolare di pensione diretta e di pensione di reversibilità, qua/ora l’INPS abbia errato nell’erogare per un certo periodo l’integrazione al minimo sulla pensione di reversibilità anziché sulla pensione diretta, può l’ente previdenziale, nel conteggiare quanto preteso per quello stesso periodo dall’interessato, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legge 12 settembre 1983, n.463 convertito dalla Legge n.638\83, a titolo di integrazione al minimo sulla pensione diretta, detrarre da quanto dovuto l’importo già erogato al medesimo titolo di integrazione al minimo sulla pensione di reversibilità, attuando un mero accertamento di poste attive e passive?”
2. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte osservato che le pensioni godute dallo stesso soggetto, che siano erogate da uno stesso istituto assicuratore o da istituti diversi, una quale pensione diretta e l’altra quale pensione ai superstiti, ineriscono a rapporti ben distinti, e questa distinzione si estende anche alle eventuali integrazioni al minimo, costituenti accessori della pensione in relazione a cui sono dovute o di fatto sono corrisposte. Ne consegue che, in caso di riconoscimento della integrazione al minimo della pensione per cui questo beneficio effettivamente spetti, in base all’art. 6, terzo comma, del D.L. 12 settembre 1983 n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, non è esclusa l’operatività delle norme limitative della ripetizione, quali l’art. 52 della legge 9 marzo 1989 n. 88, e l’art. 1, comma duecentosessantatreesimo, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, con riferimento alle somme che siano state erroneamente corrisposte a titolo di integrazione (anche per gli stessi periodi) su un’altra pensione (Cass. 27 aprile 2001 n. 6142; Cass. 12 maggio 2001 n. 6618; Cass. 18 dicembre 2001 n. 15996; Cass. 7 febbraio 2008 n. 2868; Cass. 17 ottobre 2011 n. 21427). Ne consegue la inoperatività della compensazione, ed a maggior ragione di quella impropria, stante la distinzione dei rapporti. Non avendo l’INPS neppure dedotto, e tanto meno provato, che nella specie l’indebita percezione sia derivata da dolo dell’assicurata (ex art. 52 L. n. 88\89), il ricorso deve pertanto respingersi.
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la socccombenza e si liquidano (valutata la sola partecipazione alla discussione del difensore dell’assicurata) come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad €.50,00 per esborsi ed €. 1.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
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