Corte di Cassazione sentenza n. 15269 del 10 settembre 2012
RAPPORTO DI LAVORO – LAVORO (COLLOCAMENTO) – LICENZIAMENTO – DISABILE – ESTINZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO – AGGRAVAMENTO DELL’INFERMITA’
massima
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L’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio del lavoratore consente il licenziamento del medesimo solo quando, a giudizio del collegio medico provinciale di cui all’art. 20 della L. 482/1968, sia tale da portare o alla perdita totale della capacità lavorativa o ad una situazione di obiettivo pregiudizio alla salute o incolumità dei compagni di lavoro ovvero alla sicurezza degli impianti, e ciò anche in presenza di clausola contrattuale collettiva che preveda, quale ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, la malattia che renda il lavoratore inidoneo allo svolgimento delle precedenti mansioni.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 13-4-2007 E.B. adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, esponendo:
che con precedente ricorso del 9-9-99 aveva impugnalo il licenziamento irrogatogli dalla T.I. s.p.a. in data 10-1-98 per assenze ingiustificate con recidiva;
che con sentenza n. 12367/99 il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli aveva rigettato la domanda ritenendo legittimo il licenziamento;
che con sentenza n. 1050/2001 la Corte d’Appello di Napoli aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, perché comunicato oltre il termine stabilito dalla contrattazione collettiva;
che con sentenza n. 17231/2004 la Corte di Cassazione cassava la pronuncia della Corte napoletana e rinviava il giudizio alla Corte d’Appello di Salerno;
che con sentenza n. 922/2006 il giudice del rinvio accoglieva l’appello e dichiarava l’illegittimità del licenziamento con le pronunce consequenziali;
che con lettera del 19-10-2006 la T.I. s.p.a. gli aveva comunicato la reintegra nella retribuzione in esecuzione della sentenza della Corte di Salerno, riservandosi in merito alla reintegra nella prestazione all’esito delle visite medico-legali di accertamento di idoneità ai lavoro ed alle mansioni, invitandolo a presentarsi per il 7-11-2006 presso il Servizio di Medicina legale indicato, dove, poi, era stato ancora convocato per le ulteriori visite mediche del 15-11 e del 21-1 1-2006;
che con raccomandata del 4-12-2006, ricevuta il 7-12-2006, la società gli aveva comunicato che in base al referto del 24-11-2006 del detto Servizio di Medicina Legale, era risultata la sua inidoneità a riprendere l’attività lavorativa, per cui il rapporto di lavoro, già ripristinato, era da intendere risolto con effetto dalla data di ricevimento della comunicazione;
che egli aveva impugnato tale licenziamento, in quanto nullo e illegittimo, ed aveva messo a disposizione della società le sue energie lavorative con raccomandate del 21-12-2006 e del 24-1-2007 nonché con telegramma del 27-12-2006;
che con nota del 22-1-2007 la società gli aveva inviato la documentazione sanitaria trasmessale dall’Istituto di Medicina Legale con il relativo parere, da cui emergeva un giudizio di non idoneità al lavoro, sulla base della stessa patologia per la quale egli era stato assunto come invalido ex legge 482/1968;
che in effetti egli era stato sottoposto a visita medica ai sensi dell’art. 5, ultimo comma, della legge n. 300/70, e non secondo quanto previsto per gli invalidi (art. 10 comma 3 e 20 legge n. 482/1968, art. 1 comma 4 e art. 10 comma 3 legge 68/99, art. 4 legge n. 104/92).
Tanto esposto il B. chiese la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli con effetto dal 7-12-2006, con le pronunce consequenziali.
La T.I. si costituiva contestando con vari argomenti la fondatezza della domanda.
Il Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli, con sentenza del 2-4-2008, accoglieva la domanda.
La T.I. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma.
Il B. si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata l’8-9-2009, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.
In sintesi la Corte territoriale, affermava la specialità della disciplina di cui alla legge n. 68/99 da applicare al caso concreto e la conseguente necessità dello svolgimento degli accertamenti inerenti il lavoratore disabile da parte della speciale commissione da essa prevista in maniera categorica.
