CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2013, n. 13580
Lavoro – Previdenza e assistenza – Mancato versamento dei contributi – Impresa familiare – Requisiti necessari alla configurazione dell’azienda – Mancata presenza dei requisiti – Non sussiste.
Svolgimento del processo
Con ricorso proposto al Tribunale di Terni in funzione di giudice del lavoro S.C. si oppose alla cartella esattoriale con la quale l’Inps gli aveva intimato il pagamento della somma di lire 133.494.702 a titolo di contributi e somme aggiuntive relativi al lavoro svolto nel periodo 1985 – 1996 dai collaboratori della sua impresa familiare costituita da un esercizio commerciale per la rivendita al minuto di articoli sportivi, da caccia e da pesca. Il giudice adito accolse l’opposizione ed annullò la cartella esattoriale dando credito alla tesi del ricorrente sulla non riconducibilità dell’attività oggetto di ispezione ad una impresa familiare e negando, in tal modo, rilevanza all’esito degli accertamenti ispettivi che avevano indotto l’Inps a ravvisare nella fattispecie la sussistenza di un’attività lavorativa svolta dai collaboratori dell’impresa familiare condotta dall’opponente.
A seguito di appello dell’istituto previdenziale la Corte territoriale di Perugia, con sentenza dell’11/7-16/11/07, ha riformato la decisione gravata dopo aver rilevato che l’istruttoria aveva offerto nel suo complesso elementi sufficienti a far ritenere che l’attività lavorativa oggetto d’indagine rientrava nell’ambito di una impresa familiare effettivamente esercitata e per la quale erano dovuti i contributi pretesi dall’ente previdenziale.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso S.C., il quale affida l’impugnazione a tre motivi di censura. Rimane solo intimato l’Inps.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, denunziando la violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 613/66, degli artt. 113 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 cc, nonché delle norme in materia di obbligo assicurativo dei familiari coadiuvanti ed in tema di prova, il ricorrente pone sostanzialmente in dubbio che l’obbligo contributivo possa ritenersi esteso ai familiari coadiutori a prescindere dalla loro effettiva partecipazione abituale e prevalente al lavoro aziendale ed in difetto di positivo accertamento di detta partecipazione.
2. Attraverso il secondo motivo, avente ad oggetto la denunzia di illogicità, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione con riferimento agli artt. 113 e 115 c.p.c, 2697 c.c. ed 1 e 2 della legge n. 613/66, lo S. lamenta che il giudicante non aveva indagato in merito alla effettività della prestazione lavorativa abituale e prevalente dei collaboratori, finendo per soffermarsi sul dato formale dell’esistenza di un atto costitutivo di impresa familiare e su altri elementi accidentali, quali la sottoscrizione del predetto atto e l’astratta imputazione del reddito operata dal commercialista nelle dichiarazioni fiscali dal medesimo predisposte, ed ignorando, invece, l’eccezione della mancanza di ogni reale collaborazione dei familiari in questione.
3. Col terzo motivo, contenente la denunzia della violazione dell’art. 2697 c.c. e dei vizi dell’insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine all’assolvimento dell’onere della prova, il ricorrente contesta l’impugnata decisione nella parte in cui vengono descritte le circostanze che a giudizio della Corte territoriale avrebbero dimostrato l’assolvimento da parte dell’ente dell’onere probatorio relativo all’esistenza dei presupposti della pretesa creditoria azionata.
Il ricorrente si riferisce, in tal caso, ai seguenti dati menzionati nella sentenza: – Sottoscrizione dell’atto costitutivo dell’impresa da tutte le parti; riferimento a tale atto fatto dallo S. nel corso del colloquio con l’ispettore; ripartizione dei redditi tra i compartecipanti risultante dai modelli fiscali “740”; ammissione da parte degli stessi partecipanti circa lo svolgimento di un’attività sporadica; mancato svolgimento da parte di questi ultimi di altre attività lavorative.
Osserva la Corte che i tre motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono fondati.
Invero, è stato affermato in giurisprudenza che, per quanto riguarda il valore ai fini probatori della natura del rapporto come autonomo o subordinato, il “nome iuris” dato al rapporto dalle parti può costituire un utile elemento di giudizio, avendo poi rilievo il concreto svolgimento del rapporto stesso (cfr. tra le molte in tali sensi Cass. 26 agosto 1996 n. 8508; Cass. 20 gennaio 1987 n. 507). Inoltre, si è precisato che ai fini del riconoscimento dell’istituto residuale dell’impresa familiare è necessario che concorrano due condizioni e cioè che sia fornita la prova sia dello svolgimento da parte del partecipante di un’attività lavorativa continua, nel senso di attività non saltuaria ma regolare e costante, anche se non necessariamente a tempo pieno, sia dell’accrescimento della produttività dell’impresa provocato dal lavoro del partecipante, necessaria per determinare la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi (cfr. Cass. 18 aprile 2002 n. 5603, nonché Cass. 16 dicembre 2005 n. 27839); infine, anche per quanto attiene al lavoro aziendale, si è spiegato che è richiesta l’abitualità e la prevalenza della partecipazione a tale lavoro che si concretizzi nel carattere continuativo e non occasionale di detta partecipazione come voluto dall’art. 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996 ai fini dell’insorgenza dell’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciale (cfr. sul punto Cass. 12 luglio 2012 n. 11804).
Orbene, in relazione ai singoli componenti della famiglia del titolare dell’impresa era pertanto necessario, ai fini della loro sottoposizione agli obblighi assicurativi, che l’attività spiegata nell’azienda fosse continua e non occasionale e fosse funzionalizzata all’accrescimento della produttività e degli utili dell’impresa stessa, non essendo sufficiente ritenere che la prova richiesta potesse esaurirsi attraverso la qualificazione data nell’atto notarile al rapporto instaurato tra gli indicati componenti della famiglia ed attraverso la dichiarazione dei redditi del titolare dell’impresa.
Pertanto, il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio del procedimento ad altra Corte d’appello, che si individua in quella di Firenze, la quale, nel riesaminare il merito della controversia alla luce dei suddetti principi, provvedere anche alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze.
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