accertamento ed indagini finanziarieLa Cassazione con la sentenza n. 15217 del 2012, in relazione ad indagini finanziarie, ha ritenuto che i prelievi e i versamenti ingiustificati risultanti dai conti correnti intestati a persone terze legate da uno stretto rapporto con la società sottoposta a verifica, sono posti alla base dell’accertamento del maggior reddito imponibile in capo alla società stessa se l’Amministrazione dimostra, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione del conto ovvero la sostanziale riferibilità alla società accertata delle operazioni effettuate sui conti medesimi.

È comunque fatta salva la possibilità di fornire prova contraria alla presunzione. In tal caso, l’onere incombe sulla società, che dovrà dar prova di aver tenuto conto nelle proprie dichiarazioni fiscali dei movimenti rilevati nei conti ovvero che la loro omessa indicazione ai fini fiscali è giustificata dalla loro natura di operazioni non imponibili. Con la sentenza in esame i giudici di legittimità tornano a esprimersi in tema di legittimità dell’accertamento determinato sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, con particolare attenzione al caso, oramai sempre più frequente, dell’utilizzo di informazioni e di dati desunti da rapporti finanziari intestati a soggetti terzi rispetto al contribuente verificato.

Nella fattispecie, l’Agenzia delle entrate, sulla scorta delle risultanze del verbale redatto nel corso della verifica dalla Guardia di finanza, aveva presuntivamente rilevato come redditi sottratti a tassazione in capo alla società cooperativa i «prelevamenti» effettuati attraverso assegni emessi all’ordine dello stesso traente (la cooperativa) e depositati su conti bancari intestati al presidente e al vice-presidente. Secondol’Agenzia, in merito a tali operazioni operava la presunzione ex art. 32, comma 1, n. 2, D.P.R. n. 600/1973 secondo cui costituiscono maggiori ricavi o compensi anche i prelevamenti effettuati sui conti corrente, se non risultino dalle scritture contabili e il contribuente non sia in grado di indicarne l’effettivo beneficiario. La presunzione risultava legittima poiché i conti bancari su cui erano tratti gli assegni venivano utilizzati per l’attività svolta dalla cooperativa, al pari dei conti a essa direttamente intestati, e non era stato indicato il soggetto beneficiario delle somme in oggetto. In altre parole, l’assegno emesso all’ordine della stessa cooperativa e tratto per l’incasso a una banca presso i conti del presidente e del vice-presidente costituisce un’operazione che così strutturata non consentiva l’identificazione del soggetto effettivamente destinatario delle somme prelevate dal conto della cooperativa, considerato che tale operazione non risultava dalle scritture contabili e non erano state fornite informazioni utili in tal senso. Con un ulteriore motivo di doglianza, inoltre, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate lamentava che i giudici di secondo grado erano incorsi in errore allorquando avevano affermato che, ai fini del recupero a tassazione dei prelevamenti, fosse l’Amministrazione a dover indicare quelli estranei all’attività economica della cooperativa, mentre tale onere incombeva sulla società contribuente. Richiamando la copiosa giurisprudenza di legittimità sull’argomento, i giudici hanno affermato che, in caso di accertamento determinato sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, è legittimo utilizzare gli elementi relativi a conti intestati formalmente a soggetti terzi, quando si ha motivo di ritenere, sulla base degli elementi indiziari raccolti, che tali elementi siano «connessi ed inerenti al reddito del contribuente» o che i conti «siano utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale». Quanto poi alla riferibilità al contribuente sottoposto ad accertamento delle operazioni riscontrate su conti correnti di determinati soggetti terzi, è legittimo estendere le indagini bancarie in quanto, come già sostenuto in precedenti pronunce, «lo stretto rapporto familiare, o la ristretta composizione societaria, o ancora il particolare vincolo di dipendenza o collaborazione o anche commerciale intrattenuto dal terzo con il contribuente» costituiscono elementi indiziari rilevanti. I diritti del contribuente sono tutelati dalla possibilità, normativamente prevista, di fornire idonea prova contraria.

Nella controversia in esame, il massimo organo della giurisdizione ordinaria conferma e sostiene la tesi dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui «i prelievi e i versamenti ingiustificati risultanti dai conti intestati al presidente, al vice-presidente e a un terzo, tutti in rapporti con la cooperativa, consentono l’applicazione della presunzione legale di accertamento del maggior reddito imponibile, fatta salva la prova contraria, gravante sulla società contribuente, di aver tenuto conto nelle dichiarazioni fiscali degli importi rilevati nei conti/depositi ovvero che la omessa indicazione è giustificata trattandosi di importi riferibili ad operazioni non imponibili». Se ne deduce, pertanto, che il potere di accertamento può essere legittimamente esercitato anche attraverso l’utilizzo di dati, informazioni e notizie acquisite per mezzo di soggetti diversi da quello verso cui si leva l’obbligazione tributaria, sempreché l’Amministrazione dimostri, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell’intestazione al soggetto terzo o, comunque, la sostanziale riferibilità alla società accertata dei conti medesimi o anche solo di alcune operazioni. Una volta provata tale pertinenza, l’ufficio ha terminato le incombenze a proprio carico, poiché il legislatore fiscale impone alla società contribuente l’onere di dimostrare l’estraneità delle operazioni, presuntivamente di natura aziendale, alla propria attività d’impresa.