CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2013, n. 13575
Assegno sociale – Limite reddituale per erogare la prestazione – Percezione del reddito dovuto alla vendita di un immobile – Non sussiste
Svolgimento del processo
1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Torino, S. G. conveniva in giudizio l’INPS chiedendo la concessione dell’assegno sociale previsto dall’art. 3, c. 6-7, della l. 8.08.95 n. 335.
2.- Rigettata la domanda e proposto appello dal S., la Corte d’appello di Torino con sentenza del 22.11.07 rigettava l’impugnazione. Rilevava la Corte che le circostanze di fatto emerse nell’istruttoria (esistenza di un reddito derivato dalla vendita di un appartamento e del conseguente frutto bancario dello stesso, relativa situazione di agiatezza desumibile dalla locazione di una casa di abitazione di grandi dimensioni con elevato canone mensile) fossero indice di un tenore di vita incompatibile con la condizione di bisogno che legittima la concessione dell’assegno. Considerato che il “reddito” preso in considerazione dall’art. 3, c. 7, della legge n. 335 non coincide con quello adottato in materia fiscale ed abbraccia i redditi di “qualsiasi natura” – di modo che le entrate patrimoniali in genere, fatte salve le eccezioni specificamente previste, costituiscono reddito – affermava, pertanto, che il S. vivesse in una condizione di agiatezza economica incompatibile con la concessione dell’assegno richiesto.
3.- Avverso questa sentenza il S. propone ricorso, contrastato con controricorso dall’INPS. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
4.- Il ricorso propone tre motivi illustrati in unico contesto:
4.1.- Violazione dell’art. 3, c. 6-7, della legge n. 335 del 1995, in quanto la Corte torinese enuclea il concetto di “tenore di vita in contrasto con la condizione di bisogno”, che è però estraneo alla norma del c. 6 e 7 dell’art. 3 della legge n. 335, il quale fa riferimento esclusivo ad alcuni importi reddituali, superati i quali la prestazione assistenziale non può essere concessa;
4.2.- violazione dell’art. 2697 c.c. a proposito dell’attribuzione dell’onere probatorio circa il possesso di redditi incompatibili, atteso che non compete all’istante dare prova negativa di esser privo di redditi ostativi, ma deve essere l’INPS a dar prova di tali redditi;
4.3.- carenza di motivazione circa gli elementi su cui è fondata la presunzione di possesso di redditi incompatibili con la concessione dell’assegno sociale, in quanto nella motivazione si adombra il possesso di redditi occulti, tali da essere ostativi anche all’assegno ridotto, sui quali non è acquisita prova e che è basata solo su elementi presuntivi, quali il pagamento di un canone di locazione abitativa di € 800 e il sostegno economico dei due figli con erogazione di € 1.000 mensili, nonché la proprietà di un immobile di villeggiatura; il tutto senza tenere in considerazione i concreti contenuti della situazione di fatto.
4.4.- Il ricorso si conclude con una eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, c. 6-7, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost, nella parte in cui afferma che non si computa nel tetto di reddito ostativo al godimento della prestazione il reddito della casa di abitazione, ove si ritenesse di dovervi ricomprendere il frutto della vendita dell’immobile.
5.- L’art. 3 della l. 8.08.95 n. 335 ha sostituito l’istituto della pensione sociale previsto dall’art. 26 della l. 30.04.69 n. 153 (come modificato dal d.l. 2.03.74 n. 30, conv. dalla l. 16.04.74 n. 114) con Rassegno sociale. Detto art. 3 prevede, per quanto qui rileva, che “con effetto dall’I.01.96, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a lire 6.240.000, denominato «assegno sociale». Se il soggetto possiede redditi propri l’assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell’importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell’eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare. I successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell’assegno sociale. Il reddito è costituto dall’ammontare dei redditi coniugali , conseguibili nell’anno solare di riferimento. … Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell’imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile” (c. 6).
