CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 22 GENNAIO 2013, N. 1404
Svolgimento del processo
01. Con sentenza del 7 novembre 2006, la CTR-Abruzzo accoglie l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della (X) & C, confermando l’atto con il quale l’Ufficio ha contestato alla contribuente l’IVA richiesta e rimborsata per l’acquisto (1° settembre 2001) come bene ammortizzabile di un terreno per l’edificazione di un capannone aziendale.
02. Motiva la decisione ritenendo che, ai fini del riconoscimento dell’eccedenza detraibile dell’IVA per l’acquisto di beni ammortizzabili e tenuto conto dei principi ermeneutici di cui all’art.12 delle preleggi, un terreno edificabile non possa essere considerato ammortizzabile perché non consumabile o deperibile nel tempo, senza che ciò realizzi alcuna disparità di trattamento atteso che, indipendentemente dalle vicende dell’edificio,il suolo non perde mai le sue caratteristiche fisiche.
03. Propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la società contribuente. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, al quale la ricorrente replica con memoria. Il Ministero intimato non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione
04. Preliminarmente, si rileva la carenza di legittimazione processuale dell’altro soggetto evocato dinanzi a questa Corte, il Ministero dell’economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali. La chiamata ministeriale in cassazione è, dunque, inammissibile e il ricorso della contribuente va esaminato unicamente riguardo all’Agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimamente intimata.
05. Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art.30 d.iva e degli artt. 67 e 76 TUIR (ora 102 e 107), la ricorrente sostiene che l’acquisto di un terreno edificabile da parte sua allo specifico scopo di costruirvi un complesso strumentale all’impresa fa perdere allo stesso la sua natura di area fabbricabile per farlo divenire componente funzionale di un bene strumentale ben definito, come tale partecipante alla formazione del reddito d’impresa attraverso il processo d’ ammortamento, così che la prescrizione di cui all’art. 30 c.3-lett.c) d.iva risulta rispettata e la società contribuente è legittimata ad ottenere il rimborso dell’IVA assolta sull’acquisto del suolo.
06. Il mezzo, benché corredato da quesito di diritto non privo di carenze formali, consente tuttavia d’individuare con chiarezza il “thema decidendum” sottoposto al vaglio della Corte; però esso, pur dovendosi disattendere l’eccezione preliminare d’inammissibilità avanzata dall’avvocatura erariale, è manifestamente infondato nel merito.
07. L’art. 30 d.iva, per quanto qui interessa, stabilisce: “Il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione … limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili…”.
08. E’ stato evidenziato nella dottrina e nella prassi amministrativa (ris. 2 dicembre 1991 n. 445585, 11 luglio 1996 n.113, 24 ottobre 1996 n. 238/E), che un bene, per essere considerato ammortizzabile ai fini del rimborso dell’IVA, lo deve essere anche ai fini delle imposte dirette.
09. L’art. 67 c. 2 TUIR, applicabile “ratione temporis” e disciplinante l’ammortamento dei beni materiali, dispone che la deduzione delle quote di ammortamento é ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro delle Finanze. Si tratta di coefficienti stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi. Infatti, l’ammortamento è il processo tecnico contabile diretto a calcolare il consumo subito dai beni strumentali destinati all’esercizio dell’impresa i cui costi vanno ripartiti in quote pluriennali.
10. La giurisprudenza di legittimità ritiene, in tema di determinazione del reddito d’impresa, e con riguardo ai presupposti per l’ammortamento, che esso può effettuarsi con beni suscettibili di deperimento e consumo dopo un certo numero di anni, sì da dover essere sostituiti quando non risultino più funzionali allo scopo per il quale sono stati acquistati. Dal reddito d’impresa sono, infatti, detraibili le quote di ammortamento dei beni utilizzabili per un limitato periodo di tempo, perché soggetti a logorio fisico o economico, tant’è che la disciplina fiscale dei diversi coefficienti di ammortamento tiene espressamente conto dell’effettivo tasso di usura al quale sono soggetti i beni strumentali in relazione all’impiego cui vengono singolarmente destinati (C. 22021/06).
11. Riguardo alle imposte sui redditi, ai sensi delle tabelle ministeriali, emesse in base all’art. 67 e.2 TUIR (d.m. 31 dicembre 1988; d.m. 28 marzo 1996), non sono ammortizzabili i terreni, non risultando prevista tale possibilità fatta eccezione per alcune ipotesi del tutto peculiari riguardo a imprese di trasporti e di comunicazione (“trasporti aerei, marittimi, lacuali, fluviali e lagunari – pista, moli e terreni ad essi adibiti”, “terreni adibiti alle linee e ai servizi ferroviari”, “terreni adibiti ad autostrada” (v. C. 9497/08; cfr. CTC 2928/95).
12. Pertanto, siccome i terreni edificabili, non sono soggetti a logorio fisico o economico, né a usura, non rientrano nella nozione di “beni ammortizzabili” recepita nell’art. 30 d.iva., mentre i capannoni industriali, ivi eventualmente costruiti, essendo strumentali per natura, rivestono indubbiamente la qualificazione di bene ammortizzabile per l’impresa proprietaria (cfr. in tal senso ris. 24 ottobre 1996 n.238).
13. E’ vero che, riguardo all’iscrizione nel registro dei beni ammortizzabili, l’art. 16 d.p.r. 600/73, al comma 2, parla in generale di “ciascun immobile”, ma il riferimento successivo al “coefficiente di ammortamento effettivamente praticato” riporta il tutto alle tabelle ministeriali che, come si è già visto, non contemplano affatto i terreni edificabili ma solo le costruzioni sovrastanti.