Per la cassazione di tale sentenza la T.I. s.p.a. ha proposto ricorso con un unico motivo.
Il B. ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 10 della legge n. 68/1999 e 5 della legge n. 300/1970, sostiene che la prima norma “prende in considerazione il caso di un ulteriore aggravamento delle condizioni di salute del disabile, che, dapprima transitorio divenga poi definitivo”, mentre il caso in questione è del tutto diverso, in quanto il datore di lavoro “‘richiede che nei confronti di un lavoratore, pur provvisto di una sua abilità al lavoro, a motivo della lunga assenza, venga accertata la perdurante sussistenza di una capacità lavorativa”, situazione questa “equiparabile a quella in cui venga accertata ab initio la sussistenza della capacità lavorativa del soggetto”.
La ricorrente aggiunge, poi, che “la tesi accolta dalla Corte di merito, secondo la quale i controlli sulla idoneità fisica del lavoratore e dunque sulla sua residua capacità di lavoro sarebbero incardinati in via esclusiva in capo alla Commissione, si scontra con la lettera dello stesso art. 10 della l. n. 68/1999 e con il fatto che quest’ultima legge non ha affatto abrogato il terzo comma dell’art. 5 della l. n. 300/1970”.
Il motivo è infondato.
L’art. 10, comma 3, della legge n. 68 del 1999 prescrive che “Nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che, sulla base dei criteri definiti dall’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. l, comma 4, sia incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. Durante tale periodo il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo. Gli accertamenti sono effettuati dalla commissione di cui all’art. 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, integrata a norma dell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 1, comma 4, della presente legge, che valuta sentito anche l’organismo dì cui all’art. 6, comma 3 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dall’art. 6 della presente legge. La richiesta di accertamento e il periodo necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro.
Il rapporto di lavoro può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda.”
Tale norma, ha sostituito la precedente norma speciale (art. 10 della legge n. 482 del 1968 in rel. all’art 20 della stessa legge), con riferimento alla quale questa Corte (v. C. 17-7-2002 n. 10347) ha affermato il principio secondo cui “il licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale solo quando è motivato dalla comune ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre, quando è determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza delle condizioni previste dall’art. 10 della legge n. 482 del 1968, ossia la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica”.
Tale principio di specialità va ribadito anche in relazione alla nuova normativa, con riguardo alle condizioni e modalità ivi previste (competenza speciale della commissione di cui alla legge n. 104 del 1992, come appositamente integrata e con valutazione “sentito anche” l’organismo di cui all’art. 6, c. 3, del D.Lgs. n. 469/1997; verifica se il disabile, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere utilizzato presso l’azienda; possibilità di risoluzione del rapporto soltanto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda”).
D’altra parte la tesi della ricorrente risulta infondata e contraddittoria.
La asserita equiparazione dell’ipotesi in esame all’accertamento iniziale è infatti contraddetta dallo stesso assunto della dedotta impossibilità sopravvenuta della prestazione che presuppone di per sé un aggravamento delle condizioni del disabile.
La verifica di tali condizioni, poi, è categoricamente riservata alla competenza della apposita commissione, che valuta le condizioni stesse in funzione della maggior tutela riservata ai disabili (per i quali ai fini della risoluzione del rapporto è necessaria la definitiva impossibilità di reinserimento all’interno dell’azienda anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro).
Peraltro la speciale competenza delle commissioni di cui all’art. 4 (della legge n. 104 del 1992), nella materia è sancita dall’art. 1 comma 4 della stessa legge n. 68/1999, sia per l’accertamento delle “condizioni di disabilità che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili sia per le “visite sanitarie di controllo della permanenza dello stato invalidante” (v. anche D.P.C.M. 13-1-2000).
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore del B., con attribuzione in favore dell’avv. G.R. per dichiarazione di anticipo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al B. le spese liquidate in euro 50,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA, con attribuzione all’avv. G.R.
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