Corte di Cassazione sentenza n. 13868 del 02 agosto 2012
SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – MALATTIA PROFESSIONALE – PATOLOGIA TUMORALE E NATURA PROFESSIONALE
massima
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Il sistema assicurativo disciplinato dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 si fondava su un sistema di carattere tabellare, che la Corte costituzionale, con la sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, ha dichiarato illegittimo nella misura in cui non consentiva (nell’ambito delle attività protette industriali e agricole di cui rispettivamente al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 1, 206, 207 e 208) l’indagine sull’eziologia professionale delle malattie indipendentemente dagli elenchi stabiliti e dai tempi della manifestazione morbosa richiesti dalla legge.
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FATTO
Con sentenza depositata in data 13 luglio 2009, la Corte d’appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Arezzo che aveva respinto la domanda coltivata dagli eredi dell’ex ferroviere (Omissis) nei confronti dell’INAIL, al fine di conseguire il riconoscimento della natura professionale della patologia tumorale (carcinoma neuroendocrino dello stomaco) del de cuius e la condanna dell’Istituto al pagamento della rendita maturata dalla domanda amministrativa.
La Corte d’appello ha precisato: che in base a tutti gli accertamenti medico-legali svolti nei due giudizi di merito risultava sostanzialmente pacifico ed incontestabile che vi era stata esposizione del macchinista (Omissis) sia a campi elettromagnetici a bassa intensità (ampiamente sotto i valori soglia di pericolosità conclamata) sia a fibre aerodisperse di amianto, sebbene non quantificate riguardo alla concentrazione specifica; che il consulente tecnico d’ufficio aveva sottolineato la non agevole trasferibilità alla particolare tipologia di tumore che aveva condotto il (Omissis) al decesso del (Omissis) (tumore di tipo gastrico con relazioni con il sistema endocrino) dei dati retativi alle tipiche patologie derivanti dall’esposizione all’amianto (carcinomi polmonari, mesoteliomi pleurici, tumori cerebrali, tumori del sistema ematolinfopoietico); che il consulente, all’esito di un approfondito excursus, era giunto ad escludere, con giudizio ragionevole, la riconducibilità del tumore gastrico e, in generale, dei tumori neuroendocrini dell’apparato digerente all’esposizione ai campi elettromagnetici; che ad analoga conclusione il consulente era giunto con riferimento all’esposizione all’asbesto, precisando che, pur non potendosi escludere in termini di possibilità un collegamento tra quest’ultima e la patologia in questione, essa rimaneva ampiamente poco probabile sia in linea generale, sia, in particolare, alla luce dell’esposizione del (Omissis) a valori di polveri di amianto non particolarmente elevati; che il consulente aveva anche esaminato la questione del criterio della c.d. esclusione di altra causa, affermando che non era possibile valutare l’insussistenza potenziale di altro fattore causale, tenuto conto che, nel caso dei tumori neuroendocrini del tratto gastroenterico, i fattori causali sono ancora ignoti e che pertanto non era possibile attribuire alle esposizione subite dal (Omissis) un valore di noxa patogena certa e verosimile.
Avverso tale sentenza gli eredi del (Omissis) propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste l’INAIL con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, i ricorrenti lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Essi, in particolare, criticano la decisione impugnata: a) per non avere affatto motivato il giudizio secondo cui il (Omissis) sarebbe stato esposto a valori di polveri non particolarmente elevati, mentre il consulente aveva affermato che si poteva ragionevolmente presumere l’esposizione del lavoratore, impegnato direttamente nella manutenzione e riparazione di materiale rotabile, a concentrazioni medie ponderate di asbesto (fibre/mL) corrispondenti ad un livello medio o medio alto, secondo la scala indicata nella delibera del consiglio regionale della Toscana n. 102 del 1997; b) per non avere fornito motivazione alcuna idonea a giustificare la mancata considerazione del fatto che i tumori gastroenterici, in quanto collegati all’asbesto, sono inclusi tra i tumori professionali del gruppo 6 della lista 2 del Decreto Ministeriale 27 aprile 2004 e del Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008; c) per non avere considerato che l’inclusione dei tumori gastroenterici nelle liste dei Decreto Ministeriale citati e il precoce decesso di un soggetto ultraquarantenne in costanza di lavoro avrebbe dovuto condurre a valorizzare, ai fini della decisione, la mancata dimostrazione da parte dell’INAIL dell’inesistenza del nesso eziologico.
2. Con il secondo motivo del ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione di norme di diritto (D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 3, 139, 145, 211; Decreto Legislativo n. 38 del 2000, art. 10; Decreto Ministeriale 27 aprile 2004; Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008; art. 2697 c.c.; art. 41 c.p.; art. 115 c.p.c.), censurando la sentenza impugnata per non avere posto a carico dell’INAIL l’onere di dimostrare l’insussistenza, nel caso specifico, di un nesso causale che doveva presumersi esistente, per effetto dell’inclusione dei tumori gastroenterici nella lista delle patologie correlate all’esposizione all’amianto (Decreto Ministeriale 27 aprile 2004; Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008).
