Corte di Cassazione sentenza n. 14514 del 01 luglio 2011
PREVIDENZA SOCIALE – PENSIONE DI REVERSIBILITA’ – INTEGRAZIONE AL MINIMO
massima
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La disciplina dei criteri per la determinazione della misura del trattamento reversibile, anche se liquidato in regime internazionale, è dettata dall’art. 22 della legge n. 903 del 1965, come emendato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 495 del 1993.
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Svolgimento del processo
In relazione alla domanda con la quale R.V.D. e R.A. – agendo nella qualità di eredi di R. G., titolare, dal dicembre 1991, di pensione di reversibilità originata da pensione diretta liquidata in regime internazionale, mediante totalizzazione dei contributi versati in Italia e all’estero, avevano chiesto, ai sensi della L. n. 407 del 1990, art. 7, il riconoscimento del diritto della loro dante causa a percepire il trattamento di reversibilità nella stessa misura (comprensiva della integrazione al minimo) già corrisposta al titolare diretto (nel caso, il coniuge deceduto) – la Corte d’appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe (resa a conferma della decisione del Tribunale), rilevava che la titolare della pensione di reversibilità avrebbe avuto diritto non già all’intero importo della pensione diretta, bensì (ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 495/93) solamente a una quota pari al 60% di tale pensione (a sua volta, comprensiva dell’integrazione al minimo se acquisita dal titolare con almeno un anno di contribuzione italiana, ovvero comprensiva dell’importo dell’integrazione “congelato” al 1 gennaio 1991 acquisita con un numero di contributi italiani inferiore all’anno); una volta così calcolata, la pensione di reversibilità avrebbe potuto, a sua volta ed autonomamente, essere integrata al minimo se la titolare (non, quindi, il de cuius) avesse posseduto un anno di contribuzione in Italia; il che non era nel caso di specie, conseguendone il rigetto della domanda.
Di questa sentenza gli eredi su indicati domandano la cassazione deducendo un unico articolato motivo, illustrato anche con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. L’INPS resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Nell’unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 407 del 1990, art. 7, commi 1 e 3, anche con riferimento alla L. n. 903 del 1965, art. 22, e alla L. n. 638 del 1983, art. 6, i ricorrenti deducono che, nel caso di specie, la pensione diretta in regime internazionale era stata liquidata al de cuius sulla base di 55 contributi settimanali versati in Italia (cui si erano aggiunti quelli versati in Jugoslavia) e che tanto comportava per il coniuge superstite il diritto a una pensione di reversibilità di importo pari al trattamento minimo del quale già beneficiava la prestazione diretta. Ha errato, quindi, la Corte d’appello nel ritenere che, per aver diritto all’integrazione al minimo del proprio trattamento di reversibilità, la pensionata dovesse dimostrare di aver versato personalmente almeno un anno di contributi in Italia.
2. Il motivo non è fondato, dovendosi la conclusiva statuizione di rigetto della domanda ritenere conforme a diritto, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata necessiti di correzione e integrazione nei sensi di cui alle considerazioni che seguono (art. 384 c.p.c., comma 4).
3. La Corte di merito ha puntualizzato che la disciplina dei criteri per la determinazione della misura del trattamento reversibile – ancorchè liquidato in regime internazionale – risulta esclusivamente dalla L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, come emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui consente la determinazione c.d. “a calcolo” della quota reversibile – sulla sola base, cioè, della pensione contributiva, senza la integrazione al trattamento minimo già liquidata al dante causa o che costui avrebbe avuto diritto di percepire). E, muovendo da tale premessa, giuridicamente corretta (vedi Cass. n. 3908 del 1987), ha, altrettanto correttamente, concluso che, nel caso di specie, derivando la pensione di reversibilità dalla pensione diretta del coniuge di R.G., costei aveva diritto a percepire solamente una quota pari al 60% di tale pensione, ma non mai l’intero importo spettante al dante causa. In altri termini, nè dalla disciplina generale sui trattamenti ai superstiti (siano essi indiretti o di reversibilità), nè da quella dettata, in particolare, dalla L. 29 dicembre 1990, n. 407, art. 7, per le pensioni liquidate in regime internazionale, è lecito argomentare che sia consentita – come, invece, pretendono gli odierni ricorrenti – la “traslazione” dell’importo integrale della pensione del dante causa nel trattamento di reversibilità (vedi, sul punto, Cass. sent. n. 15654 del 2005, n. 14721 del 2006, nn.23160 e 23266 del 2007).
