Corte di Cassazione sentenza n. 14826 del 04 settembre 2012
DIRITTO DEL LAVORO – LAVORO (RAPPORTO DI) – CONTRATTO A TERMINE – RESPONSABILITA’ CIVILE – DANNI
massima
_________________
L’applicazione retroattiva dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria conseguente all’impugnazione del termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro, in quanto l’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine non impedisce la formazione del giudicato sul capo di domanda relativo al risarcimento del danno.
_________________
FATTO E DIRITTO
(omissis) spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Palermo, pubblicata l’11 febbraio 2010, che accogliendo il ricorso di (omissis) contro la decisione del Tribunale, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato per “esigenze eccezionali” il 14 dicembre 1999, con i provvedimenti consequenziali.
La società articola sei motivi di ricorso, gli ultimi dei quali concernono il risarcimento del danno. Parte intimata si difende con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria.
È infondato il motivo concernente il mancato accoglimento dell’eccezione di mutuo consenso alla estinzione del contratto.
In effetti, come questa Corte ha costantemente rilevato, il giudizio sulla sussistenza di un accordo per facta concludenza, sulla estinzione del contratto, viene devoluto al giudice di merito, la cui valutazione si sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione, se la motivazione non presenta i vizi indicati dall’art. 360, n. 5 (tra le molte e tra le ultime, cfr. Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279, cui si rinvia per ulteriori richiami).
Nel caso in esame la motivazione sussiste, è sufficientemente articolata ed è priva di contraddizioni. Le critiche della società non integrano uno di questi vizi, i soli idonei a comportare l’annullamento della decisioni ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma propongono una diversa valutazione nel merito, il che non è possibile in sede di legittimità.
Sono infondati i motivi concernenti la nullità del termine. Cass. n. 18272 del 2006; Cass. n. 13728 del 2009 e una lunga serie di altre decisioni ricordano che la Legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla Legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonché dal Decreto Legge 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni dalla Legge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco all’autonomia collettiva, la quale, pertanto, non è vincolata all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti collettive hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997.
Partendo da questo principio la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver ribadito la legittimità della formula adottata nell’accordo integrativo, caratterizzata, in particolare, dalla mancata previsione di un termine finale, ha ritenuto tuttavia viziate le decisioni dei giudici di merito che avevano affermato la natura meramente ricognitiva dei c.d. accordi attuativi e conseguentemente il carattere non vincolante degli stessi quanto alla determinazione della data entro la quale era legittimo ricorrere a contratti a termine, atteso che con tale interpretazione dei suddetti accordi si sono discostate dal chiaro significato letterale delle espressioni usate – ed in particolare di quella secondo cui .. per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30/4/98 (cfr. accordo del 16 gennaio 1998); ciò, fra l’altro, in violazione del principio secondo cui nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).
La stessa giurisprudenza ha ritenuto inoltre la sussistenza, nelle suddette sentenze, di una violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello per cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la statuizione secondo cui le parti non avevano inteso introdurre limiti temporali alla previsione di cui all’accordo del 25 settembre 1997 3 implica la conseguenza che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).
La giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378) ha, per contro, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo circa due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione deve comunque ritenersi conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel Decreto Legislativo n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).
Con gli ultimi motivi, invece, si censura la parte della decisione relativa al risarcimento del danno. In materia, (omissis) chiede l’applicazione della Legge n. 183 del 2010, art. 32.
Il comma 7 di tale norma prevede che “le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.
La Corte costituzionale, rigettando un’eccezione di costituzionalità proposta da questa Corte di Cassazione (Cass. ord. 28 gennaio 2011, n. 2112), ha ritenuto costituzionalmente legittimo l’intervento normativo sui processi in corso (Corte Cost. sentenza n. 303 del 2011).
Questa Corte ha interpretato l’espressione “processi in corso” nel senso che essa vale anche per i processi pendenti in cassazione, a condizione che la parte della decisione sul risarcimento del danno sia stata oggetto di uno o più specifici motivi di impugnazione e non sia quindi passata in giudicato (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65, 4 gennaio 2011, n. 80, 3 febbraio 2011 n. 2452).
I motivi di ricorso in esame hanno impedito il passaggio in giudicato, con la conseguenza che la sentenza sul punto deve essere cassata perché la determinazione della Corte di merito contrasta con la nuova disciplina del risarcimento del danno dettata dall’art. 32 cit.
Il giudice di rinvio, pertanto, ferma la decisione in ordine alla nullità della clausola e alla conversione del contratto, dovrà pronunciarsi nel merito del risarcimento del danno, applicando la Legge n. 183 del 2010, art. 32, oltre che sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso e pronunciandosi sugli altri concernenti il risarcimento del danno, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, anche per le spese.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte Costituzionale sentenza n. 205 depositata il 15 settembre 2022 - E' costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 1, della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 8615 depositata il 27 marzo 2023 - Le somme che vengano riconosciute al fine di risarcire il danno inerente al mancato percepimento di un reddito da lavoro - presente o futuro - ivi compresa dunque l'inabilità…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 settembre 2021, n. 24401 - Il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 15 marzo 2019, n. 7386 - In tema di accertamento con adesione, la sospensione per 90 giorni del temine ordinario di impugnazione dell'atto impositivo, nella specie relativo alla tariffa di igiene ambientale, conseguente…
- INPS - Messaggio 22 novembre 2021, n. 4079 - Proroga della promozione del lavoro agricolo. Rioccupazione con contratti a temine con datori di lavoro nel settore agricolo da parte dei percettori delle indennità di disoccupazione NASpI e DIS-COLL
- CASSA dei DOTTORI COMMERCIALISTI - Comunicato del 23 novembre 2023 - Eventi calamitosi Regione Emilia-Romagna, Regione Marche e Regione Toscana di maggio 2023 - Temine di versamento contributi sospesi
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…