CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 giugno 2013, n. 14185

Tributi – IVA – Operazioni – Cessione all’esportazione – Documentazione – Operazioni c.d. triangolari – Art.8, DPR n. 633/1972 – Documentazione incontrovertibile – Vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura di vendita interna – Necessita – Inammissibilità diversa documentazione di origine privata

Svolgimento del processo

1. Oggetto del contendere è rappresentato dall’imponibilità ad IVA di alcune operazioni dì cessioni di motori per pompe effettuate dalla A. Industria spa alla E.P.E. spa che li aveva rifatturati alla propria casa madre E. Corporation di Tokio.

2. L’Agenzia delle Entrate di Cles notificava, sulla base dei rilievi nn.3 e 4/99 contenuti in due pvc del Dipartimento delle Dogane di Trento, un avviso di accertamento alla E.P.E spa per la ripresa a tassazione, relativamente all’anno 1999, di IVA e sanzioni, ritenendo insussistenti le operazioni di triangolazione disciplinate dall’art.8 comma 1 lett.a) DPR n.633/1972. Ciò perché dalle verifiche compiute era emerso che sulle bollette doganali era stato indicato come esportatore la ditta A.B.B. S. anziché la ditta E.P.E..

3. La società E.P.E. proponeva ricorso innanzi alla CTP di Trento che lo rigettava, ritenendo che la società contribuente non aveva fornito prova dell’avvenuta esportazione, nemmeno essendosi definita in modo favorevole al contribuente la procedura di revisione delle bollette all’esportazione, in quanto la Dogana di La Spezia, alla quale si era rivolta la contribuente, non aveva provveduto in quanto le relative pratiche erano state oggetto di scarto d’archivio.

4. Proposto dalla contribuente ricorso in appello la CTR del Lazio, con sentenza n.20/08 del 10 marzo 2008, confermava la decisione di primo grado osservando, per quel che qui ancora rileva, che: a) era infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 l.n.289/2002 in quanto formulata per la prima volta in appello; b) la l.n.212/2000 non aveva rango costituzionale essendo stata approvata con procedimento ordinario; c) all’atto dell’entrata in vigore della l.n.289/2000 il termine per l’accertamento relativo all’anno 1999 non era ancora decorso, né l’estensione dei termini previsti da una norma preesistente alla scadenza del termine poteva configurare un’applicazione retroattiva.

4.1 Aggiungeva poi che, alla stregua del regime normativo di cui all’art.8 comma 1 lett.a) d.p.r. n.633/1972, era infondata la tesi della società che voleva dimostrare la regolarità delle triangolazioni intercorse sulla base delle bollette doganali di esportazione e delle fatture, rispettivamente recanti per un mero errore materiale quale esportatore la A.B.B. S. spa anziché la E.P.E. e quale cessionario la A.B.B. S. al posto della E. Corporation di Tokio. Per costante giurisprudenza, infatti, la prova dell’avvenuta esportazione doveva essere fornita in modo rigoroso attraverso il documento DAU regolarmente vistato dalla Dogana o, in sua assenza, dalla ulteriore documentazione indicata dall’art.346 T.U.L.D. che, nel caso concreto, la società contribuente non aveva offerto, operando così la presunzione, sancita dall’art. 1 DPR n.441/1997, che l’operazione integrava una cessione in territorio nazionale soggetta ad IVA, nemmeno rilevando i documenti di natura privata e la documentazione bancaria prodotti dalla E..

4.2 Evidenziava, ancora, che nessun pregiudizio poteva derivare dalla diversità fra il termine di conservazione della documentazione amministrativa imposto al contribuente e quello fissato all’Ufficio, perseguendo i due termini finalità diverse.

4.3 Aggiungeva, ancora, che: a) incombeva sulla contribuente la dimostrazione dell’errata indicazione dell’esportatore in ragione dell’errata compilazione delle bollette doganali; b) l’art.53 dpr n.633/1972 costituiva la prova dell’avvenuta esportazione; c) l’eventuale incompletezza delle indagini dell’Ufficio rispetto alla richiesta di revisione non era derivata da colpa, ma dall’espletamento delle necessarie verifiche senza le quali la Dogana di Trento non poteva emettere il nulla osta.

