CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2013, n. 13755
Tributi – Imposte indirette – Sanzioni – Irrogazione – Elemento soggettivo richiesto – Colpa – Sussistenza
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 11/36/2006 del 25/03/2006, depositata in data 22/04/2006, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, Sezione 36, accoglieva parzialmente, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 7/10/2005, dalla Cooperativa F. e T. a r.l., avverso la decisione n. 67/08/2005 della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, che aveva respinto il ricorso della contribuente contro un avviso, notificatole nell’aprile 2004, di recupero del credito d’imposta illegittimamente utilizzato, per gli anni 2001, 2002 e 2003, in relazione a 43 dipendenti, non in possesso dei requisiti di legge di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 7, lett. b), (trattandosi di soggetti che avevano avuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato nei 24 mesi antecedenti l’assunzione presso la Cooperativa).
A fronte del ricorso, con il quale la Cooperativa contestava i crediti d’imposta maturati relativamente a soli 12 dipendenti (avendo già provveduto per gli altri 31 a sanare la posizione fiscale mediante adesione alla definizione L. n. 289 del 2002, ex art. 9 bis), deducendo di non avere potuto “accertare la relativa posizione né presso gli uffici del lavoro né dai precedenti datori di lavoro” (come riportato nella sentenza della C.T.R. Toscana impugnata), la C.T.P. respingeva il ricorso, ritenendo fondata la pretesa dell’Ufficio anche sotto il profilo sanzionatorio, spettando al soggetto che beneficia delle agevolazioni fiscali accertare il possesso dei requisiti previsti dalla norma.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva invece parzialmente il gravame della contribuente, annullando, pur riconoscendo fondata la pretesa impositiva, le sanzioni irrogate, sulla base del principio generale “di non punibilità in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie” e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che stabilisce non esservi “responsabilità in caso di violazione per errore di fatto, quando l’errore non è determinato da colpa”. I giudici tributari accertavano, in fatto, che la società aveva “preteso dai lavoratori interessati il rilascio di una dichiarazione sostitutiva, con assunzione da parte degli stessi di una precisa personale responsabilità” ed aveva provveduto ad “interpellare anche i competenti centri per l’impiego”.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo due motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (in relazione al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, nonché al D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 2 e 71, e art. 2697 c.c., in quanto la società aveva usufruito dei crediti di imposta sulla base delle sole autocertificazioni rilasciate dai lavoratori, effettuando le necessarie verifiche solo successivamente, tra novembre e dicembre 2003, alla notifica del processo verbale di constatazione, risalente all’ottobre 2003, cosicché non poteva ritenersi operante il disposto dell’art. 6 citato, che presuppone, ai fini dell’esclusione della responsabilità, che l’errore di fatto non sia stato determinato da imprudenza, negligenza, imperizia del contribuente), e per contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (avendo i giudici tributari contraddittoriamente ritenuto che le verifiche, effettuate dalla Cooperativa, come da documenti allegati alla memoria dell’8/04/2005 della ricorrente Cooperativa, solo successivamente alla fruizione del credito d’imposta, fossero idonee ad escludere la colpa della società).
Non ha resistito la contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
L’Agenzia ricorrente lamenta, con i due motivi, vizi di violazione di norme di diritto e motivazionali, nella parte della statuizione che ha escluso l’irrogabilità delle sanzioni a fronte del comportamento tenuto dal fruitore del credito d’imposta.
Il primo motivo, assorbente il secondo, è fondato.
Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito, più in generale, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, statuisce che, in materia di violazioni tributarie punite con sanzioni amministrative, non è (più) sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, ma è richiesta anche la colpevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente. La norma deve essere tuttavia intesa nel senso della sufficienza dei suddetti estremi (coscienza e volontà), senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che essa pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. 22890/2006; Cass.12331/2003, Cass.10607/2003).
Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 1, specifica tuttavia che:
“Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa”.
Dunque l’errore ovvero la falsa rappresentazione della realtà che interviene nel processo formativo della volontà dell’agente, ai sensi dell’art. 6, comma 1, esclude la responsabilità, quando non è dovuto a colpa.
Ne consegue che, se esso dipende da imprudenza, negligenza o imperizia, non rileva ai fini dell’esclusione della responsabilità, laddove si tratti di errore evitabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, quella che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente.
Ora, poiché si verte in tema di agevolazioni fiscali per incremento della base occupazionale, l’impresa, che invoca il credito d’imposta e ne fruisce, deve operare un necessario controllo, verificando se effettivamente sussistano, a quel momento, tutte le condizioni (soggettive ed oggettive) necessarie per fruire del credito d’imposta dalla stessa esposto in dichiarazione, non potendo essere rimessa la verifica ad un’ epoca addirittura successiva al controllo dell’amministrazione finanziaria.
La Corte accoglie il ricorso, quanto al primo motivo, con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, dichiara dovute dalla contribuente anche le sanzioni. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, in conformità del D.M. n. 140 del 2012, attuativo della prescrizione contenuta nel D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 2, convertito dalla L. n. 271 del 2012 (Cass. S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, quanto al primo assorbente motivo; cassa la sentenza impugnata e, nel merito, dichiara dovute dalla contribuente anche le sanzioni; condanna la parte intimata al rimborso delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.
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