CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 giugno 2013, n. 15543
Società – Società irregolare e di fatto – Prova – Società tra consanguinei – Esteriorizzazione del vincolo societario – Prova – Oggetto
Svolgimento del processo
Con atto di citazione 18.5.1990 A. M. esponeva di avere, nel settembre 1989, appaltato a C. e G. A., titolari di impresa edile, la costruzione del muro di recinzione di un suo fondo in Lecce, agro di Frigole nonché la messa in opera del pavimento in un villino in S. Cataldo di Lecce; lamentava che i lavori non erano stati eseguiti a regola d’arte e, pertanto, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecce, gli appaltatori stessi per sentire dichiarare risoluti i contratti di appalto, con condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, previa compensazione della somma ancora dovuta con l’importo dovuto a titolo risarcitorio. G. A. si costituiva ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva assumendo di non essere titolare dell’impresa C. A.; quest’ultimo, a sua volta, eccepiva la decadenza dalla garanzia per vizi, per avere il M. accettato senza riserve i lavori in Frigole e San Cataldo, rispettivamente nel febbraio 1990 ed il 12.4.1990; in via riconvenzionale chiedeva il pagamento della residua somma di £ 21.319.053 ed il risarcimento del danno da inadempimento e da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
Espletata C.T.U. ed assunta la prova per interrogatorio e testi, con sentenza 7.5.2001 il Tribunale dichiarava risolti, per inadempimento degli appaltatori, i contratti e condannava gli A. in solido al pagamento, in favore del M., di £ 22.845.704 oltre interessi legali. Avverso tale sentenza G. e C. A. proponevano appello cui resisteva il M.. Con sentenza depositata il 3.5.2006 la Corte d’Appello di Lecce, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda del M. ed, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale di quest’ultimo, condannava il M. al pagamento, in favore di A. C., di € 1.918,75 oltre interessi legali; condannava il M. al pagamento delle spese processuali del doppio grado del giudizio e compensava interamente le spese stesse fra il M. e C. A.. Osservava la Corte di merito: il M. non aveva dimostrato né che G. A. era socio di fatto del figlio C. né l’apparenza della società nei rapporti con i terzi; nella specie non era, poi, configurabile un’accettazione tacita delle opere, considerato che il prezzo non era stato completamente corrisposto; andava, peraltro, accolta l’eccezione di decadenza, ex art. 1667, 2° co. C.c., limitatamente alla garanzia per difformità e vizi relativi all’opera di recinzione in quanto consegnata al M. alla fine di febbraio 1990, allorché era decorso il termine di sessanta giorni dalla data di proposizione della domanda ( 18.5.1990); andava disattesa, invece, l’eccezione di decadenza con riguardo all’opera eseguita nel villino di S. Cataldo, posto che la relativa consegna era avvenuta il 12.4.1990 e che l’azione risarcito-ria risultava proposta il 18 maggio successivo; non vi era prova che l’appaltatore avesse assunto la qualità di “nudus minister” essendo emerso dalla prova testimoniale che il M. aveva svolto solo un’attività di vigilanza dei lavori senza imporre direttive ed istruzioni; il corrispettivo per la posa in opera della pavimentazione andava determinato sulla base di quello concordato. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il M. formulando quattro motivi con i relativi quesiti di diritto illustrati da successiva memoria. Resistono con controricorso A. G. ed A. C.; quest’ultimo ha avanzato ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Motivi della decisione
Il ricorrente principale deduce:
1) contraddittoria ed insufficiente motivazione nonché violazione ed erronea applicazione degli artt. 116, 228 c.p.c. e degli artt. 2247 e 2297 c.c., laddove il giudice di appello aveva affermato che ove il terzo assuma l’esistenza di una società di fatto tra consanguinei, “la prova della esteriorizzazione deve essere particolarmente rigorosa… così da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dall’affectio faliliaris”; il rapporto di parentela doveva, invece, ritenersi elemento presuntivo della instaurazione di un rapporto societario di fatto; contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, sul M. non gravava l’onere di provare la sussistenza della società di fatto, essendo sufficiente al riguardo un comportamento esteriore tale da ingenerare nei terzi il convincimento che gli appellati fossero legati da un vincolo societario; il giudice di appello avrebbe dovuto utilizzare, come elementi di prova dell’apparenza del rapporto societario di fatto, la sottoscrizione del contratto di appalto del settembre 1989 da parte di A. G. e l’invio allo stesso della raccomandata( mai contestata) 12.4. 