6.- Con il primo motivo parte ricorrente sostiene che il giudice di merito avrebbe accertato il diritto all’assegno sulla base non delle condizioni reddituali fissate dalla legge, ma del tenore di vita tenuto dall’istante, che sarebbe stato indice di assenza dello stato di bisogno del richiedente. Al riguardo deve rilevarsi che il c. 6 sopra indicato assegna l’assegno sociale nella misura massima al cittadino ultrasessantacinquenne privo di reddito, prevedendo che l’importo dell’assegno sia ridotto di un importo pari a quello del reddito eventuale posseduto, fino alla concorrenza dell’importo indicato come misura massima.
Nel caso di specie il giudice di merito ha preso in considerazione il tenore di vita del richiedente non al fine di individuare un requisito di accesso alla prestazione diverso da quelli previsti dalla legge, ma per individuare nel suo sistema di vita una serie di indicatori che, globalmente sommati danno luogo ad un reddito superiore a quello massimo (deposito bancario di una consistente somma di danaro e conseguente percezione degli interessi relativi, investimento in titoli mobiliari, pagamento di un non modesto canone di locazione per la propria abitazione, contributo economico mensile di un figlio). Tale indagine sul complesso delle entrate patrimoniali è consentita dalla norma di legge la quale prevede che alla formazione del reddito complessivo contribuiscono i redditi di “qualsiasi natura”; pertanto, il giudice di merito legittimamente ha considerato ai fini della determinazione del reddito tutte le entrate patrimoniali del S., ritenendo che nel loro complesso esse superassero il tetto reddituale previsto. Non essendo contestato nella sua materialità, deve ritenersi che il giudice abbia correttamente proceduto a tale accertamento.
7.- Quanto al secondo motivo, con cui si contesta che al richiedente sia stato accollato l’onere probatorio negativo di non essere titolare di reddito, deve rilevarsi che il giudice di merito si è attenuto ad un principio giurisprudenziale affermato da questa Corte di cassazione, per il quale in tema di assegno sociale, ai sensi dell’art. 3, c. 6, della legge n. 335 del 1995 l’onere della prova va attribuito secondo gli ordinari criteri, per i quali spetta all’interessato che ne abbia fatto istanza l’onere di dimostrare il possesso del requisito reddituale secondo i rigorosi criteri richiesti dalla legge speciale (Cass. 19.11.10 n. 23477). Anche il secondo motivo è, pertanto, infondato.
8.- Quanto al terzo motivo, si contesta sotto il profilo del vizio di motivazione il ricorso del giudice di merito a considerazioni di carattere presuntivo per giungere alla conclusione che il reddito avesse consistenza tale da rivelarsi ostativa alla maturazione del diritto all’assegno. Le argomentazioni portate dal giudice di merito a sostegno sono congruamente motivate e le considerazioni oggetto della censura sotto lo schermo del vizio di motivazione rivelano nella realtà solo inammissibili contestazioni di fatto, che non possono essere prese in considerazione in questa sede.
9.- L’eccezione di costituzionalità è irrilevante ai fini del presente giudizio, in quanto non entra qui in considerazione quella parte dell’art. 3, c. 6, della legge n. 335 che esclude il reddito della casa di abitazione dal reddito complessivo rilevante ai fini della concessione dell’assegno sociale. Il giudice di merito, infatti, ha preso in considerazione la circostanza che il S. avesse depositato presso un istituto di credito una consistente somma di danaro, senza trarre alcuna conclusione giuridica dalla circostanza che la somma stessa costituisse il provento della vendita della casa di abitazione del predetto. Non avrebbe, quindi, scopo porsi l’interrogativo se la norma di legge sia incostituzionale per aver escluso dal reddito rilevante ai fini della concessione dell’assegno sociale solo il reddito della casa di abitazione e non anche il ricavato della sua vendita.
10.- In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Nulla è dovuto per le spese di giudizio, avendo il S. presentato dichiarazione per l’esenzione dalle spese processuali ai sensi dell’art. 152, disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, nulla disponendo per le spese del giudizio di legittimità.
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