Corte di Cassazione sentenza n. 1473 del 22 gennaio 2013
PREVIDENZA SOCIALE – FONDO DIPENDENTI DELLE AZIENDE PRIVATE DEL GAS – CON QUALIFICA DI IMPIEGATO O DI OPERAIO – CCNL
massima
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Sono obbligatoriamente iscritti al Fondo i dipendenti delle aziende private del gas con qualifica di impiegato o di operaio in servizio effettivo alla data del 1° novembre 1967 o a quella di assunzione, se posteriore. Il personale nuovo assunto, che abbia superato il periodo di prova previsto dai contratti collettivi di lavoro di categoria e che sia confermato in servizio effettivo dalla azienda, è iscritto al Fondo a decorrere dalla data di assunzione. È escluso dall’iscrizione al Fondo il personale assunto per lavori di carattere eccezionale o temporaneo, ai sensi dei contratti collettivi di lavoro vigenti per la categoria, o assunto temporaneamente in ottemperanza a particolari disposizioni di legge.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15.11.2007, la Corte di Appello di Potenza respingeva l’appello proposto dalla società a responsabilità limitata di Gestione (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la somma di lire 1.221.098.162 a favore dell’Inps e a carico della società, con la quale quest’ultima aveva dedotto l’errata interpretazione del Decreto Legge n. 338 del 1989, art. 6, comma 9, l’incolpevolezza dell’errato inquadramento dei dipendenti nel settore metalmeccanico, anziché in quello del Fondo-gas ed il difetto di notifica a (OMISSIS). Rilevava la Corte del merito che era onere dell’impresa procedere alla corretta e rituale denuncia, alla stessa facendo seguito la automatica iscrizione al fondo e l’obbligo di versamento di contribuzione integrativa, con possibilità di godere degli sgravi contributivi, e che, rispetto alla omessa iscrizione, non assumevano rilevanza gli stati soggettivi de debitore.
Osservava che l’omessa notifica del decreto a (OMISSIS) in proprio rilevava solo ai fini della solidarietà di quest’ultimo ex lege n. 689 del 1981 e non in sede di opposizione a Decreto Legge.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la (OMISSIS) srl in liquidazione, affidando l’impugnazione a due motivi.
Resiste l’INPS, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va, in primo luogo, disatteso il rilievo dell’INPS relativo alla carenza di legittimazione attiva della ricorrente, osservandosi che risulta prodotta ritualmente in atti copia del verbale di assemblea straordinaria del 26.1.2004, corredata di autentica notarile del 4.3.2004, dalla quale risulta la disposta modifica della denominazione sociale della appellante, che ha proposto l’odierno ricorso per cassazione.
Con il primo motivo, la società rileva che l’errato inquadramento dei dipendenti avrebbe potuto comportare solo il recupero dei contributi non versati al Fondo gas, maggiorati di interessi e sanzioni, ma non la decadenza dal beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali che è prevista solo quale conseguenza della mancata denuncia, senza possibilità di interpretazioni analogiche o estensive della normativa, che sancisce, al Decreto Legge n. 338, art. 6, comma 9, lettera A), convertito in Legge n. 389 del 1989, la decadenza dalla fiscalizzazione solo per i dipendenti che non siano stati denunciati agli istituti previdenziali. La difesa della società sostiene che il Fondo Gas non sia un Ente previdenziale ma solo un fondo integrativo gestito dall’INPS, laddove il Tribunale e la Corte d’appello sostengono, invece, che lo sia e che il non corretto inquadramento dei dipendenti e l’omesso versamento dei contributi integrino la previsione di cui alla normativa richiamata.
Con quesiti alternativi all’esito della parte argomentativa, domanda se la Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, abbia fatto nella specie corretta applicazione del Decreto Legge n. 338 del 1989, art. 6, n. 9, lettera a) convertito in Legge n. 389 del 1989 con l’equiparazione del Fondo – gas gestito dall’INPS a un ente Previdenziale da questo distinguibile e se la mancata denuncia dei dipendenti all’INPS sia la sola fattispecie prevista e sanzionata dalla norma in esame, con applicazione di un principio diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato, la cui applicazione conduce all’accoglimento della domanda della ricorrente.