3. Per ragioni di ordine logico, occorre muovere dall’esame del secondo motivo di ricorso, al fine di individuare le regole di distribuzione degli oneri probatori tra le parti del processo.
Il motivo è infondato.
3.1. Il sistema assicurativo disciplinato dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 si fondava su un sistema di carattere tabellare, che la Corte costituzionale, con la sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, ha dichiarato illegittimo nella misura in cui non consentiva (nell’ambito delle attività protette industriali e agricole di cui rispettivamente al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 1, 206, 207 e 208) l’indagine sull’eziologia professionale delle malattie indipendentemente dagli elenchi stabiliti e dai tempi della manifestazione morbosa richiesti dalla legge.
I caratteri propri del cosiddetto sistema tabellare, come delineati dalla normativa in argomento, consistevano (e consistono, visto che l’intervento del giudice delle leggi ha aggiunto ad esso la possibilità di dimostrare in concreto la riconducibilità delle patologie non tabellate alla causa di lavoro): a) nella predeterminazione, mediante elenchi tassativi, di malattie tipiche, ossia ritenute, allo stato delle conoscenze scientifiche e dei dati di esperienza statisticamente rilevati, eziologicamente derivanti da un dato agente patogeno o di malattie causate da un dato agente patogeno, agente patogeno costituente in entrambi i casi il fulcro della tassatività, con l’indicazione, del pari tassativa, delle lavorazioni morbigene, ossia ritenute pregiudizievolmente espositive del lavoratore al detto agente patogeno, indicazione specificativa dell’eziologia professionale delle malattie; b) nella predeterminazione del periodo di tempo massimo entro il quale la malattia deve manifestarsi per essere (eziologicamente riconducibile a causa professionale e quindi) indennizzabile.
Per effetto della citata sentenza n. 179 del 1988, quando la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l’attività lavorativa svolta, o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l’attività stessa all’interno della sua previsione, l’esistenza del nesso di causalità tra attività professionale svolta ed insorgenza della malattia deve essere provata dal prestatore assicurato secondo i criteri ordinari. Al fine di individuare l’ambito di applicazione del sistema tabellare, ossia l’ambito entro il quale il lavoratore non è gravato dall’onere di dimostrare, per quanto qui rileva, il nesso eziologico, occorre muovere dal dato normativo.
3.2. Il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 3 dispone che l’assicurazione è altresì obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste nell’art. 1. La tabella predetta può essere modificata o integrata con D.P.R. su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative.
Ne discende che, da un punto di vista formale, il sistema presuntivo opera se si accerti l’esistenza di una patologia contenuta nella tabella allegato 4, ove essa sia stata contratta, nel prescritto periodo, nell’esercizio delle lavorazioni indicate.
3.3. Il D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 139 dispone che è obbligatoria per ogni medico, che ne riconosca la esistenza, la denuncia delle malattie professionali che saranno indicate in un elenco da approvarsi con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale di concerto con quello per la sanità, sentito il Consiglio superiore di sanità. A tal proposito, il Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, art. 10 da un lato, ha previsto l’istituzione di una commissione scientifica per l’elaborazione e la revisione periodica dell’elenco delle malattie di cui dell’art. 139 e delle tabelle di cui agli artt. 3 e 211 del testo unico (comma 1); dall’altro, ha specificato: Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 (ossia le tabelle di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 3 e 211: n.d.e.) delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale, l’elenco delle malattie di cui all’art. 139 del testo unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli artt. 3 e 211 del testo unico. Gli aggiornamenti dell’elenco sono effettuati con cadenza annuale con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su proposta della commissione di cui al comma 1. La trasmissione della copia della denuncia di cui all’art. 139, comma 2, del testo unico e successive modificazioni e integrazioni, è effettuata, oltre che alla azienda sanitaria locale, anche alla sede dell’istituto assicuratore competente per territorio (4 comma).
3 4. In tale contesto normativo, è chiaro che l’elenco delle malattie oggetto di denuncia obbligatoria non amplia il catalogo delle patologie tabellate, come dimostra la puntualizzazione, contenuta nel 4 comma dell’art. 10, appena esaminato, che l’elenco delle malattie di cui all’art. 139 del testo unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli artt. 3 e 211 del testo unico. In definitiva, il legislatore attraverso l’elenco delle malattie di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 139 ha perseguito l’obiettivo di indirizzare l’attività di denuncia dei medici, al fine di rendere completa ed attendibile la raccolta dei dati epidemiologici occorrenti per integrare, su basi obiettive e con celerità, l’elenco delle malattie professionali. Non si spiegherebbe altrimenti la distinzione in separati elenchi tra malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, se entrambe le tipologie dovessero essere considerate unitariamente agli effetti dell’assicurazione obbligatoria.
