Corte di Cassazione sentenza n. 15104 del 10 settembre 2012
LAVORO (RAPPORTO DI) – LICENZIAMENTO: PER GIUSTIFICATO MOTIVO – LICENZIAMENTO – ONERE DELLA PROVA – COSTITUITO IN CAPO AL DATORE
massima
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Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M.P. esponeva al Tribunale di Benevento di essere dipendente della B. s.r.l. dal marzo 1986, formalmente inquadrato come commesso ma svolgendo in concreto compiti di magazziniere; che in data 4 gennaio 1997 avrebbe ricevuto una lettera di licenziamento motivato dalla chiusura della sede (magazzino) di via P. e dalla contrazione della attività connessa alla crisi del settore ricambi auto; che il licenziamento era stato poi revocato, e successivamente, dopo la stipula di un contratto di solidarietà a tempo parziale, era stato reiterato in data 13 maggio 1997.
Il primo giudice riconduceva il secondo provvedimento al primo, ricomponendo entrambi in un’unica sequenza causale, fondata sulla persistenza della crisi produttiva, che giustificava l’omessa rinnovazione della comunicazione dei motivi, del resto rimasti inalterati e conosciuti sin dall’epoca del primo recesso. Rilevava che nella fattispecie erano stati provati i presupposti legittimanti il giustificato motivo oggettivo: la soppressione del posto di magazziniere occupato dal P., conseguente alla eliminazione dell’articolazione organizzativa cui egli era stato assegnato (magazzino di via P.); il ridimensionamento del volume di affari; il nesso causale tra il posto soppresso ed il licenziamento intimato.
Il Tribunale respingeva pertanto la domanda. Avverso tale pronuncia proponeva appello il P. Resisteva la società B. s.r.l.
Con sentenza depositata il 13 febbraio 2007, la Corte d’appello di Napoli, dichiarava l’inefficacia del recesso per la mancata comunicazione dei motivi di licenziamento, ed ordinava la reintegra del P. nel suo posto di lavoro, con le ulteriori conseguenze di cui all’art. 18 L. n. 300 del 1970.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società B., affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria.
Resiste il P. con controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui resiste la società B. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 2 e 3, della L. n. 604/66 (art. 360 n. 3 c.p.c.); insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 2697 c.c. circa la erronea dichiarata violazione dell’art. 2 della legge citata, in tesi conseguente all’asserita mancata comunicazione dei motivi del licenziamento (fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5).
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello di Napoli dichiarò l’inefficacia del licenziamento per violazione dell’art. 2 della L. 604/1966 con una motivazione insufficiente ed incongrua. Lamenta il mancato esame di tute le risultanze probatorie, da cui emergeva che la datrice di lavoro aveva ampiamente ed in vari atti comunicato al lavoratore le ragioni poste a fondamento del licenziamento, ciò che era perfettamente compatibile con l’art. 2 L. n. 604/66, che consente la comunicazione dei motivi anche in via preventiva (pag. 42 ricorso) o per relationem (con riferimento al precedente recesso, poi revocato).
Lamenta ancora che la Corte partenopea non considerò adeguatamente che dal precedente recesso, dalla sua “temporanea revoca” (pag. 49 ricorso), dalla novazione (anch’essa “temporanea”, ibidem) del rapporto in contratto di solidarietà e dall’ultimo recesso, emergevano con chiarezza le ragioni del licenziamento. Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto: “Accerti la Corte che non sussistono prescrizioni tassative di ordine formale, destinate a determinare la formazione del provvedimento, in forza delle quali il datore di lavoro, ove ne sia richiesto, debba nuovamente indicare al lavoratore licenziato i motivi del licenziamento, ai sensi dall’art. 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, portati a conoscenza del dipendente diversamente, attraverso precipua comunicazione scritta ed enunci a norma dell’art. 363 c.p.c. il principio di diritto che i motivi del licenziamento possono essere comunicati aliunde nell’interesse della legge”. Il motivo è infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata e dalla stessa esposizione del motivo ad opera della ricorrente, oltre che dal trascritto quesito di diritto, nella specie vi fu un primo licenziamento, quindi la revoca dello stesso; quindi una assunzione ex novo con contratto di solidarietà, quindi un nuovo licenziamento pacificamente rimasto sfornito di motivi pur a fronte della richiesta del lavoratore ex art. 2 L. n. 604/66. Osserva pertanto la Corte che non solo la revoca comporta il venir meno dell’atto (cui non può attribuirsi alcuna reviviscenza, neppure quanto ai motivi del licenziamento), ma che nella specie vi fu una assunzione ex novo del P., seguita dal licenziamento di cui si discute, che non può pertanto collegarsi in alcun modo al primo e revocato licenziamento, sicché l’art. 2 della L. n. 604 /66 avrebbe imposto, in presenza della richiesta dei motivi, la loro comunicazione nel termine di sette giorni ivi previsto a pena di inefficacia.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 L. n. 604/66, oltre ad insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione all’art. 2697 c.c., circa la prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento. Lamenta che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è scelta riservata all’imprenditore ed insindacabile dal giudice quanto alla sua congruità ed opportunità; lamenta ancora che dalle risultanze processuali era emersa chiaramente la sussistenza delle condizioni legittimanti il licenziamento, e che il lavoratore ha solo il diritto che questo sia riferibile ad effettive esigenze di carattere produttivo ed organizzativo e che sia dimostrata l’impossibilità di reperire in azienda altre mansioni compatibili (pag. 57 ricorso).