4.4. Precisava, ancora, che il giudice di primo grado aveva affermato, con statuizione non impugnata, a carico della società contribuente l’onere di conservare la prova del documento di uscita, sicché la doglianza relativa all’assenza di colpa della E.P. rispetto alla compilazione delle bollette doganali era inammissibile.

5. La società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a sette motivi, ai quali ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso. La società contribuente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

6. Con il primo motivo la società contribuente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’artt. 11 Cost. 1 e 36 d.lgs.n.546/1992 e 132 c.p.c, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 e 5 c.p.c. Lamenta che la sentenza di primo grado era priva di motivazione.

7. L’Agenzia ha dedotto l’inammissibilità della doglianza per carenza del quesito di diritto e del momento di sintesi in relazione al vizio di cui al n.5 dell’art.360 comma 1 c.p.c.

8. La censura è inammissibile, mancando il quesito di diritto ex art.366 bis c.p.c, applicabile ratione temporis al caso di specie essendo la sentenza di appello stata pubblicata il 10 marzo 2008.

9. Con il secondo motivo la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art.57 d.p.r. n.633/1972 in relazione agli artt. 1 comma 1 e 3 e 3, primo e terzo comma della l.n.212/2000 e dell’art.10 l.n.289/2002, con riferimento all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che l’art.10 l.n.289/2002, che aveva prorogato i termini di cui all’art.57 per i contribuenti che non hanno beneficiato del condono fiscale, era chiaramente in contrasto con quanto previsto dall’art.3 l.n.212/2000 ed andava disapplicato, godendo il divieto di applicazione retroattiva della legge tributaria sancito dall’art.3 cit. di efficacia sovraordinata rispetto alle altre leggi ordinarie. In subordine, nella stessa censura la società contribuente prospetta il contrasto dell’art. 10 l.n.289/2002 con gli artt.3, 24, 53 e 97 Cost.

10. L’Agenzia delle entrate ha dedotto l’infondatezza della censura, risultando la proroga del termine di decadenza agganciata alla sola condonabilità della violazione.

11. La censura è infondata.

11.1 Questa Corte ha già chiarito che le norme della legge 27 luglio 2000, n. 212, emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse-cfr.Cass. n. 8145 del 11/04/2011; Cass. n. 8254 del 06/04/2009-.

11.2 Inoltre, la Corte costituzionale ha già dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui ha prorogato i termini di decadenza previsti dagli artt. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (e successive modificazioni), e 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (e successive modificazioni), per la notificazione degli avvisi di accertamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non risultando il contribuente assoggettato ad un potere accertativo sine die, ma soltanto ad una proroga collegata ad un fatto eccezionale qual è la previsione di un carico di lavoro rilevante in relazione alla presentazione delle richieste di condono-cfr.Corte cost.n.356/2008-.

12. Col terzo motivo la società contribuente ha dedotto violazione e falsa applicazione dei principi in tema di operazioni triangolari e dell’art.8 comma 1 lett.a) d.p.r. n.633/1972, in relazione agli artt.360 comma 1 n.43 c.p.c. e 62 comma 1 d.lgs.n.546/1992.

12.1 Secondo la ricorrente una volta acclarato da parte dell’Ufficio che le bollette doganali, pur recando l’errore nell’indicazione dell’esportatore, facevano ineludibilmente riferimento all’esistenza dell’operazione triangolare fra A. Industria, E.P. ed E. Corporation Tokyo, il giudice di appello, preso atto dell’impossibilità di rettifica della bolletta dipendente dell’irreperibilità dell’originale delle bollette, avrebbe dovuto consentire alla società stessa di fornire la prova della propria qualità con ogni mezzo, considerando gli elementi offerti- contratto di compravendita, fatture a soggetto estero, pagamento tramite il sistema bancario da parte dell’acquirente e nulla osta da parte della Dogana di Trento e riconoscimento della rettifica da parte di altra Amministrazione per le medesime operazioni-.