1990 con cui erano stati denunciati i vizi dell’opera; erroneamente applicando l’art. 228 c.p.c. in relazione all’art. 116 c.p.c. la Corte territoriale aveva, invece, escluso la rilevanza di dette prove, ritenendo che la dichiarazione di A. G.,in sede di interrogatorio formale, di aver accompagnato il figlio C. all’incontro con il M., avesse valenza di una “confessione” sull’inesistenza della società di fatto con il figlio, pur trattandosi di dichiarazione favorevole a chi l’aveva resa; 2)violazione ed erronea applicazione dell’art. 1667 co. 2° c.c. ed omessa motivazione sul rigetto dell’eccezione di decadenza di cui all’art, art. 1667, 2 co. c.c., non avendo la Corte territoriale tenuto conto che il M. aveva denunciato i vizi con raccomandata del 12.4.90 indirizzata ad A. G., da considerarsi socio di fatto per quanto rilevato con la prima censura; 3) omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla quantificazione del corrispettivo di detti lavori, avendo il giudice di appello fatto riferimento alla C.T.U. senza considerare l’errore indicato sul punto dal consulente tecnico di parte;
4) violazione ed erronea applicazione degli artt. 1168,1453 e 1223 c.c.. ed omessa, insufficiente motivazione sul rigetto della domanda di risarcimento del danno, accolta dal primo giudice e respinta dalla Corte d’appello in quanto sfornita “non solo di prova ma anche di allegazione”; la difficoltà del creditore di provare il lucro cessane avrebbe dovuto comportarne la liquidazione equitativa e, comunque, il giudicante avrebbe dovuto indicare le norme “disapplicate dal primo giudice secondo la ratio dell’art. 1223 ce”.
Con il ricorso incidentale A. C. lamenta: a) omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia riguardante il corrispettivo dovuto per la realizzazione del muro di cinta in località Frigole, posto che la Corte territoriale, pur non ritenendo applicabile il contratto firmato da A. G., aveva poi affermato che le parti si erano accordate sul corrispettivo, omettendo di tener conto che il C.T.U. , per la stima di alcune opere il cui prezzo non era stato stabilito contrattualmente, aveva fatto riferimento alle tariffe; a pag. 12 della sentenza si affermava , infatti, che, non avendo l’appellato censurato il maggior corrispettivo determinato dal Tribunale per £ 30.894.175, occorreva fare riferimento a tale importo, senza considerare che, con l’atto di appello, A. C. aveva evidenziato l’errore commesso dal primo giudice per aver confuso l’importo indicato dal C.T.U., per i lavori del muro di cinta, nella maggior somma di £ 36.055.555, con la somma di £ 30.894.175 riportato nella consulenza tecnica di parte del M.. b)violazione dell’art. 112 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito o-messo di esaminare la richiesta di condanna formulata da A. C. nei confronti del M.. Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c, in quanto proposti avverso la medesima sentenza. In rito va disattesa la richiesta di interruzione del giudizio di A. C., avanzata con istanza depositata in cancelleria il 26.4.2013,per l’avvenuto decesso del proprio difensore in data 19.1.2009.
La parte stessa,infatti, ben avrebbe potuto nominare un nuovo difensore, avuto riguardo al considerevole lasso di tempo intercorrente fra la data di detto decesso e quella fissata per l’udienza collegiale di cui è stato dato rituale avviso all’A.; l’inerzia della parte istante nella nomina di un nuovo difensore non consente il rinvio del giudizio, non sussistendo i presupposti per reiterare gli adempimenti prescritti dall’art. 377 co. 2 c.p.c.( Cass. S.U. n. 711/2006; n. 22020/2007) e non trovando applicazione, in sede di legittimità,l’istituto dell’interruzione del processo, configurabile solo nel caso eccezionale in cui sia deceduta la parte difesa da sé medesima senza altro difensore( Cass. n. 2507/1993). Tale deroga trova giustificazione nel contestuale decesso tanto della parte che del difensore, ipotesi esulante dal caso di specie e comportante un’incolmabile carenza di contraddittorio con la conseguente necessità d’interrompere il giudizio onde consentire agli interessati di riassumere il giudizio. Passando all’esame del ricorso principale, va rilevato che il primo motivo è infondato.