Con il secondo motivo, la ricorrente rileva che l’istruttoria svolta aveva dimostrato che l’attività prevalente dei dipendenti fessa quella di scavo e posa in opera dei tubi con allacciamento alla condotta principale e, quindi, propriamente metalmeccanica e che la Corte del merito non aveva motivato l’inquadramento dei lavoratori come Gasisti. Osserva inoltre che l’inquadramento sarebbe incolpevole in quanto indotto da colloqui con funzionari dell’INPS.
Ritiene la Corte che, benché i quesiti ex art. 366 bis c.p.c. risultino prospettati in forma alternativa, nella sostanza gli stessi non si pongano in rapporto tale che l’uno escluda l’altro e che in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, è ammissibile, ai sensi dell’art. 366 “bis” cod. proc. civ., il quesito di diritto formulato per più punti, quando gli stessi consistano in più proposizioni, intimamente connesse, che, per la loro funzione unitaria, sotto il profilo logico e giuridico, risultino complessivamente idonee, pur sovrapponendosi parzialmente, a far comprendere senza equivoci la violazione denunciata ed a richiedere alla Corte di affermare un principio di diritto contrario a quello posto a base della decisione impugnata (cfr. Cass. 6.11.2008, n. 26737 e Cass., SU, 9.3.2009 n. 5624, che sancisce l’ammissibilità di quesiti plurimi ove non venga elusa la ratio della previsione normativa).
Superato il profilo dell’ammissibilità dei quesiti posti, quanto al primo motivo si osserva che il Fondo gas è istituito con Legge 6 dicembre 1971, n. 1084 ed è quindi un fondo obbligatorio (non essendone la istituzione rimessa all’autonomia contrattuale), integrativo dell’assicurazione obbligatoria I.V.S. e costituito presso l’INPS con gestione autonoma (art. 1). L’art. 4 della legge prevede che scopo del Fondo sia quello di integrare il trattamento A.G.O. e di consentire la corresponsione di un’indennità nei casi previsti dalla legge. L’art. 7 prescrive, poi, l’obbligo generalizzato di iscrizione al Fondo per impiegati ed operai ed, infine, l’art. 9 significativamente prevede che il finanziamento delle pensioni integrative e delle indennità di cui all’art. 4 avvenga con contributi a carico delle aziende e da calcolare sulla retribuzione globale di fatto (nozione, questa, indicata nell’art. 10 della citata legge).
Il compendio normativo in parola è quindi indicativo del carattere obbligatorio del fondo, non permeabile all’influenza di istituti e criteri propri dei fondi integrativi di fonte contrattuale, per i quali la natura di ogni singola prestazione discende da specifici e particolari intenti negoziali recepiti in regolamenti interni o in contratti collettivi (per una analogia con il caso all’esame v. Cass. 7.3.2012 n. 3553, relativa al Fondo di previdenza per gli impiegati delle esattorie e ricevitorie delle imposte dirette).
È, pertanto, evidente la correttezza della statuizione dei giudici di merito, essendo principio pacifico quello secondo cui la denuncia debba riguardare lo specifico settore nel cui ambito operavano i lavoratori, con inquadramento degli stessi, in sede di denuncia, nell’esatta categoria di appartenenza.
Deve essere, poi, disatteso il secondo motivo, con il quale si censura la decisione sul presupposto che altra fosse la categoria di appartenenza dei lavoratori, in base al criterio della prevalente attività di scavo e posa in opera dei tubi dagli stessi svolta. Ma la circostanza è dedotta in modo assertivo, senza che venga censurata la motivazione sulla base di una dedotta erronea valutazione di prove, per la verità neanche indicate ai fini della dimostrazione del relativo carattere di decisività. Al riguardo vale osservare che le censure mirano a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità, posto che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 4, che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'”iter” formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame.
Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito; cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d’aver omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo (in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 n. 120520). Nella specie non risulta che la doglianza abbia evidenziato i profili di omissione, insufficienza o contradittorietà della motivazione nei termini consentiti in sede di legittimità, indicati dalla pronunzia di legittimità richiamata.
Alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso deve essere complessivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza della società e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed euro 7000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
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