13. Con il quarto motivo la società contribuente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt.8 lett.a) dpr n.633/1972 e dell’art.2697 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che il giudice di appello, negando rilevanza ai plurimi elementi fattuali offerti a dimostrazione che la società contribuente era l’esportatore dell’operazione triangolare intercorsa fra la stessa la A. Industria e la E. Corporation di Tokyo, aveva fatto scorretta applicazione delle regole in materia di onere della prova. Anche a volere riconoscere la presunzione di cessione in territorio nazionale contenuta negli artt.1 dpr n.441/1997 e 48 comma 1 lett.a) dpr n.633/1972, non poteva negarsi la possibilità di fornire la prova contraria che la società contribuente aveva ampiamente offerto attraverso gli elementi prodotti, rappresentati dalla documentazione doganale vidimata-seppur contenente un errore in ordine al soggetto indicato come esportatore- dal contratto-ordine, dalle fatture di acquisto da A. Industria a E.P. e di vendita da E.P. a E. Corporation di Tokyo, nonché dai pagamenti effettuati a mezzo banca-.

14. Con il settimo motivo la società contribuente ha dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’art.360 comma 1 n.5 c.p.c. Lamenta che il giudice di appello non aveva offerto una corretta esposizione dei fatti di causa, limitandosi a riportarne un’esposizione senza tuttavia adeguatamente distinguere fra prova dell’esportazione e prova del diritto della società contribuente ad essere considerato esportatore una volta che Io stesso era in possesso dei documento doganale anche se parzialmente erroneo.

15. L’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’inammissibilità dei tre motivi sopra riportati per genericità e mancanza di autosufficienza, contenendo delle censure che riguardavano, in definitiva, la motivazione della sentenza e non il vizio di violazione di legge.

15.1 Ha aggiunto che la CTR aveva correttamente ritenuto insussistente la prova dell’esportazione in assenza dei requisiti fissati dall’art.8 cit. e dall’art.346 tuld, mancando peraltro la prova dell’esportazione da parte dell’ufficio doganale di destinazione.

16. Le tre censure sopra riportate, che meritano un esame congiunto, stante la loro stretta connessione, sono infondate.

16.1 Questa Corte ha più volte riconosciuto che in tema di I.V.A., nelle cosiddette “operazioni triangolari” regolate dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, lett. a), la prova dell’avvenuta esportazione richiede la dimostrazione dell’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale della Comunità (cfr. Cass. n. 6351 del 2002, 12608 del 2006).

16.2 Sul punto, infatti, si è ripetutamente affermata la necessità, in ordine alla prova dell’esportazione, della documentazione prevista dall’art. 8 cit. (cfr., ex plurimis, Cass. 21946/2007 e 5065/1998); sicché non rileva che il trasferimento fisico del bene fuori dall’ambito territoriale dell’UE possa risultare da elementi conoscitivi indiretti, dovendo l’onere della prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione, essere fornita con mezzi, aventi carattere di certezza ed incontrovertibilità, quali possono essere attestazioni di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, mentre documenti di origine privata, come ad esempio la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituisce prova idonea allo scopo (Cass.n. 12608/2006; Cass.n. 13221/2001 e Cass. n.6351/2002).

16.3 Si è pure aggiunto che siccome la prova dell’esportazione a fini IVA coincide, nella sostanza, con quella prevista dalla normativa doganale, ove sia dimostrata l’obiettiva impossibilità di produrre la prescritta documentazione vidimata, può essere consentita la prova dell’uscita del bene ceduto mori dall’ambito territoriale dell’UE nei modi previsti dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 346 anche a mezzo di: a)attestazioni e certificazioni rilasciate da una dogana o da altre pubbliche amministrazioni estere; b) attestazioni apposte da autorità estere su documenti doganali emessi a scorta di merci introdotte nel territorio doganale “a condizione di reciprocità”; c) idonei documenti di trasporto internazionale.

16.4 Tali conclusioni interpretative sono in piena sintonia con l’esigenza di rigorosa prevenzione antifrode-cfr. sempre Cass.n.21809/12-.

16.5 Orbene, sulla base di queste premesse, le censure prospettate dalla società contribuente non colgono nel segno.

16.6 La società contribuente, sulla quale ricadeva il relativo onere, non ha infatti fornito la prova rigorosa dell’avvenuta esportazione della merce acquistata dalla società italiana e fatturata alla società E. Corporation di Tokyo che qui veniva in discussione e la CTR ha, dunque, fatto piena e corretta applicazione dei principi appena espressi.