3.5. Tale lettura del sistema normativo è confortata dalla giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. 5 dicembre 2011, n. 25977; 5 agosto 2010, n. 18270; Cass. 23 giugno 2008, n. 17054), che ha attribuito agli elenchi succedutisi nel tempo in relazione al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 139 (Decreto Ministeriale 27 aprile 2004 e Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008) valore probatorio vario in relazione all’intensità probabilistica del nesso eziologico accertato dalla commissione scientifica, ma sempre nel quadro di un accertamento concreto dello stesso. Per questa ragione, Cass. 25977 del 2011 afferma che l’inserimento nelle tabelle “costituisce sicuramente un significativo indizio a sostegno dell’origine professionale della malattia, del quale peraltro i giudici di merito non hanno rinvenuto ulteriori riscontri”; mentre Cass. n. 18270 del 2010 osserva in motivazione “contrariamente all’assunto del ricorrente, è proprio il Decreto Ministeriale Lavoro e delle Politiche sociali 27 aprile 2004 (in Gazz. uff., 10 giugno, n. 134), recante l’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti del Testo Unico n. 1124 del 1965, art. 139 a confermare che il cancro della laringe è malattia la cui origine lavorativa non è di elevata probabilità (lista 1A), ed è perciò inserita nella lista 2A, contenente l’elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di “limitata probabilità”, sicché non raggiunge la soglia del grado elevato di probabilità necessario per il riconoscimento del diritto alla rendita”. Anche la sentenza citata dai ricorrenti (Cass. 3 aprile 2008, n. 8638) si muove, nonostante alcune affermazioni di principio potrebbero far pensare diversamente, nella stessa linea di pensiero, dal momento che attribuisce rilievo sostanziale al fatto che la patologia in esame rientrava nell’elenco di quelle la cui origine lavorativa era di elevata probabilità.
3.6. Nel caso di specie, invece, sia il Decreto Ministeriale del 2004 sia quello del 2008 includono i tumori gastroenterici derivati da asbesto nelle patologie la cui derivazione professionale non è caratterizzata né da elevata probabilità, nè da mera probabilità, ma da mera possibilità. Ne discende che l’accertamento nel nesso eziologico non poteva che avvenire in concreto. A questo riguardo, si ricorda Cass. n. 17054 del 2008 sopra citata, secondo la quale: il Decreto Ministeriale 14 gennaio 2008, contenente l’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 139, nonché del Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, art. 10, comma 1, dopo l’elenco (lista 1) delle malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità, e la lista 2, delle malattie di limitata probabilità, alla lista 3 contiene le malattie la cui origine lavorativa è possibile, e tra queste le sindromi da sovraccarico biomeccanico, i cui agenti possono essere microtraumi e posture incongrue degli arti superiori per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi. è quindi demandata al consulente tecnico la valutazione di tutti gli elementi di fatto per pervenire da una valutazione di mera possibilità, insufficiente ad istituire il nesso causale tra malattia e lavorazione, ad uno di probabilità.
3.7. Ulteriore conseguenza delle superiori considerazioni è che l’incertezza probatoria non può che comportare il rigetto della domanda.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Come più volte ricordato da questa Corte (v., ad es., Cass. 13 luglio 2011, n. 15400), in tema di malattie professionali, costituisce tipico accertamento di fatto la valutazione espressa dal giudice del merito in ordine alla obiettiva esistenza dell’infermità, alla sua natura ed entità, alla derivazione causale da agenti patogeni ambientali.
Tale accertamento è incensurabile in sede di giudizio di legittimità quando è sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a fondamento della decisione. Ciò in quanto il controllo di legittimità non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma si estrinseca nella verifica, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, cui è appunto riservato l’apprezzamento dei fatti degli elementi di prova acquisiti al processo. Ora, seguendo l’ordine delle censure dei ricorrenti, si osserva che, nella specie, la Corte d’appello ha rilevato che il lavoratore era stato esposto a valori non particolarmente elevati e letteralmente tale affermazione non tradisce l’accertamento presuntivo operato dal consulente di un’esposizione a valori medi o medio-elevati.
Quanto alla mancata considerazione dell’inclusione dei tumori gastroenterici nei Decreto Ministeriale sopra ampiamente menzionati, si tratta di critica non decisiva, posto che per le ragioni sopra ricordate l’esistenza di una possibile correlazione non esimeva il consulente da una puntuale analisi dei dati all’esito dei quali è giunto alle sue conclusioni. I ricorrenti, peraltro, non operano alcuna argomentata critica all’approfondita discussione del consulente circa gli specifici studi sui tumori dei lavoratori nelle ferrovie (pag. 3,4 della sentenza impugnata), talché le loro doglianze si risolvono in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso (Cass. 28 gennaio 2008, n. 1759). In effetti, risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 7 giugno 2005 n. 11789). Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti (v., ad es., Cass. ord, sez. 6, 8 novembre 2010, n. 22707), qualora il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinché sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza, è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in carenze o deficienze diagnostiche, o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione de consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte. Nulla di tutto ciò emerge dal ricorso.
5. Nulla per le spese ex art. 152 disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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