4. La peculiarità del regime introdotto dal combinato disposto della L. n. 407 del 1990, art. 7, commi 1 e 3, per le pensioni liquidate in regime internazionale (siano esse dirette o ai superstiti) sta solamente in ciò: che, a partire dalla data di entrata in vigore della legge, l’attribuzione del trattamento minimo è subordinato al possesso, da parte dell’assicurato (quindi – nel caso di pensione di reversibilità – da parte del titolare della pensione diretta) di un’anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore ad un anno (comma 1); mentre non spetta l’integrazione – e solamente se ne conserva “cristallizzato” l’importo (eventualmente) già in pagamento sulla pensione alla data del 1/1/1991 – nel caso di pensionati residenti all’estero e i cui trattamenti siano stati liquidati in base a un’anzianità contributiva italiana dell’assicurato inferiore ad un anno (comma 3).
5. Considerato il complessivo sistema normativo vigente in materia, la dante causa degli odierni ricorrenti avrebbe avuto diritto al 60% della pensione diretta, comprensiva anche del trattamento minimo, se il coniuge deceduto fosse stato in possesso dei requisiti contributivi previsti dalla L. n. 407 del 1990, art. 7, comma 1;
mentre avrebbe avuto diritto al 60% della pensione diretta, con l’integrazione al minimo nella misura “congelata” al 1/1/1991, nel caso di mancato possesso dei requisiti suddetti da parte del de cuius (nel caso di specie, pacificamente residente all’estero).
6. Rileva, peraltro, la Corte che gli odierni ricorrenti non risultano aver domandato nel giudizio di merito, neppure in subordine, l’attribuzione del 60% della pensione diretta integrata al trattamento minimo (quale sarebbe spettata al coniuge della loro dante causa in quanto, a loro dire, in possesso di un numero di contributi italiani superiore a un anno), o, comunque, l’attribuzione del 60% della pensione diretta con l’integrazione al minimo “congelata”; nè hanno sollevato in questa sede alcuna censura di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in ordine a tutta la domanda proposta, siccome da intendersi come comprensiva anche del riconoscimento del diritto a tale minore pretesa.
7. Neppure viene in rilievo la questione dell’attribuibilità alla beneficiaria della pensione di reversibilità del diritto – ad essa spettante autonomamente – alla integrazione al minimo della quota del 60% della pensione diretta per il caso in cui, calcolata tale quota secondo il procedimento in precedenza indicato, la stessa risulti inferiore al trattamento minimo stabilito dalla legge.
8. Nel caso in esame, infatti, non risulta che sia stato rivendicato il diritto alla suddetta (autonoma) integrazione, la cui attribuzione sarebbe comunque preclusa dall’assenza di qualsiasi deduzione in questa sede circa l’avvenuta allegazione e prova in sede di merito della sussistenza del requisito reddituale, applicabile anche ai trattamenti (come quello di specie) liquidati in regime internazionale ai residenti all’estero dopo l’entrata in vigore della L. n. 407 del 1990, per effetto dell’abrogazione della L. n. 638 del 1983, art.9 bis, disposta dalla stessa L. n. 407 del 1990, art. 7, comma 2. 9. La pretesa concretamente azionata si sostanzia, invece, nella richiesta della equiparazione dell’importo della pensione di reversibilità a quello della pensione diretta, per essere quest’ultima un trattamento già “liquidato” (determinato, cioè, nel suo ammontare) nella vigenza della normativa anteriore alla legge n.407/90 e, quindi (secondo la prospettazione degli odierni ricorrenti), acquisito dai superstiti nella stessa consistenza patrimoniale già fissata attraverso l’originario procedimento di “liquidazione”. 10. Ne consegue che non rileva, ai fini della decisione conclusivamente resa dalla Corte d’appello, perchè concernente una pretesa diversa da quella specificamente (e unicamente) avanzata nel giudizio di merito, l’affermazione della sentenza impugnata – effettivamente errata – secondo cui, per fruire dell’autonomo diritto alla integrazione al minimo della pensione di reversibilità non già l’assicurato, bensì, personalmente, la beneficiaria del detto trattamento avrebbe dovuto possedere il requisito di almeno un anno di contribuzione in Italia.
11. Può quindi enunciarsi, sulla base della su esposta interpretazione, il seguente principio di diritto “Il titolare di una pensione di reversibilità – ancorchè originata da una pensione diretta liquidata in regime internazionale con il cumulo di contributi versati in Italia e all’estero – non ha diritto a un trattamento complessivo di importo corrispondente a quello già erogato al suo dante causa ma soltanto ad una quota di tale importo;
conseguendone, per il caso che la pensione diretta benefici dell’integrazione al minimo, che detta integrazione concorre soltanto a determinare la base di calcolo della quota in parola”. 12. Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso non può che essere rigettato.
13. Nulla per le spese del giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (convertito nella L. n. 326 del 2003) nella specie inapplicabile ratione temporis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
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