Corte di Cassazione sentenza n. 14855 del 18 aprile 2012
PROCESSO PENALE – NESSUNA EFFICACIA VINCOLANTE PER IL GIUDICATO TRIBUTARIO – INDIPENDENZA DEL PROCEDIMENTO PENALE RISPETTO A QUELLO TRIBUTARIO
massima
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Sussiste l’indipendenza del procedimento penale rispetto a quello tributario anche sotto l’aspetto dell’autonoma valutazione del materiale probatorio raccolto nel giudizio davanti alle Commissioni tributarie. Il recepimento, da parte del giudice penale, dell’accertamento sul fatto emergente da una sentenza irrevocabile pronunciata in esito al processo tributario deve ritenersi consentito, ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., ma deve accompagnarsi ad una verifica della compatibilità degli elementi su cui si fonda con le risultanze del processo penale. Pertanto, deve riconoscersi al giudice penale piena autonomia nella valutazione del giudicato “extraprocessuale”. Ciò in quanto sono diversi gli strumenti probatori e di difesa ed il principio del “libero convincimento” del giudice penale non si concilia con la presenza di altri giudicati vincolanti.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 7.7.2011, in parziale riforma della sentenza 10.6.2009 del G.I.P. del Tribunale di Latina:
a) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di M. S. in ordine al delitto di cui:
– al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, poiché – nella qualità di rappresentante legale della s.r.l. “C. V.” – al fine di evadere l’imposta sui redditi, indicava nella relativa dichiarazione, con riferimento al periodo d’imposta 2003, elementi passivi fittizi (per un imponibile complessivo di un milione di Euro) utilizzando n. 3 fatture emesse (dal 19 al 31 dicembre 2002) per operazioni inesistenti dall’imprenditore individuale S.F. – dichiarazione presentata in Latina, il 16.4.2004;
b) e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, determinava la pena in anni uno mesi quattro di reclusione, concedendo il beneficio della non – menzione detta condanna.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del M., il quale – sotto il profilo della violazione di legge – ha eccepito che:
– i fatti contestati, poiché te fatture in oggetto erano state emesse nell’anno 2002, erano coperti dal “condono fiscale tombale” esperito ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, che prevedeva l’esclusione della punibilità anche per il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Ciò era stato statuito pure dalla Commissione tributaria del Lazio – Sezione di Latina che, nell’anno 2008, aveva annullato gli avvisi di accertamento notificati dagli uffici finanziari.
Secondo la prospettazione del ricorrente, “le fatture e le correlate transazioni economiche, in quanto registrate nell’anno d’imposta 2002, non potevano più essere sindacate nel corso del successivo periodo d’imposta”, sicché l’unica contestazione astrattamente possibile a carico del M. avrebbe potuto essere quella di avere dedotto, nel 2003, un costo relativo ad un altro periodo d’imposta”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.
Le tre fatture in oggetto, emesse in acconto di lavori (descritti con riferimenti del tutto generici) asseritamente da eseguire nell’anno 2003 in connessione ad un contratto di subappalto stipulato con il subappaltatore S. – quand’anche fossero state annotate nella contabilità della s.r.l. “C.V.” nel dicembre dell’anno 2002 – sono state utilizzate nella dichiarazione dei redditi di quella società per l’anno 2003 (presumibilmente per il criterio generale della “competenza”).
Al riguardo va ricordato che il D.Lgs. n. 74 del 2000, ha individuato nel modello dichiarativo la caratteristica essenziale del nuovo sistema penale tributario, in coerenza con l’opzione di tutelare il bene giuridico patrimoniale della percezione del tributo piuttosto che il corretto esercizio della funzione tributaria, con il conseguente abbandono del modello del reato prodromico in base al quale la L. n. 516 del 1982, art. 4, lett. g), puniva ex se anche il semplice inserimento nella contabilità (annotazione) di fatture per operazioni inesistenti, indipendentemente dall’allegazione alla dichiarazione.
Il modello della L. n. 516 del 1982, sopravvive attualmente soltanto per l’emissione delle fatture non veritiere, mentre la punibilità dell’utilizzazione è condizionata dalla dichiarazione mendace, cioè dall’inserimento del documento falso nella dichiarazione d’imposta (senza che peraltro assuma alcuna valenza il tentativo).
Nell’ipotesi, quindi, in cui l’imputato, pure avendo registrato in contabilità le false fatture o pure detenendole ai fini di prova, non avesse riportato nella dichiarazione annuale i corrispondenti elementi passivi fittizi, il fatto non sarebbe stato punibile.
La L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, è formulato nel senso che il perfezionamento della procedura prevista dal quell’articolo comporta (lett. a) “la preclusione, nei confronti del dichiarante e dei soggetti coobbligati, di ogni accertamento tributario”.
Nella specie, però, l’accertamento tributario – ai fini che qui Interessano – ha riguardato l’anno d’imposta 2003 ed ha portato alla individuazione del reato tributario di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commesso con condotta illecita tenuta nell’aprile del 2004, poiché l’atto materiale della presentazione della dichiarazione all’ufficio finanziario costituisce il momento consumativo di esso.
Ne consegue che legittimamente la Corte di merito ha ritenuto il delitto contestato escluso dalla definizione automatica delle pendenze tributarie disciplinata dalla L. n. 289 del 2002.
Quanto alle decisioni assunte dalla Commissione tributaria regionale di Roma in data 7.5.2006, allegate ai ricorso, deve rilevarsi che è da escludere l’incidenza del giudicato tributarlo nel parallelo processo penale sia perché diversi sono gli strumenti probatori e di difesa sia perché il principio del “libero convincimento” del giudice penale non si concilia con la presenza di giudicati vincolanti.
Il recepimento, da parte del giudice penale, dell’accertamento sul fatto emergente da una sentenza irrevocabile pronunciata in esito al processo tributario (caratterizzato da limitazioni alla prova) deve ritenersi consentito, ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., ma deve accompagnarsi (stante il richiamo agli artt. 187 e 192 c.p.p., contenuto in quella norma) ad una verifica della compatibilità degli elementi su cui si fonda con le risultanze del processo penale.
Nella specie il giudice tributario ha annullato gli avvisi di accertamento impugnati, considerando illegittima l’attività accertativa posta in essere dagli uffici finanziari per l’anno di imposta 2002 e non riscontrate le circostanze induttivamente dedotte a sostegno degli esiti della stessa. A fronte di quelle argomentazioni, però, la Corte territoriale ha correttamente delineato i limiti dell’incidenza del condono fiscale sul reato contestato ed esaurientemente argomentato in ordine alla ritenuta insussistenza delle operazioni costituenti oggetto delle tre fatture emesse nell’anno 2002.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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