CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2013, n. 13752
Tributi – IRAP – Ragioniere commercialista – Presupposto – Autonoma organizzazione – Principi e condizioni – Interpretazione costituzionalmente orientata
D. P. impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma 1.9.2008, che, in riforma della sentenza C.T.P. di Roma n. 291/32/2007, ebbe ad accogliere l’appello dell’Ufficio, così ribadendo la legittimità del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso dell’IRAP per gli anni 1998-2001, sul presupposto – diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.P. – della significatività delle spese dedotte dalla contribuente in ordine alla gestione dello studio di ragioniere commercialista, a prescindere dalla presenza di personale dipendente o collaboratori esterni.
Ritenne in particolare la C.T.R. che l’appello dell’Ufficio poteva essere accolto, ove fondato sulla tesi dell’assoggettabilità ad IRAP di ogni attività autonomamente organizzata, essendo sufficiente la semplice titolarità di uno studio professionale per integrare il requisito dell’attività autonomamente organizzata, spettando in ogni caso al contribuente la prova contraria fondativa dell’eventuale diritto al rimborso. Tale prova non sarebbe stata fornita.
Il ricorso è affidato ad un unico motivo e resistito dall’Agenzia delle Entrate con controricorso e successivo deposito di memoria da parte del ricorrente.
I fatti rilevanti della causa e le ragioni della decisione
Con l’unico motivo, si deduce il vizio di violazione di legge, con riguardo agli artt. 2, primo periodo e 3, co. 1, lett. c), d.lgs. 15.12.1997, n.446, nonché 49, co.1, d.P.R. 22.12.1986, n. 917, oltre che ai principi di Corte cost. n.156/2001 e della Cassazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 cod.proc.civ., avendo erroneamente la C.T.R. ritenuto che, in relazione all’I RAP, il requisito della autonoma organizzazione sarebbe di per sé integrato anche quando, come nella specie, il contribuente – esercente attività di lavoro autonomo – produca un conseguente reddito non essendo il responsabile dell’organizzazione, sia inserito in strutture riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile e non si avvalga stabilmente di lavoro di terzi.
1. Il motivo è fondato. Preliminarmente se ne osserva la piena ammissibilità, per come enunciato e contrariamente all’eccezione di riferirsi esso, secondo la controricorrente, ad una richiesta rivalutazione dei fatti di causa. Il nucleo essenziale del principio di diritto applicato dalla corte di merito consiste infatti nell’aver individuato, nell’art.2 del d.lgs. n.446 del 1997, una fattispecie astratta per la quale la autonoma organizzazione abbraccia la mera titolarità in sé dello studio professionale, quanto al lavoro autonomo, ciò implicando la realizzazione del principio impositivo dell’IRAP. La censura del tutto correttamente investe siffatta violazione di legge, dedotta in senso proprio come causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ai sensi dell’art. 360, co. l, n.3, cod.proc.civ. e dunque senza refluire – almeno in via principale e diretta o comunque solo – in una deduzione di carenza o contraddittorietà nella ricostruzione della fattispecie concreta. Configurandosi l’errore pertanto nell’aver tratto la C.T.R. conseguenze diverse da quelle consentite da un’alternativa proposta interpretativa della medesima norma, viene superata l’eccezione di inammissibilità, ben avendo il ricorrente prospettato anche l’interpretazione corretta alternativamente deducibile dalla disposizione e proposta al giudice di legittimità (Cass. 22348/2007).
2. Anche alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita da Corte cost. n. 156/2001, l’assoggettamento ad IRAP dell’attività dei lavoratori autonomi e dei professionisti postula una valutazione complessiva di detta attività, da effettuarsi sulla scorta di tutti gli elementi fattuali che connotano la fattispecie concreta. Ha chiarito il Giudice delle leggi che l’imposizione ha riguardo al valore aggiunto prodotto, cioè la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l’IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l’organizzatore dell’attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori. L’imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in vana misura, concorrono alla sua creazione. Nel caso, poi, di una attività professionale che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà dunque mancante — per gli stessi giudici costituzionali – il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2 del d.lgs. n.446 del 1997, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa. Poiché inoltre solo l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministratola dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta, in base alla seconda parte del citato articolo, si dà per ogni altra figura la doverosità di un’analisi caso per caso, con istruttoria concreta e non condotta per tipologie di contribuente.
