Corte di Cassazione sentenza n. 1553 del 3 febbraio 2012
IRPEG – SCAMBIO DI TITOLI – PLUSVALENZA – AZIONI EMESSE DALLA SOCIETA’ ESTERA
massima
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Nell’ipotesi di scambio di titoli intracomunitario, la società italiana non paga l’IRPEG sulla plusvalenza generata dalle azioni sottoscritte ed emesse dalla società estera.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano (…), ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRFEG per l’anno 2000 con il quale era stato rettificato il risultato economico imponibile della srl P., portato da una perdita di lire 31.374.000 ad un reddito di lire 332.353.093.000. La rettifica trovava origine dal mancato riconoscimento del rinvio della tassazione, previsto dagli artt. 1, lettera c), e 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, della plusvalenza per oltre 310 miliardi di lire iscritta dalla società contribuente in un apposito fondo del bilancio al 31 dicembre 2000 in quanto conseguita il 31 agosto di quell’anno, a seguito della sottoscrizione di nuove azioni emesse dalla società Mill Hill Investments, con sede in Olanda – iscritte nell’attivo del bilancio a lire 720 miliardi circa – liberate con conferimento alla medesima società olandese di azione della C.G. spa – già in contabilità a lire 409 miliardi circa.
Dalle indagini documentate dal verbale di constatazione della Guardia di finanza era risultato infatti che la sede olandese era solo formale e che la sede effettiva era in Italia.
In primo grado il ricorso della contribuente era accolto sul rilevo che dalla documentazione prodotta dalle parti emergeva che la Mill Hill Investments nell’anno 2000 aveva sede in Olanda ad ogni effetto.
La decisione era confermata in appello, ritenendosi provata la residenza olandese della Mill Hill. E ciò in quanto nella dichiarazione dell’Autorità olandese prodotta si attestava che essa era colà residente ai sensi dell’art. 4 della convenzione bilaterale fra Italia e Paesi Bassi contro le doppie imposizioni, e che era assoggettata all’imposta sulle società olandese, corrisposta per l’armo 2000. La direttiva n. 90/434/CEE, della quale il D.Lgs. n. 544 del 1992 costituisce attuazione, chiarisce infatti all’art. 3, lettera b), che le società interessate alla delibera sono quelle che, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sono considerate come aventi il domicilio fiscale in tale Stato, e nella specie era provato che l’autorità olandese aveva considerato la Mill Hill Investments fiscalmente domiciliata a Rotterdam, il che era esaustivo per applicare la direttiva comunitaria ed il D.Lgs. n. 544 del 1992 che ne costituiva attuazione.
La srl B. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della Convenzione fra Italia e Paesi Bassi per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, ratificata con legge 26 luglio 1993, n. 305; del D.Lgs. n. 455/1992 e della direttiva 90/434/CE in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.”, l’amministrazione ricorrente assume che la sentenza impugnata abbia omesso di considerare quale sia la disciplina vigente in merito ai corretti criteri in forza dei quali stabilire il luogo di residenza delle persone giuridiche, disciplina che individua in quella contenuta nella Convenzione bilaterale stipulata fra Italia e Paesi Bassi nel 1993, da considerarsi diritto speciale rispetto alla direttiva, applicabile a tutti gli Stati membri, e che all’art. 4, paragrafo 3, prevede che quando una persona diversa da una persona fisica è residente in entrambi gli Stati, si ritiene che essa è residente nello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva.
Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia omessa motivazione su un punto di fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., con riguardo ai numerosi elementi di fatto dedotti nell’appello, nonché alle circostanze esposte nel verbale di constatazione in ordine alla direzione effettiva della società, e quindi alla sua residenza ai fini fiscali.
Il primo motivo del ricorso è infondato.
Il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, recante “Attuazione della direttiva del Consiglio 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli altri scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi”, stabilisce agli artt. 1 e 2 che per le società e “gli enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, residenti nel territorio dello Stato, e soggetti residenti in altri Stati membri della Comunità economica Europea … che appartengano alle categorie indicate nella tabella A allegata… e siano sottoposta a una delle imposte indicate nella tabella B allegata”, in relazione ad una serie di operazioni analiticamente indicate, tra le quali le fusioni, i conferimenti di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa, e determinate ipotesi di permuta e conferimenti di azioni o quote, “la differenza tra il valore delle azioni o quote ricevute e l’ultimo valore dei beni conferiti riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi non concorre a formare il reddito imponibile dell’impresa, o della società apportante fino a quando non sia stata realizzata o distribuita, ai soci. Se le partecipazioni ricevute sono iscritte in bilancio ad un valore contabile superiore a quello contabile dell’azienda conferita la differenza deve essere inscritta in apposito fondo e concorre alla formazione del reddito imponibile in caso di distribuzione”.