16.7 Giova anzi evidenziare che il tentativo della società contribuente di utilizzare, ai fini della prova dell’esportazione di cu si è detto, la documentazione doganale relativa a diversa esportazione che risultava effettuata da un soggetto diverso da quello fornitore della merce-A.B.B. S. spa- e che si fondava su fatture diverse da quelle che avrebbero dovuto costituire la prova dell’esportazione- fatture emesse dalla E.P.E. spa nei confronti della propria consorella E. International- si scontra ineludibilmente con la prova rigorosa, ricadente indiscutibilmente su chi assume di avere diritto alla non imponibilità ai fini IVA di una operazione commerciale, in ordine all’esportazione della merce.

16.8 L’esistenza, ammessa dalla stessa società contribuente, di operazioni commerciali diverse collegate all’originaria vendita di motori a pompa dalla A. Industria spa alla E.P.E. s.p.a.- cessione della merce dalla E. International alla A.B.B. S., cessione della A.B.B. S. alla A.B.B. PGL Svizzera- avrebbe dunque richiesto la prova rigorosa che l’esportazione indicata dalla società contribuente si riferisse proprio ai beni ceduti dalla A. Industria alla E.P. per essere a loro volta alienati alla E. International di Tokyo. Prova che, correttamente, la CTR non ha potuto ravvisare nella bolletta doganale e nelle fatture riguardanti altra operazione commerciale che erano state presentate dal soggetto legittimato a compiere le operazioni di esportazione.

16.9 Pertanto, correttamente e con motivazione esaustiva e congrua la CTR non ha valorizzato la documentazione indicata dalla società contribuente, in ciò uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte.

16.10 Erra, pertanto, la ricorrente nel ritenere che la stessa era in possesso di un documento di esportazione che avrebbe indicato i beni oggetto della cessione tra A. Industria, E.P. e E. International, non riferendosi detta documentazione a detta esportazione non essendovi prova che la merce ceduta dalla E.P. alla E. International fosse quella riportata dalla bolletta doganale.

16.11 In altri termini, la E.P.E. spa, sulla quale incombeva l’onere di comprovare l’esportazione della merce alla volta del territorio degli Emirati Arabi Uniti per essere venduta alla E. International di Tokyo, non ha fornito alcun elemento tra quelli richiesti dalla normativa sopra ricordata e dalla giurisprudenza per ritenere dimostrata l’operazione di esportazione.

16.12 Ragion per cui, l’operazione non poteva che essere considerata come cessione sul territorio nazionale soggetta ad IVA, alla stregua dell’art. 1 dpr n.441/97. Nè a diverse conclusioni sarebbe stato possibile giungere considerando la condotta degli Uffici di Dogana coinvolti nella richiesta di rettifica della bolletta doganale proposta dalla società contribuente. A parte, infatti, ogni questione in ordine al possibilità che il procedimento di revisione, attivato dapprima da E.P. e A.B.B. S. – e solo il 10.12.2012 dallo spedizioniere secondo quanto esposto dalla stessa contribuente(pag.6 memoria)- come disciplinato dagli artt.74 ss. d.p.r.n.43/1973 potesse concludersi nel modo auspicato dalla società contribuente, è bene evidente che nel caso di specie la società esportatrice non poteva certo accollare sugli Uffici anzidetti gli effetti della presentazione in dogana di documentazione relativa a diversa esportazione prodotta nell’interesse della A.B.B. S. nei confronti della E. International che l’Ufficio di Dogana aveva regolarmente vidimato, sulla stessa incombendo in via esclusiva l’onere di fornire le prove, secondo i canoni già indicati da questa Corte e sopra ricordati, per dimostrare la ricorrenza dei presupposti per fruire della non imponibilità dell’esportazione.

16.13 D’altra parte, la censura esposta nel settimo motivo è inammissibile nella parte in cui tende ad ottenere una rivisitazione degli elementi di fatto già esaminati in modo congruo dal giudice di appello e, in definitiva, ad una revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata.