3. L’esistenza di un’autonoma organizzazione, che costituisce il presupposto per l’assoggettamento ad imposizione dei soggetti esercenti arti o professioni indicati dall’art. 49, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusi 1 casi di soggetti inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, non dev’essere intesa in senso soggettivo, come auto-organizzazione creata e gestita dal professionista senza vincoli di subordinazione, ma in senso oggettivo, come esistenza di un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui. (Cass. 3673/2007). Significativamente, tali indirizzi sono confluiti nell’importante arresto delle Sezioni Unite (12111/2009), per le quali l’esercizio dell’attività (nella specie, di promotore finanziario di cui all’art. 31, co. 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) è escluso dall’applicazione dell’imposta qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. E tale requisito, il cui accertamento si ribadisce spettare al giudice di merito, resta insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorrendo quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo IV quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (Cass. 8556/2011).
Nel caso di specie, la Corte ritiene che il sopra descritto accertamento, invero, sia stato condotto dal giudice di merito in adesione ad un principio estraneo alla descritta lettura consolidata della disciplina dell’I RAP, erroneamente giungendo alla conclusione che il contribuente risultava aver esercitato l’attività di ragioniere commercialista senza ricorso ad investimenti di beni strumentali complessi ovvero anche impiego di personale dipendente ovvero collaboratori e pur tuttavia conferendo alla mera attività professionale in sé ovvero alla mera deduzione dal reddito imponibile di spese attinenti alla gestione dello studio valenza sufficiente per integrare l’autonoma organizzazione, difformemente dall’indirizzo qui condiviso (Cass. 3677/2007; 9692/2012; 24117/2012). Né é stato accertato un legame giuridico-organizzativo del contribuente all’interno di una struttura complessa, modellata sullo schema societario ovvero dello studio associato, tale da far rientrare l’ipotesi nella regolazione della lett. e) del comma 1 dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e quindi, in base alla seconda parte del comma 1 dell’art. 2 del medesimo d.lgs., divenendo essa presupposto dell’imposta, prescindendosi completamente dal requisito dell’autonoma organizzazione (Cass. 16784/2010).
5. La sentenza, in accoglimento del ricorso, va pertanto cassata, con possibilità di decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod.proc.civ., potendosi dire assolto il citato onere cedente sul medesimo soggetto, alla stregua dei richiami condotti in sentenza e pacificamente ricognitivi del fatto che il contribuente non si era avvalso di personale (dipendente o per soggetti esterni), né aveva utilizzato beni strumentali di rilievo, salvo potersi imputare a spese di organizzazione singoli modesti costi (l’automobile ed accessori, spese alberghiere e di ristorazione, spese di aggiornamento professionale) nella costante assenza, dal 1998 al 2001, di altri e diversi valori di investimento o utilizzo di strumenti necessari all’attività personale del professionista, oltre tutto esercente preso uno studio commerciale di terzi. Dalle difese rassegnate sin dall’introduzione del giudizio e diligentemente trascritte, oltre che segnalate per l’ambito processuale di deduzione, emerge, quanto alla attività del contribuente, una sicura prevalenza dell’apporto personale sui fattori esterni personali e materiali, ciò giustificando la negazione della stessa autonoma organizzazione e affermazione a conseguente rimborso.
6. Si reputa peraltro giustificata l’integrale compensazione delle spese del procedimento, quanto al merito, in ragione della definizione inequivoca della principale questione trattata solo a far data da epoca successiva all’introduzione del contenzioso ed invece va disposta la condanna della controricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in base al principio della soccombenza e come da dispositivo, ai sensi dei parametri del D.M. 20 luglio 2012, n.140.
P.Q.M.
Dichiara fondato il motivo di ricorso, dunque accolto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel mento, accoglie il ricorso del contribuente, dichiara integralmente compensate le spese dei gradi di merito e condanna parte controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità ed in favore del ricorrente, per come qui liquidate in Euro 2.000, oltre ad Euro 200 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
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