CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2013, n. 13776

Tributi – IRPEF – Accertamento – Redditometro – Retroattività

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 16/34/2006 del 25/01/2006, depositata in data 10/03/2006, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Sez. 34, respingeva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 25/05/2001, dall’Agenzia delle Entrate Ufficio Vimercate, avverso la decisione n. 137/04/2000 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che aveva accolto il ricorso di “Marano” Cosimo contro un avviso di accertamento, notificato nell’ottobre 1997, relativo alle maggiori imposte IRPEF ed ILOR dovute per l’anno 1990, a seguito di rettifica del reddito dichiarato dal contribuente, in applicazione dei DD.MM. 10/09/1992 e 9/11/1992, istituenti il cd. redditometro.

La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo inapplicabile “retroattivamente”, al fine di valutare la congruità di una dichiarazione dei redditi anteriore, il nuovo strumento di determinazione dei redditi, introdotto successivamente, in quanto, pur riconoscendo “una eccessiva stringatezza della motivazione della sentenza impugnata”: 1) il contribuente, al momento della dichiarazione, nel 1990, “non poteva sapere che le sue asserzioni sarebbero state vagliate in base a criteri, della cui futura esistenza non era ovviamente in grado di sapere nulla”; 2) trattandosi di normazione secondaria (di natura governativa) essa non poteva contrastare, in punto di efficacia per il futuro e non retroattiva, “con i principi generali e normativa primaria, come le cd. preleggi”, in difetto di espressa previsione normativa; 3) anche ad ammettere l’efficacia retroattiva di detto strumento, introdotto con i DD.MM., esso poteva comunque costituire solo uno degli indizi, per ricostruire in via induttiva il reddito del contribuente, occorrendo il supporto di altri elementi, nella specie non offerti dall’Ufficio; 4) peraltro il Marano aveva anche asserito, senza peraltro provarlo in via documentale, che uno dei cespiti oggetto di esame, un veicolo, il cui valore “pesava in misura maggiore”, non era di suo esclusivo uso, essendo in uso anche della società in come collettivo di cui era socio al 50%.

Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione, notificato in data 17/4/2007 a “Marano anzi Marano” Cosimo, l’Agenzia delle Entrate, deducendo tre motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art.360 n. 3 c.p.c. (Motivo 1, in relazione agli artt. 1, comma 2°, e 36 d.lgs. 546/1992, 132, comma 2°, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. C.p.c.. , non avendo i giudici tributari annullato, malgrado specifico motivo di appello, la sentenza di primo grado, del tutto carente di motivazione; Motivo 2, in relazione all’art.38 commi 4° e 5° DPR 600/1973 ed ai DD.MM: 10/09/1992 e 19/11/1992, in punto di applicazione del cd. redditometro, essendo il relativo utilizzo del tutto legittimo anche con riferimento a periodi di imposta anteriori, trattandosi di indici e coefficienti presuntivi del reddito, al pari di presunzioni relative e non assolute, superabili dal contribuente con adeguata prova contraria; Motivo 3, in relazione all’art.3 comma 181 1.545/1995, , avendo i giudici tributari errato nel ritenere meri indizi i parametri presuntivi del reddito, atteso che invece l’applicazione del cd. redditometro, ai fini della determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari, dispensava l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova, spostando sul contribuente l’onere di dimostrare che il reddito effettivamente conseguito era inferiore). Non ha resistito il contribuente con controricorso.

Motivi della decisione

L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, in realtà, con il primo motivo, un vizio della sentenza di primo grado, avendo formulato, ai sensi dell’art.366 bis (applicabile, in ragione dell’art.272 d.lgs. 40/2006, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dal 2/03/2006, data di entrata in vigore del decreto), il seguente quesito di diritto: “Dica codesta Corte se, con riferimento all’ art .36 d.lgs. 1992/’546, art. 1, comma secondo, del medesimo d.lgs. 546/1992, art.132, comma secondo, n. 4, c.p.c. e 118 disp.att. stesso codice ed ai principi in tema di motivazione delle sentenze, sia o non meramente apparente e pertanto nulla la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che, dopo aver esposto i motivi di ricorso del Contribuente, accolga quest’ultimo con la motivazione: “La Commissione, verificate le informazioni di cui sopra, delibera di accogliere il ricorso, compensando le spese””.

Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Nella specie, si prospetta, nel quesito, non il vizio della sentenza di appello, per non avere pronunciato su specifico motivo di appello, ma direttamente ed esclusivamente il vizio della sentenza di primo grado. In ogni caso, il motivo è infondato.