14. Le conclusioni raggiunte sono confermate dalla dottrina e dai principi contabili nazionali (Doc. n.16) e internazionali (IAS 16), che separano contabilmente gli edifici dai terreni, in quanto – salvo eccezioni – non possono essere ammortizzati, diversamente da quanto accade per gli edifici, “i quali la loro limitata vita utile devono essere oggetto di ammortamento con riferimento al loro valore”.
15. L’assetto delineato da dottrina, prassi e giurisprudenza è confermato dalla sopravvenienza della cd. “legge Bersani 2006″ (d.l. 223/06 conv. l. 248/06) che al comma 7 dell’art. 36 (sost. art. 2 c. 18 d.l. 262/06), razionalizzando la materia, stabilisce: “Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, è quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell’anno di acquisto e quello corrispondente al 20 per cento e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo stesso. Per fabbricati industriali si intendono quelli destinati alla produzione o trasformazione di beni”.
16. Non resta, quindi, che traguardare la disciplina nazionale con quella comunitaria. La Corte di giustizia CE nella decisione sul caso H.L., afferma; “L’art. 20, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE … si applica allorché un privato acquista beni di investimento come soggetto passivo e li destina alle sue attività economiche ai sensi dell’art.4 della sesta direttiva” (sent. 11 luglio 1991, C-97/90).
17. La suddetta disposizione dell’art. 20, nel definire la rettifica delle deduzioni, parla di “beni di investimento” per i quali “la rettifica, deve essere ripartita su cinque anni, compreso l’anno in cui i beni sono stati acquistati o fabbricati” e specifica che “per quanto riguarda i beni d’investimento immobiliari, la durata del periodo che funge da base al calcolo delle rettifiche può essere elevata sino a vent’anni”. Indi, lo stesso articolo, al paragrafo 4, stabilisce: “Ai fini dell’applicazione dei paragrafi 2 e 3, gli Stati membri possono: – definire il concetto di beni d’investimento; – indicare l’ammontare di imposta che deve essere presa in considerazione per la rettifica; – adottare tutte le opportune disposizioni per evitare che la rettifica procuri un vantaggio ingiustificato; – consentire semplificazioni amministrative”.
18. Orbene il riferimento ai “beni ammortizzabili”, contenuto nella normativa nazionale, non coincide di per sé stesso con il riferimento ai “beni d’investimento”, contenuto nella normativa comunitaria. Tuttavia, essendo devoluto agli Stati membri il compito di “definire il concetto di beni d’investimento”, è la stessa sesta direttiva a consentire al legislatore italiano la delimitazione ai beni ammortizzabili, cioè a quelli oggettivamente suscettibili di deperimento e consumo, in correlazione con la disciplina delle imposte dirette.
19. Con il secondo motivo, denunciando vizio motivazionale, la ricorrente si duole del fatto che il giudice d’appello, nell’adoperare una doppia negazione ‘alla luce dei principi generali in materia non sembra … che la tesi della società contribuente non meriti di essere accolta’, nel richiamare solo l’art. 12 delle preleggi non invocato da alcuno e nel dare atto che ‘la natura del terreno è stata sempre considerata particolare’ senza trarne le dovute conseguente, sia incorso nel vizio di cui all’art. 360 n.5 c.p.c. per aver esposto “in maniera contraddittoria principi slegati dai fatti di causa”.
20. Il mezzo è manifestamente inammissibile in quanto esso non attinge alcun fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente. Si deve, infatti, intendere per fatto non una questione o un punto della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo (C. 2805/11).
21. Con il terzo motivo, denunciando generica violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole del fatto che il giudice d’appello sia incorso in vizio di ultrapetizione riguardo all’art. 12 delle preleggi non invocato da alcuno.
22. Il mezzo è manifestamente inammissibile mancando persino la specificazione del vizio denunciato. Com’è noto l’erronea attività del giudice di merito deve essere fatta valere dinanzi a questa Corte attraverso la deduzione di specifica nullità ai sensi art. 360 n. 4 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di norma di diritto ex n. 3 oppure del vizio di motivazione ex n. 5 dello stesso articolo. E’, quindi, onere della parte ricorrente precisare con esattezza quale sia – in concreto – il vero vizio della sentenza, non potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost., e del principio inderogabile della terzietà del giudice) essere rimessa alla Corte. Invece, nulla di quanto necessario è leggibile nel caso di specie.
23. Peraltro, la doglianza della contribuente è incomprensibile sul piano logico e giuridico, atteso che l’esegesi legislativa, essendo finalizzata alla ricerca del significato oggettivo della regola o del comando contenuti nel provvedimento avente forza di legge, è compito esclusivo del giudice che deve attenersi ai canoni previsti per gli atti a contenuto normativo, compresi i criteri oggettivi e testuali di cui all’art. 12 delle preleggi.
24. Il rigetto del ricorso nei confronti dell’Agenzia delle entrate comporta la condanna della contribuente alle spese del presente giudizio di legittimità (v. SU 17405/12); nessuna statuizione sul punto va emessa riguardo alla parte ministeriale non costituita.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e lo rigetta nei confronti dell’Agenzia delle entrate; condanna la parte ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, a favore dall’Agenzia costituita, in € 12.500 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
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