Lamenta che la Corte territoriale ritenne invece erroneamente che la società avrebbe dovuto dimostrare anche il nesso causale tra la scelta organizzativa ed il licenziamento del singolo lavoratore, pur essendo emerso dalle prove testimoniali raccolte (di cui riportava alcuni brani) che la società non assunse altro personale per oltre due anni e che sussisteva una indubbia crisi nel settore vendite autoricambi che aveva comportato la chiusura della sede di Benevento, sicché il giudice d’appello avrebbe potuto ritenere acquisita l’effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento.
Ad illustrazione del motivo formulava il prescritto quesito di diritto.
Il motivo è in parte inammissibile (richiedendo alla Corte un diretto riesame delle risultanze probatorie) e per il resto infondato, avendo questa Corte più volte chiarito che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro è tenuto a dimostrare anche la sussistenza del nesso causale che lega la misura organizzativa con la soppressione delle mansioni svolte dal ricorrente e non solo l’esistenza di una crisi aziendale.
Va infatti rimarcato che il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 della legge 15 luglio 1996, n. 604, è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha quindi il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad esigenze collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo (Cass. 26 settembre 2011 n. 19616; Cass. 17 marzo 2001 n. 3874).
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia una omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.). nonché insufficiente motivazione, circa il cd. Aliunde perceptum.
Lamenta che nonostante la rituale richiesta di prova sul punto, la Corte partenopea non esaminò minimamente la richiesta.
Il motivo è inammissibile.
Deve infatti considerarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione (o quanto meno all’indicazione della loro esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915; Cass. 23 aprile 2010 n. 9748).
D’altro canto deve rimarcarsi che l’ammissione dei mezzi di prova è rimessa alla iniziativa ed alla discrezionale valutazione del giudice di merito, onde non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che non abbia ammesso e non abbia indicato le ragioni della mancata ammissione di detti mezzi, dovendosi ritenere per implicito che non se ne sia ravvisata la necessità (Cass. 22 aprile 2009 n. 9551).
4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2 L. n. 604/66 in relazione all’art. 1 L. n. 108/90, nonché omessa motivazione in ordine alla liquidazione del danno conseguente alla declaratoria di inefficacia del licenziamento.
Lamenta che la Corte di merito omise di valutare se il lavoratore licenziato avesse tenuto una volontà compatibile con la volontà di proseguire il rapporto (circostanza, ad avviso della ricorrente principale, esclusa da talune testimonianze e dalla stipula di altro contratto di lavoro da parte del P.), liquidando automaticamente il danno ai sensi dell’art. 18 L. n. 300 del 1970.
Il motivo è inammissibile per l’omessa formulazione del prescritto quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il P. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, della L. n. 300 del 1970, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla commisurazione della retribuzione globale di fatto sulla base del trattamento economico relativo al contratto a tempo parziale del 2 febbraio 1997, oltre ad un contrasto tra la parte motiva e dispositiva della sentenza.
Lamenta che la Corte d’appello calcolò erroneamente il dovuto sulla base della retribuzione percepita in virtù dell’ultimo contratto di lavoro a tempo parziale, violando con ciò sia il principio per cui l’indennità prevista dall’art. 18, comma 4, deve essere commisurata alla retribuzione globale di fatto “ordinariamente” (pag. 39 controricorso) corrisposta al lavoratore, sia il dato fattuale per cui nell’ultimo periodo del rapporto l’orario di lavoro divenne a tempo pieno, come era emerso dalle risultanze probatorie, nonché dalla dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società in sede di incontro sindacale presso l’u.p.l.m.o. nel giugno 1997.
Ad illustrazione del motivo formulava il prescritto quesito di diritto.
Il motivo è in parte infondato e per il resto inammissibile.
Deve infatti considerarsi che il principio della retribuzione ordinariamente ricevuta dal lavoratore, elaborato da questa Corte (Cass. n. 215/04; Cass. n. 12628/03), non sta a significare che il giudice possa procedere ad una media dei trattamenti economici percepiti dal lavoratore in base a diversi e distinti rapporti di lavoro, ma solo che debba tenersi conto, nell’ambito del rapporto cessato a seguito di licenziamento, anche degli emolumenti variabili percepiti.
Nella specie è pacifico che tra il ricorrente e la società B. venne instaurato ex novo un contratto a tempo parziale. Ciò emerge sia dalla motivazione della sentenza impugnata sia dalla conseguente statuizione di cui al dispositivo, sicché non risulta alcuna contraddittorietà della sentenza.
La doglianza inerente il diverso concreto atteggiarsi del rapporto, risulta invece inammissibile, richiedendo alla Corte un riesame delle risultanze istruttorie e testimoniali (ex plurimis, Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il P. denuncia la violazione dell’art. 429 c.p.c., nonché omessa pronuncia in ordine alla rivalutazione monetaria ed interessi sul credito riconosciuto.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte osservato che il principio contenuto nell’articolo 429, terzo comma, cod. proc. civ. in tema di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro trova applicazione anche nel caso di crediti liquidati, ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, i quali, sebbene non siano sinallagmaticamente collegati con una prestazione lavorativa, rappresentano pur sempre l’utilità economica che da questa il lavoratore avrebbe tratto ove la relativa esecuzione non gli fosse stata impedita dall’ingiustificato recesso della controparte (tra le tante, Cass. n. 18608/2009; Cass. n. 1000/03). Deve pertanto accogliersi il secondo motivo del ricorso incidentale e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte, come da dispositivo. La parziale reciproca soccombenza e l’esito complessivo della lite, inducono a mantenere ferma la statuizione sulle spese contenuta nella sentenza impugnata ed a compensare quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale ed accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale. Cassa sul punto la sentenza impugnata e condanna la B. s.r.l. a corrispondere, sulle somme indicate nella sentenza d’appello, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria in base agli indici ISTAT. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
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