16.14 Si tratta, a ben considerare, di una richiesta rivolta a compiere un nuovo giudizio di fatto che, per converso, non compete al giudice di legittimità. E poiché risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa-cfr., fra le tante, Cass.n. n. 5024 del 28/03/2012- la censura non può essere esaminata da questa Corte. –

17. Con il quinto motivo la società ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt.8 comma 1 lett.a) dpr n.633/1972 e 2697 c.c. nonché degli artt.10 e 6 quarto comma della l.n.212/2000, in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. ed all’art.62 d.lgs.n.546/1992.

Lamenta che la mancata rettifica delle bollette di esportazione era dipesa esclusivamente dalla distruzione dell’originale da parte della Dogana di La Spezia. Una volta che la Dogana di Trento aveva rilasciato il nulla osta alla rettifica, il contribuente non poteva subire le colpe dell’amministrazione e doveva avere la possibilità di provare con ogni mezzo l’esportazione, alla stregua di quanto precisato nei motivi terzo e quarto.

18. Tale censura è inammissibile per difetto di congruenza fra quesito di diritto e motivazione posta a base della censura.

18.1 Ed invero, a fronte di una prospettata lesione del principio di affidamento correlato al contenuto dell’art. 10 l.n.212/200 che la società ricorrente fonderebbe sul comportamento tenuto dai vari Uffici dell’Amministrazione coinvolti nelle attività successive alla richiesta di rettifica delle bollette di esportazione, la ricorrente ha riproposto identicamente il quesito di diritto prospettato con riguardo al terzo ed al quarto motivo di ricorso, con i quali si era invece posto a base della censura la violazione della disciplina in tema di non imponibilità delle operazioni triangolari e dell’onere della prova.

19. Con il sesto motivo di ricorso la società ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.p.r. n.633/1972 e dell’art.7 l.n.212/2000, nonché dell’art.3 ln.241/1990, in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. Lamenta che l’avviso di accertamento era nullo per difetto di motivazione, non comprendendosi le ragioni che avevano indotto l’amministrazione a non ritenere superata la presunzione di cessione della merce in territorio italiano.

20. L’Agenzia ha dedotto l’inammissibilità della censura e la sua infondatezza.

21. La censura è inammissibile.

21.1 Ed invero, la CTR, nel rigettare analoga eccezione proposta dalla società contribuente, aveva affermato che l’avviso di accertamento contiene una esaustiva motivazione per relationem che non ha arrecato alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio, facendo riferimento al PVC della Circoscrizione doganale di Trento.

21.2 Orbene, la censura esposta dalla società contribuente non si rivolge nei confronti dell’operato del giudice di appello, della cui motivazione la ricorrente si è totalmente disinteressata, invece rivolgendo le censure rispetto all’attività dell’ufficio finanziario.

21.3 Da qui l’inammissibilità della censura che sarebbe in ogni caso infondata nel merito, sulla base della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, a cui tenore che nel regime introdotto dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, cioè mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato o questo ne riproduca il contenuto essenziale ovvero siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione-cfr.Cass.n. 13110/2012-. Laddove, infatti, detto articolo prevede che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, lo stesso non intende riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione, ponendosi la contraria interpretazione in contrasto con il criterio ermeneutico basilare che limita al massimo le cause d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli” (cfr. Cass. n. 18073/2008). Del resto, è fermo l’indirizzo di questa Corte secondo il quale la motivazione dell’atto impositivo, avendo la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili  dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria, per approntare idonea difesa, è sufficiente che enunci i criteri astratti sulla cui base è stato determinato il maggior valore- Cass. 14027/12; Cass. n. 8136/12 e Cass. n.5404/12.

21.4 Ora, è proprio il contenuto degli avvisi di liquidazione riprodotti nel ricorso principale a dimostrare l’esaustività degli atti emessi dall’amministrazione, sicuramente idonei a mettere in condizione la società contribuente di difendersi rispetto all’addebito chiaramente espresso dall’Ufficio proprio con riferimento al mancato riconoscimento della non imponibilità IVA dell’operazione che la società contribuente riteneva regolata dall’art.8 comma 1 lett.a) dpr n 633/1972

22. Il ricorso va pertanto rigettato.

23. Le spese seguono la soccombenza

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società contribuente al pagamento delle spese che liquida in euro 12.000,00 per onorario, oltre spese prenotate a debito.