La sentenza impugnata, premesso che la tesi dell’apparenza di una società non era stata neppure allegata dall’attore, ha affermato che la prova dell’affidamento di quest’ultimo su di una società di fatto tra i convenuti, nonostante la formale titolarità dell’impresa in capo a C. A., non poteva essere desunta dall’avere G. A. accompagnato il figlio C. all’incontro con il M. ed era esclusa dalla circostanza che il contratto del settembre 1989, benché sottoscritto da G. A., era stato predisposto ed intestato a C. A. dal medesimo M..
Tale motivazione è immune da vizi logici e giuridici e, peraltro, i quesiti( pag. 12 del ricorso) non sono rapportati a tale “ratio decidendo” va poi ribadito, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che la società di fatto tra consanguinei, ipotesi ricorrente nella specie, richiede una prova della sua esteriorizzazione particolarmente rigorosa, occorrendo che essa si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla “affectio familiaris” e non sia espressione di una compartecipazione all’attività commerciale del familiare (Cass. n. 11975/97; n. 6770/1996).
L’insussistenza e non apparenza della società di fatto comporta l’infondatezza anche del secondo motivo, evidentemente connesso al primo, come sintetizzato nel seguente quesito di diritto: “se il giudice di merito,ai fini dell’applicazione dell’art. 1667 c.c., debba ritenere a-dempiuto l’onere di denuncia dei vizi con la comunicazione a mezzo raccomandata inviata ad uno dei due soci che ha sottoscritto il contratto di appalto, posto il principio dell’apparenza del diritto”.
Il quesito sottoposto alla Corte in relazione alla terza censura :”se il giudice di appello, allorché debba verificare il computo eseguito dal C.T.U. relativamente ai lavori dati in appalto, debba esaminare e valutare i rilievi tecnici eseguiti dal consulente tecnico di parte”, è inammissibile perché privo del requisito di specificità, limitandosi a contrapporre l’accertamento del c.t.p. a quello del C.T.U. cui ha aderito il giudice di appello correggendo la decisione di primo grado sul punto; peraltro,essendo stato denunciato un vizio di motivazione, andava formulato il momento di sintesi e non un quesito, con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o erronea, rendendo ingiustificata la decisione in rapporto alla “ratio decidendi” (V.Cass. S.U. n. 26020/2008; n. 21961/2010; n. 12712/2010).
Del pari inammissibile è il quarto motivo in relazione al quale è stato formulato il seguente quesito: “se il giudice di appello, nel riformare la sentenza di primo grado, contenente la condanna al risarcimento dei danni a seguito di inadempimento contrattuale, debba indicare le norme disapplicate dal primo giudice secondo la ratio dell’art. 1223 c.c.. e la interpretazione giurisprudenziale”. Sotto il profilo del vizio motivazionale non è stato formulato il momento di sintesi e, comunque, la Corte territoriale ha congruamente motivato il rigetto della domanda di risarcimento del danno, ex art. 1223 c.c, con riferimento al difetto di qualunque prova del danno sicché deve escludersi anche la dedotta violazione di legge. Il ricorso incidentale è anch’esso privo di fondamento. Quanto alla prima censura è sufficiente osservare che la sentenza ha dato atto, sulla base di quanto accertato dal C.T.U., che l’entità del corrispettivo ammontava a £28.077.430, aumentato dal Tribunale a £ 30.894.175 “senza censura da parte dell’appellato” e non menziona il rilievo sul difetto del compenso delle opere non riportate in contratto. Il motivo è carente, fra l’altro, del il momento di sintesi e, di conseguenza, non è dato individuare, con la dovuta chiarezza, la connessione del vizio motivazionale denunciato a determinati fatti di causa. In ordine al secondo motivo va evidenziato che la sentenza ha pronunciato sulla domanda del M. al pagamento di £ 56.392.984, affermando che il corrispettivo non andava effettuato secondo tariffa, ma in base al corrispettivo pattuito fra le parti.
Alla stregua di quanto osservato entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Ricorrono giusti motivi, stante la reciproca soccombenza delle parti, per compensare integralmente fra le stesse le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta.
Dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
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