Va rilevato infatti che la mancanza di motivazione della decisione di primo grado non avrebbe potuto comportare, in considerazione anzitutto dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, la rimessione della causa in primo grado. Infatti, il Giudice d’appello che rilevi un vizio di motivazione della sentenza di primo grado “deve decidere la causa nel merito e non può rimetterla al primo Giudice, posto che le ipotesi di rimessione tassativamente previste dall’art. 354 c.p.c, si riferiscono solo ai casi di vizio nell’instaurazione del contraddittorio o di inesistenza della sentenza per mancata sottoscrizione del Giudice” (Cass. sez. L, 26 aprile 2002, n. 6119, m. 554029; Cass.28838/2008; Cass. 19026/2007). In conseguenza di ciò, è stato ritenuto che mancasse l’interesse alla proposizione del ricorso per cassazione qualora il giudice di appello abbia pronunciato nel merito, ancorché non abbia dichiarato la nullità della sentenza di primo grado prospettata in sede di gravame (Cass. 7744/2011; Cass.11517/95, Cass. 6613/95, Cass. 13001/92).

Il secondo ed il terzo motivo, inerenti l’applicazione del cd. redditometro, da trattare congiuntamente, sono fondati.

Sostiene, anzitutto, l’Agenzia delle Entrate, con il secondo motivo, che l’impugnata sentenza, respingendo l’appello, contrasta con il consolidato insegnamento di questa Corte, secondo il quale la rettifica del reddito con metodo sintetico, in base al cd. redditometro di cui ai decreti ministeriali citati, non determina alcun problema di retroattività, essendo stato in tali termini disciplinato il potere di accertamento, sul quale il momento di elaborazione del redditometro non incide.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla rettifica, con metodo sintetico, del reddito complessivo delle persone fisiche, è legittima l’applicazione degli indici e coefficienti presuntivi di reddito (cosiddetto redditometro ), stabiliti nel D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, ai redditi maturati in epoca anteriore alla entrata in vigore degli stessi, attesa la natura esclusivamente procedimentale degli strumenti normativi secondari, la cui emanazione è prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, a fini esclusivamente accertativi e probatori.

Sicché di essi è escluso ogni carattere sostanziale, non contenendo alcuna norma per la determinazione del reddito (v. Cass. n. 15045/00; n. 11611/01; n. 11607/01; n. 6032/02; n. 11680/02; n. 12731/02).

In sostanza, le modificazioni introdotte con la legge n. 413 del 1991 alla disciplina originaria contenuta nell’art. 38 cit., nulla hanno cambiato sul punto che qui interessa, nel senso che le norme di natura sostanziale continuano a essere contenute, agli specifici fini, nel T.U.I.R., ” mentre le norme procedimentali, che costituiscono lo strumento normativo attraverso il quale si dispiega l’attività accertatrice, continuano a loro volta a essere contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973. L’art. 38, prevede la possibilità che l’Amministrazione emani decreti ministeriali per disciplinare la valutazione in concreto di beni posseduti dal contribuente nel momento in cui l’ufficio prende in esame la dichiarazione al fine di verificarne l’attendibilità con riferimento alla capacità contributiva ed, in pratica, i decreti ministeriali servono esclusivamente a fini accertativi e probatori e non possono considerarsi di natura sostanziale, poiché non contengono norme per la determinazione del reddito.

Discende che la natura procedimentale delle dette norme secondarie consente di ritenere legittima la previsione che estende la loro applicabilità a periodi precedenti a quello della loro formulazione (da ultimo, Cass.8287/2013).

Con il terzo motivo, l’Agenzia contesta poi l’ulteriore statuizione, contenuta nella sentenza, in ordine alla ritenuta insufficienza dei soli indici o coefficienti presuntivi utilizzati dall’Ufficio per determinare in via induttiva il reddito del contribuente ed all’onere probatorio, fatto ricadere esclusivamente sull’Ufficio. Ai sensi dell’art. 38 cit., l’Amministrazione può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente (es. autovetture, possidenze immobiliari, incrementi patrimoniali, etc.) si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo; in tal caso, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possiede altre fonti di reddito non tassabili, o separatamente tassate (Cass. 2009/10385).

Il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio, deve però valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale dei beni indicati dalla norma (Cass. 2007/16284).

Anche detto motivo è fondato, in quanto, nella sentenza, pur affermandosi che il contribuente non aveva offerto adeguata prova contraria sul cespite di maggior valore, preso in considerazione nell’accertamento sintetico, si afferma anche che gli indici presuntivi offerti dall’Ufficio sono insufficienti, non applicando dunque correttamente il disposto normativo.

Non essendovi ragione per modificare tale orientamento, il ricorso è da considerare fondato. Accolto il ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.