La direttiva 90/434/CEE, dal canto suo, stabilisce all’art. 3 che “ai fini dell’applicazione della presente direttiva il termine “società di uno Stato membro” designa qualsiasi società: a) che abbia una delle forme enumerate nell’allegato; b) che, secondo la legislazione fiscale di uno stato membro, sia considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato…; c) che, inoltre, sia assoggettata… ad una delle seguenti imposte:… – vennootschapsbelasting nei Paesi Bassi”.
Alla luce della chiara lettera di tale normativa, il giudice d’appello ha rilevato che era provata la residenza olandese con la dichiarazione rilasciata dall’Autorità (Balastingdlenst/Grote ordernemingen Rotterdam) di quel Paese, nella quale “si attesta che Mill Hill investments è residente in Olanda ai sensi dell’art. 4 della convenzione bilaterale sulle doppie imposizioni tra l’Italia e i Paesi Bassi”;
ha rilevato cane l’assoggettamento ad imposte era documentato con una unofficial translation attestante la corresponsione in Olanda, per il 2000, corrispondente al periodo d’imposta in relazione al quale si controverte, della vennoctschapsabelasfcin, che è l’imposta sulle società;
ha quindi richiamato, segnatamente, l’art. 1 del D.Lgs. n. 544 del 1992 (“soggetti… residenti in Stati diversi della Comunità”) e l’art. 3, lettera b), della stessa direttiva 90/434/CKE, (la quale “chiarisce che le società interessate alla delibera sono quelle che, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sono considerate cane aventi il domicilio fiscale in tale Stato”), rilevando come nella specie era “provato che l’Autorità olandese considerò Mill Hill Investinents fiscalmente domiciliata a Rotterdam;
ed ha quindi concluso che “ciò è esaustivo per applicare la direttiva comunitaria n. 90/434 ed il conseguente D.Lgs. n. 544/1992”.
Il giudice d’appello, facendo corretta applicazione delle regole dettate dagli artt. 1 e 2 del D.Lgs. n. 544 del 1992 di attuazione della direttiva del Consiglio 90/434/CEE, letta alla luce dei criteri fissati dall’art. 3 della direttiva stessa, ha individuato i criteri applicabili, ed alla loro stregua ha qualificato la Mill Hill Investments BV cane soggetto residente ^u in altro stato membro della Genuinità, vale a dire nei Paesi Bassi, sulla base degli elementi acquisiti, con valutazione esaustiva e priva di vizi logici.
Anche a voler ritenere non coincidente la disciplina dei criteri per stabilire la residenza delle persone giuridiche contenuta nella Convenzione bilaterale del 1993 con quella fissata dal decreto legislativo di attuazione nell’ordinamento nazionale della direttiva comunitaria del 1990, non sembra prospettabile una specialità della prima rispetto alla seconda, dovendosi ritenere speciale quest’ultima, che ha riguardo a specifiche operazioni: “fusioni, scissioni, conferimenti d’attivo e altri scambi d’azioni” fra società nazionali e la generalità degli “Stati membri diversi” della Comunità Europea.
Il secondo motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata, così cene formulato non appare idoneo rispetto a quanto prescritto dal codice di rito, ove si consideri che “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiché secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume emessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (citologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (Cass., sezioni unite, 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. n. 8897 del 2008).
Con riguardo alla censura in esame, peraltro, non è inopportuno rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “il motivo di ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della sentenza impugnata a norma dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., deve articolarsi con la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni in cui sia incorso il giudice di merito, ovvero con la specificazione di illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, od ancora nell’indicazione della mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte e quindi dell’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e dell’insanabile contrasto degli stessi. Con detto motivo non può, invece, farsi valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al convincimento della parte ed in particolare non può proporsi un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisti, poiché tali aspetti di giudizio, essendo interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento, di modo che sono estranei al suddetto motivo di ricorso, che altrimenti si risolverebbe in una istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito” (Cass. n. 11121 del 1999, n. 2869 del 2003).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Si ravvisano giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.
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